Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24020 del 29/04/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 24020 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GHIO ERMANNO N. IL 26/04/1964
GAVINI FRANCA N. IL 07/07/1954
avverso la sentenza n. 1559/2009 CORTE APPELLO di GENOVA, del
08/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO
che ha concluso per

Data Udienza: 29/04/2014

udito il procuratore generale in persona del sost.proc.gen. dott. M. Fraticelli, che ha chiesto
rigettarsi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO

2. Tramite i difensori, ricorrono per cassazione entrambi gli imputati.
3. Ricorso Ghio.
3.1. Deduce violazione di legge penale e mancanza e contraddittorietà, nonché manifesta
illogicità, della motivazione con riferimento agli articoli 192 cpp e 216 e 223 LF, in quanto, per
quello che specificamente riguarda la cessione di ramo di azienda, le dichiarazioni del curatore,
seppure astrattamente plausibili, non hanno trovato riscontro documentale. Esse -dunque- si
risolvono in mere valutazioni e non in un preciso atto ricognitivo.
Quanto alla sottrazione di beni aziendali, l’iter argomentativo è viziato già in premessa, in quanto
manca qualsiasi accertamento circa il fatto che, quando i beni furono alienati, l’imputato avesse
consapevolezza dello stato di insolvenza. In realtà, quando l’atto di disposizione avviene nel
momento in cui l’impresa è in bonis, manca l’elemento psicologico del delitto in questione. La
corte inoltre avrebbe dovuto dare la prova della disponibilità in capo al Ghio dei beni che si
assumono sottratti e ciò non può esser fatto semplicemente sulla base delle scritture societarie.
L’esame dei testi escussi a seguito della riapertura dell’istruttoria dibattimentale, poi, non può
ritenersi concludente; invero le dichiarazioni di Biancolilli e Fedele appaiono relative, non tanto, ad
accertamenti di fatti, quanto piuttosto a personali convinzioni; a volte esse sono addirittura
smentite, come nel caso in cui un fabbro, che secondo gli inquirenti era in possesso di un
macchinario proveniente dal fallimento, ebbe la possibilità di mostrare una regolare fattura di
acquisto. In ogni caso, in mancanza di riscontri documentali, le dichiarazioni dei due predetti testi
non sono rilevanti come prove, ma al massimo costituiscono meri indizi.
3.2. Con la seconda censura, deduce ancora violazione di legge in relazione all’articolo 192
commi terzo e quarto del codice di rito e carenza dell’apparato motivazionale, atteso che le
dichiarazioni di Ferrara Sandro furono assunte ai sensi dell’articolo 210 cpp. Esse dunque
avrebbero dovuto trovare adeguato riscontro in altri elementi di prova, cosa che non è avvenuta.
Peraltro, lo stesso Ferrara ha ammesso di riferire circa voci correnti nel pubblico.
3.3. Con la terza censura, deduce inosservanza ed erronea applicazione ancora dell’articolo
192 cpp, comma secondo, atteso che la valutazione e la interpretazione della intercettazione
telefonica utilizzata appare incongrua, illogica e irragionevole. La corte di cassazione ha chiarito
che la corretta utilizzazione del contenuto di una intercettazione si ha solo quando essa sia
connotata da chiarezza, intelligibilità e assenza di ambiguità. Il vizio di motivazione circa la
responsabilità per distrazione delle attrezzature aziendali, dunque, emerge con tutta evidenza
dalla sentenza impugnata, la quale ricorda come il Ferrara avrebbe detto, appunto nel corso di
una conversazione intercettata, che le attrezzature le avrebbero vendute “loro”. Ma poi, richiesto
di chiarire donde avesse tratto tale informazione, il Ferrara ha ammesso che, ancora una volta, si
trattava di voci correnti.
Vanno poi considerate inutilizzabili le dichiarazioni dei testi Buselli, Alfano e Ferrari perché
rilasciate innanzi al tribunale nella originaria composizione. Una volta mutata la composizione del
collegio, come si evince dalla stessa sentenza impugnata, le difese non hanno acconsentito
all’acquisizione e utilizzazione di tali atti.
3.4. Con la quarta censura, deduce carenza dell’apparato motivazionale in relazione
articolo 192 del codice di rito, atteso che la responsabilità del Ghio è stata ritenuta, attribuendosi
a costui il ruolo di amministratore di fatto. Ma, come ha chiarito la giurisprudenza di legittimità,

1. La corte di appello di Genova, con la sentenza di cui in epigrafe, in riforma della
pronuncia di primo grado, ha dichiarato Ghio Ermanno e Gavini Franca colpevoli del delitto di
concorso in bancarotta fraudolenta per distrazione, con riferimento al fallimento della S.r.l. CESI,
dichiarato con sentenza 6 dicembre 2001. Ghio è stato ritenuto amministratore di fatto; Gavini
risulta amministratore di diritto.

