Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24019 del 29/04/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 24019 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di:
Zinzi Stefano, nato a Napoli, il 17/8/1963;

avverso la sentenza del 30/1/2013 della Corte d’appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Mario
Fraticelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 30 gennaio 2013 la Corte d’appello di Napoli, in funzione di giudice
del rinvio a seguito dell’annullamento di sua precedente pronunzia in punto di
qualificazione giuridica dei fatti contestati al capo 2), confermava la condanna di Zinzi
Stefano per i reati di rissa aggravata e di detenzione e porto illeciti di arma comune da

Data Udienza: 29/04/2014

,

sparo, nonché per quello di cui agli artt. 83, 586 e 590 c.p. commessi all’interno di un
esercizio pubblico a seguito di una lite intervenuta per futili motivi con alcuni avventori
del medesimo.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato a mezzo del proprio difensore deducendo con
unico motivo l’errata applicazione della legge penale e correlati vizi di motivazione. In
tal senso viene innanzi tutto lamentato il mancato riconoscimento dell’esimente della
legittima difesa, rilevandosi come lo Zinzi abbia sfoderato la pistola e fatto fuoco solo

che continuavano a colpirlo a mani nude, con oggetti contundenti e con dei coltelli,
come del resto risulterebbe dalle deposizioni dei testi Bianco e Cavuoto di cui la Corte
distrettuale non avrebbe tenuto conto. Sotto altro profilo il ricorrente contesta la
qualificazione dei fatti anche ai sensi dell’art. 588 c.p., ribadendo come in realtà lo Zinzi
sia stato deliberatamente assalito da un nutrito gruppo di persone e si sia dunque
limitato per l’appunto a difendersi da tale aggressione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile in quanto generico e manifestamente infondato.

2. Invero tutte le doglianze risultano minate alla radice dal latente difetto di
correlazione con la motivazione della sentenza impugnata, la quale, nel ricostruire la
vicenda nella sua completa dinamica e cronologia, dà atto di come lo Zinzi, dopo aver
litigato con alcuni avventori che riteneva essersi indebitamente appropriati del tavolo
da lui occupato in precedenza, era uscito dal locale per rientravi successivamente dopo
aver indossato un casco e tenendo la mano sul calcio della pistola con il chiaro intento
di proseguire da una posizione di forza l’alterco. A questo punto il gruppo dei suoi
avversari reagì assalendolo e nel corso della colluttazione lo Zinzi esplose tre colpi di
pistola (che evidentemente nel frattempo aveva estratto), due dei quali attinsero
accidentalmente due persone presenti nell’esercizio ferendole in maniera seria.
2.1 In particolare la non contestata ricostruzione dell’antefatto della colluttazione peraltro coerente all’evidenza disponibile – palesa la fragilità delle censure svolte dal
ricorrente. Correttamente infatti i giudici d’appello hanno ritenuto inconfigurabile
l’esimente prevista dall’art. 52 c.p., richiamandosi all’insegnamento di questa Corte per
cui la causa di giustificazione non è invocabile da colui che volontariamente si pone
nella situazione di pericolo da cui scaturisce l’esigenza di difendersi. L’uso della parola
“necessità” nella formulazione legislativa dei requisiti della legittima difesa, infatti, ha
una portata perentoria che esclude, dal suo rigoroso orizzonte applicativo, qualsiasi
caso di volontaria determinazione di una situazione di pericolo, ivi compreso quello in
cui l’agente abbia contribuito ad innescare una sorta di duello o sfida contro il suo

dopo essere stato aggredito e al solo fine di evitare di essere ucciso dai suoi aggressori

avversario o attuato una spedizione punitiva nei suoi confronti (Sez. 1, n. 12740/12 del
20 dicembre 2011, El Farnouchi, Rv. 252352).
2.2 E’ di tutta evidenza come nel caso di specie la decisione dello Zinzi di rientrare nel
locale, dopo essersi già allontanato dal medesimo all’esito di un diverbio che sino a quel
momento si era mantenuto nei limiti dello scontro verbale, già di per sé potrebbe
essere ostativa al riconoscimento dell’esimente. Ma il fatto che egli si sia ripresentato
palesemente armato e indossando un casco rivela come egli abbia dolosamente cercato

affrontare da una posizione di forza. Egli ha dunque provocato la reazione dei suoi
aggressori e innescato in maniera sconsiderata la tragica colluttazione che ne è seguita,
tenendo un comportamento a cui l’ordinamento, fedele ai suoi valori fondanti, rifiuta di
offrire qualsiasi forma di giustificazione.
2.3 Né rileva che l’esplosione dei colpi di pistola potesse a quel punto imputarsi
all’oggettiva esigenza di evitare più gravi conseguenze, una volta che l’imputato si era
visto sopraffatto, giacchè la descritta genesi di tale situazione comunque impedisce di
attribuire valore alla circostanza. Conseguentemente irrilevanti risultano i lamentati vizi
di travisamenti della prova, atteso che le testimonianze asseritamente trascurate dai
giudici d’appello comunque riguarderebbero esclusivamente l’ultimo segmento della
vicenda, come detto ininfluente ai fini della sussistenza dell’invocata legittima difesa, la
cui configurabilità già è in radice esclusa dalla pregressa condotta dello Zinzi.
2.4 II ricorso, nel suo inutile tentativo di accreditare l’ipotesi di una repentina,
imprevedibile ed immotivata aggressione ai danni dell’imputato, si rivela dunque
generico quanto alle censure mosse alla motivazione della sentenza sul punto e
manifestamente infondato in ordine alla sussistenza dei presupposti di operatività della
causa di giustificazione evocata.
2.5 Inammissibili per le medesime ragioni sono infine le doglianze avanzate con il
ricorso sulla configurabilità del reato di rissa, che a loro volta scontano l’indifferenza del
ricorrente per quanto argomentato dalla sentenza sulla ricostruzione dei fatti e sul
significato della condotta dell’imputato ai fini dell’innesco dello scontro con i suoi
avversari.

3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della
somma, ritenuta congrua, di euro mille alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

lo scontro con i suoi “avversari” convinto – a torto o a ragione è irrilevante – di poterli

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 29/4/2014

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