Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24016 del 29/04/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 24016 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RAMPAZZO GENNARO N. IL 06/12/1976
LUBRANO MAURIZIO N. IL 17/09/1979
avverso la sentenza n. 11534/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
15/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO
enera e in per
che ha concluso per

Data Udienza: 29/04/2014

udito il procuratore generale in persona del sost.proc.gen. dott. M. Fraticelli, che ha concluso
per la inammissibilità del ricorso,
udito il, difensore della parte civile Carhart inc., avv. M. Bucarelli che si è riportato alle
depositate conclusioni scritte e ha depositato anche nota spese,
udito il difensore del Rampazzo, avv. M. Cinquegrana, che si è riportato al ricorso e ne ha
chiesto raccoglimento,

1. Con la sentenza di cui in epigrafe, la corte d’appello di Napoli, ha confermato la
pronuncia di primo grado con la quale Rampazzo Gennaro e Lubrano Maurizio furono
condannati alla pena di giustizia in quanto riconosciuti colpevoli del delitto di cui agli articoli
110 e 474 cp con riferimento alla detenzione per la vendita di numerosi jeans, apparentemente
recanti marche di famose case di moda, nonché di etichette e marchi e bottoni per jeans.
2. Ricorrono per cassazione personalmente entrambi gli imputati.
3. Lubrano deduce manifesta illogicità e carenza della motivazione per non avere il
giudice di secondo grado giustificato in maniera congrua e logica la pena concretamente
irrogata.
4. Rampazzo deduce violazione di legge e travisamento del fatto in quanto i giudici non
hanno compreso le conclusioni rassegnate dal perito, conclusioni in base alle quali, ai sensi
dell’articolo 49 cp, l’imputato avrebbe dovuto essere assolto, dovendosi prendere atto della
sussistenza dell’ipotesi del cosiddetto reato impossibile, come emerge dal fatto che il segno
distintivo è simile ma non uguale, che la qualità del prodotto sequestrato è certamente
inferiore, che il marchio è riprodotto in serigrafia, che i codici di controllo non corrispondono. Il
giudice di secondo grado ha basato il suo convincimento sulla cosiddetta post sale con fusion,
facendo leva sulla potenzialità ingannevole del prodotto, non solo in riferimento momento
dell’acquisto, ma anche a quello successivo dell’utilizzazione dei beni contraffatti. Ebbene, tutti
sanno che un capo d’abbigliamento relativo a una delle case di cui al capo di imputazione non
può mai essere venduto nel portabagagli di una autovettura. Ne consegue che la fede pubblica
non è certamente lesa quando vi è piena consapevolezza da parte di tutti cittadini della falsità
della merce che qualcuno ha acquistato. In realtà i beni sotto sequestro non erano idonei a
indurre in inganno il consumatore.
5. Sono poi stati depositati motivi aggiunti a firma dell’avvocato Cinquegrana, con i
quali si riprendono e si ribadiscono le argomentazioni personalmente sviluppate dal Rampazzo.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambi i ricorsi sono inammissibili. Ciascun ricorrente va condannato alle spese del
grado e al versamento di somma a favore della cassa delle ammende, somma che si stima
equo determinare in C 1000.
2. Il ricorso del Lubrano è assolutamente generico; esso è letteralmente così articolato:
“il collegio giudicante ha inadeguatamente motivato la sentenza impugnata, integrando, in tal
modo, il vizio lamentato. Si rappresenta, a tal proposito, che va fatto obbligo giudicante di
motivare in maniera congrua e logica la pena concretamente irrogata”.
È dunque di tutta evidenza che il ricorrente non ha in alcuna maniera illustrato il fondamento
della doglianza proposta innanzi a questo giudice di legittimità.
3. Il ricorso della Rampazzo è manifestamente infondato e quindi anche esso
inammissibile..
3.1. Invero, integra il delitto di cui all’art. 474 cp la detenzione per la vendita di prodotti
recanti marchio contraffatto; né, a tal fine, ha rilievo la configurabilità della cosiddetta
contraffazione grossolana, considerato che l’art. 474 tutela, in via principale e diretta, non già

RITENUTO IN FATTO

la libera determinazione dell’acquirente, ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei
cittadini nei marchi o segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti
industriali e ne garantiscono la circolazione; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo, per la
cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno e nemmeno ricorre l’ipotesi del
reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano
tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno (ASN 201220944-RV
252836). Non è dunque la libera determinazione dell’acquirente ciò che la norma vuole
tutelare, in via principale.

PQM
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e al versamento della somma di mille euro alla cassa delle ammende, nonché al
rimborso delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che liquida in euro 2000, oltre
accessori come per legge.
Così deciso in Roma, in data 29.1V. 2014.-

4. I ricorrenti vanno inoltre condannati al solidale ristoro delle spese sostenute in
questo grado di giudizio dalla costituita parte civile, spese che si liquidano come da dispositivo.

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