4. Ricorso Gavini.
4.1. Deduce violazione di legge e in particolare dell’articolo 195 comma quarto cpp, in
relazione all’ articolo 525 comma secondo del medesimo codice, in quanto la corte d’appello ha
fondato il suo convincimento su prove inutilizzabili. Invero: il teste appartenente alla polizia
giudiziaria Biancolillo ha riferito circa notizie apprese da altri testi e in particolare dei signori
Stretti e Gemelli.
Una volta eliminate queste fonti probatorie, non rimangono che le dichiarazioni del Ferrara,
imputato in procedimento connesso, atteso che le dichiarazioni di Buselli, Alfano e altri testi
ascoltati nel corso del dibattimento innanzi al primo collegio del tribunale sono anche esse
inutilizzabili (al proposito vengono svolte considerazioni analoghe a quelle già illustrate con
riferimento al ricorso Ghio). Invero, solo la testimonianza del Ferrara veniva riassunta innanzi al
nuovo collegio di primo grado. La qualifica dunque di amministratore di diritto non può essere
ritenuta in capo alla Gavini in base alle dichiarazioni di Buselli e Alfano. Il fatto di essere la
convivente del Ghio e di aver partecipato alla vita aziendale, semplicemente recandosi in ufficio,
costituiscono poi circostanze del tutto irrilevanti ai fini dell’affermazione della responsabilità di
questa ricorrente.
4.2. Con la seconda censura, deduce violazione degli articoli 40 cpv cp, 216 comma primo
e 223 LF, atteso che arbitrariamente la corte ha ritenuto che la ricorrente fosse consapevole delle
illecite utilità ricavate dalla commissione del reato. In realtà, a differenza di quel che la
giurisprudenza ha ritenuto per la bancarotta documentale, per la bancarotta patrimoniale, occorre
che, perché sia ritenuta la responsabilità dell’amministratore di diritto, che emerga che tale
soggetto abbia di fatto acconsentito agli atti dispositivi, non essendo certamente sufficiente il fatto
che lo stesso abbia formalmente ricoperto la carica predetta.
CONSIDRERATO IN DIRITTO
1. La denunciata inutilizzabilità, in parte non sussiste, in parte è del tutto irrilevante.
Invero, quanto alle dichiarazioni di Biancolillo, lo stesso ha riferito, non solo e non tanto, circa ciò
che le persone da lui contattate avevano detto, ma principalmente circa ciò che avevano fatto,
vale a dire: Stretti disconobbe le fatture, Gemelli non fornì alcun documento. Si tratta di
descrizioni di condotte che certamente l’agente e l’ ufficiale di polizia giudiziaria è legittimato a
fare in dibattimento.
Il teste, peraltro, ha riferito anche circa attività da lui personalmente compiuta, vale a dire,
l’accertamento della identità di chi aveva incassato gli assegni, attraverso i quali fu consumata
parte dell’attività distrattiva.
Emerse che gli assegni erano stati incassati da Ghio.
Felici, altro teste appartenente alla polizia giudiziaria, ascoltato il secondo grado, per quel che si
legge in sentenza a pagina 3, ha deposto in ordine alla destinazione dei beni strumentali,
esaminando l’album fotografico che raccoglieva le loro immagini. Si tratta di beni “spariti”
dall’azienda e in parte rinvenuti proprio dal Felici e identificati attraverso i particolari segni di
usura che essi presentavano.
1.1. Quanto alla “scomparsa” di lastre di alluminio per un controvalore di 200 milioni di lire,
la corte d’appello svolge significative considerazioni in ordine alla natura simulata del furto, che fu
denunciato dagli imputati, giungendo ragionevolmente alla conclusione che anche tale materiale
fu sottratto ai creditori della S.r.l. fallita.

tale dato deve essere dedotto da elementi sintomatici della gestione o della cogestione della
società. In merito, manca qualsiasi motivazione.
3.5. Con l’ultima censura, deduce violazione degli articoli 132, 133, 62 bis cp e carenza
dell’apparato motivazionale in quanto il severo trattamento sanzionatorio non è stato
adeguatamente giustificato, atteso che il riferimento al grave danno causato ai creditori e ai
tentativi di dissimulazione (circostanza quest’ultima nient’affatto provata), non sono certo
sufficienti a giustificare la pena in concreto applicata.

