Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24011 del 22/01/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 24011 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: CAMMINO MATILDE

Data Udienza: 22/01/2013

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PANTALONI SIMONE N. IL 30/06/1981
avverso la sentenza n. 30238/2011 TRIB.SEZ.DIST. di FABRIANO,
del 31/01/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MATILDE CAMMINO;

cv,

Con sentenza
sentenza in data 31 gennaio 2012 il Tribunale di Ancona, sezione distaccata di
Fabriano, applicava a Pantaloni Simone, su richiesta delle parti, la pena di mesi uno, giorni dieci di
reclusione ed euro 70,00 di multa in ordine al reato di furto pluriaggravato, commesso in Fabriano il
19 gennaio 2009, in continuazione con i reati oggetto della sentenza del Tribunale di Ancona,
sezione distaccata di Fabriano, n.230/2010, irrevocabile dall’8 gennaio 2011, con le circostanze
attenuanti generiche equivalenti e con la riduzione per il rito.
Avverso detta sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

dall’art.444 c.p.p..
Il ricorso è generico e, comunque, manifestamente infondato atteso che il giudice,
nell’applicare la pena concordata, si è adeguato al contenuto dell’accordo tra le parti che
comprendeva, come si desume dal calcolo della pena a f.2 della sentenza impugnata, anche la
riduzione per il rito. Del resto la valutazione di congruità della pena oggetto dell’accordo tra le parti
deve aver riguardo alla pena indicata nel risultato finale indipendentemente dai singoli passaggi
interni, in quanto è unicamente il risultato finale che assume valenza quale espressione ultima e
definitiva dell’incontro della volontà delle parti (Cass. sez.III 28 maggio 2009 n.28641, Fontana;
sez.IV 28 gennaio 2000 n.518, Carrello). Nel ricorso per cassazione avverso sentenza che applichi
la pena nella misura patteggiata tra le parti non è comunque ammissibile proporre motivi
concernenti la misura della pena, a meno che si versi in ipotesi di pena illegale. La richiesta di
applicazione della pena e l’adesione alla pena proposta dall’altra parte integrano, infatti, un
negozio di natura processuale che, una volta perfezionato con la ratifica del giudice che ne ha
accertato la correttezza, non è revocabile unilateralmente, sicché la parte che vi ha dato origine, o
vi ha aderito, così rinunciando a far valere le proprie difese ed eccezioni, non è legittimata, in
sede di ricorso per cassazione, a sostenere tesi concernenti la congruità della pena, in contrasto
con l’impostazione dell’accordo al quale le parti processuali sono addivenute” (Cass. Sez.III
27marzo 2001 n.18735, Ciliberti).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che,
alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo
profili di colpa, si stima equo determinare in euro 1.511,00.
P.Q.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a pagamento delle spese processuali e al versamento
alla Cassa delle ammende di una somma di euro 1.500,00.
Così deciso in Roma il 22 gennaio 2013
il cons. est.

Con il ricorso si deduce la violazione di legge per la mancata riduzione della pena prevista

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