2. Per quel che riguarda la natura dell’elemento soggettivo nella bancarotta fraudolenta per
distrazione, basterà ricordare che è sufficiente il dolo generico, consistente nella coscienza e
volontà -e dunque, certamente, nella consapevolezza- di distrarre beni aziendali, ovvero somme
di danaro di pertinenza dell’azienda, essendo irrilevante il momento in cui ciò avviene. Tanto ciò è
vero, che, addirittura con riferimento al concorso dell’extraneus, è stato ritenuto (cfr. ASN
200909299-RV 243162) che il dolo consiste nella volontarietà dell’apporto alla condotta
dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio
sociale ai danni dei creditori, non essendo necessaria la specifica conoscenza del dissesto della
società.
A maggior ragione il principio deve trovare applicazione per l’amministratore di fatto.
Anche tale censura è dunque manifestamente infondata.
3. Per quel che riguarda la cessione di ramo di azienda, non si nega nel ricorso che essa sia
avvenuta per il corrispettivo indicato nel capo d’imputazione.
Ebbene, proprio in ciò il curatore ha intravisto un atto distrattivo. Il riferimento, dunque, alla
mancanza di supporto cartaceo a tale dato fattuale è del tutto incomprensibile.
Il curatore, in merito, non ha dunque espresso un parere, ma riferito un fatto, un fatto che lo
stesso ricorrente non contesta. La valutazione di inadeguatezza del corrispettivo, ovviamente,
compete al giudicante e tale valutazione non è stata resistita con il ricorso, con il quale, viceversa,
come premesso, ci si lamenta, erroneamente, del fatto che il curatore non avrebbe riferito circa
condotte, ma espresso suoi convincimenti.
La censura dunque è infondata.
4. Quanto alle dichiarazioni del Ferrara, si legge a pagina 4 che effettivamente costui ebbe
a dichiarare che “si vociferava che la CESI stesse vendendo dei macchinari”.
Questa dunque sarebbe la voce corrente nel pubblico, voce che, tuttavia, ha trovato conferma
nelle (rectius è stata superata dalle) ricordate dichiarazioni conseguenti ad accertamenti dei due
predetti testi appartenenti alla polizia giudiziaria.
4.1. Per quello che viceversa riguarda l’intercettazione, essa è relativa a dichiarazioni che il
Ferrara ha reso, ovviamente nella inconsapevolezza di essere ascoltato. La relativa
interpretazione, in quanto non illogica, non può essere aggredita in questa sede di legittimità.
4.2. Ancora con riferimento alle dichiarazioni del Ferrara, la corte mette in evidenza che lo
stesso ebbe a riferire che la Gavini si portava di mattina in azienda, seppure arrivando sul tardi, e
-a volte- vi permaneva, tanto che in ufficio essa era una delle tre persone presenti.
Sulla base di tali dichiarazioni, il giudice di secondo grado ha ritenuto, certo senza violare alcun
principio di logica o di comune buon senso, che la predetta imputata, amministratrice di diritto,
avesse comunque consapevolezza di come il suo convivente operasse nella gestione dell’azienda e
quindi nella spoliazione del patrimonio della stessa.
Consegue la infondatezza anche di tale censura.
5. Quanto al trattamento sanzionatorio riservato al Ghio, è noto che il riconoscimento o il
diniego delle attenuanti generiche rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla
discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in
sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del
misura

1.2. Quanto al fabbro, si legge in sentenza che lo stesso effettivamente mostrò una fattura
di acquisto, ma che essa aveva ad oggetto un macchinario usato. Ne deriva la non incompatibilità
tra il macchinario trovato presso il predetto artigiano e quello scomparso dal capannone della
CESI.
1.3. Quanto alle dichiarazioni rese dai testi ascoltati in primo grado solo dal primo collegio,
esse sono del tutto irrilevanti al fine di individuare la Gavini quale amministratrice di diritto, atteso
che tale carica, evidentemente, risulta per tabulas.
1.4. Conclusivamente, dunque, le censure con le quali si assume la inutilizzabilità di talune
fonti probatorie sono manifestamente infondate.

6. Conclusivamente, i due ricorsi meritano rigetto e i ricorrenti vanno condannati
singolarmente alle spese del grado.
PQM
rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma in data 29. IV. 2014.

reato ed alla personalità del reo (ASN 201041365-RV 248737). Conseguentemente, in caso di
diniego delle predette circostanze, la motivazione può implicitamente ricavarsi anche mediante il
raffronto con le considerazioni poste a fondamento del loro avvenuto riconoscimento, riguardo ad
altre posizioni esaminate nella stessa sentenza (nel caso in esame, alla Gavini), quando gli
elementi oggetto di apprezzamento siano gli stessi la cui mancanza ha assunto efficacia
determinante nell’ambito di una valutazione generalmente negativa (ASN 201114556-RV
249731).

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