Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24009 del 26/03/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 24009 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DIOUME NDIOGOU N. IL 26/02/1966
avverso la sentenza n. 684/2011 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
SASSARI, del 05/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere
Dott. ANGELO CAPUTO
. .
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Udito, per la parte
Udit i difensor

ile, l’Avv

Data Udienza: 26/03/2014

Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte
di cassazione dott. F. Salzano, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito altresì per il ricorrente l’avv. E. Morette, che si è riportato ai motivi di
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza deliberata in data 05/12/2012, la Corte di appello di

con la quale il Tribunale di Alghero aveva assolto Dioume Ndiogou dal reato di
cui all’art. 474 cod. pen., ha dichiarato l’imputato colpevole del reato ascrittogli e
lo ha condannato alla pena di giustizia. Esclusa la necessità di disporre la
rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale sollecitata dal P.G., essendo possibile
decidere il processo allo stato degli atti, la Corte di merito rileva quanto segue:
alla discesa della nave proveniente da Genova, dove si sarebbe recato per
l’acquisto di prodotti contraffatti, l’imputato era stato trovato in possesso di un
borsone contenente capi di maglieria non recanti marchi alterati o contraffatti,
ma ancora impacchettati e destinati alla successiva vendita; in relazione a tali
capi, nessuna documentazione fiscale idonea a giustificarne l’acquisto era stata
esibita dall’imputato, che, per le modalità di trasporto, per la dubbia provenienza
della merce e per i segni di nervosismo mostrati, era stato condotto in caserma
per accertamenti; presso l’abitazione la polizia giudiziaria aveva rinvenuto 310
capi di vestiario, occhiali e custodie, scarpe, borse, portamonete e cinture, tutti
recanti marchi contraffatti; è stato univocamente accertato che la merce
posseduta dall’imputato era provvista di marchi contraffatti e tutelati dal marchio
di impresa, sicché è assodato che egli fosse in possesso di beni di provenienza
delittuosa (commercio di prodotti con segni falsi, essendo inequivocabile che la
merce contraffatta venne ricevuta per la rivendita, dato che l’imputato aveva
detenuto in un borsone i prodotti contraffatti, stivandone altri all’interno di un
suo magazzino in procinto di metterli in commercio); la quantità di prodotti
contraffatti detenuti, i diversi luoghi di possesso, le modalità di trasporto in
Sardegna, la condotta tenuta durante la perquisizione attestano la sussistenza
dell’elemento psicologico del reato.

2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Cagliari – sezione
distaccata di Sassari ha proposto ricorso per cassazione, nell’interesse di Dioume
Ndiogou, il difensore avv. Edoardo Morette, articolando tre motivi di seguito
enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.

2

Cagliari – sezione distaccata di Sassari, in riforma della sentenza del 14/06/2011

2.1. Vizio di motivazione. E’ pacifico che all’atto della verifica della polizia
giudiziaria l’imputato non aveva con sé alcun capo di abbigliamento recante
marchi contraffatti, marchi, invece, rinvenuti all’esito di una successiva
perquisizione in un’abitazione in cui il ricorrente era domiciliato unitamente ad
altri connazionali: del tutto contraddittoria e illogica è la motivazione della
sentenza impugnata, laddove, da una parte, presuppone che la merce detenuta
nel borsone fosse priva di marchi contraffatti e, dall’altra, basa la pronuncia di
condanna sul fatto che l’imputato deteneva in un borsone i prodotti contraffatti.

fa riferimento ai distinti luoghi in cui i prodotti contraffatti erano detenuti e alle
modalità di trasporto in Sardegna, rilievi entrambi smentiti dal fatto che il
borsone non conteneva prodotti contraffatti. Anche la quantità rinvenuta
nell’abitazione (e non nel magazzino) in cui era domiciliato l’imputato non poteva
rilevare come prova d’accusa, posto che l’appartamento era abitato da diversi
connazionali dell’imputato (e al momento dell’arrivo della Guardia di Finanza era
presente altra persona) e nulla esclude che i prodotti contraffatti appartenessero
a terzi, tanto più che l’imputato proveniva dalla penisola con merce non
contraffatta e non poteva avere contezza di quanto detenuto dai coinquilini.
2.2. Vizio di motivazione. Il giudice di primo grado aveva evidenziato la
totale carenza di indicazioni utili circa le caratteristiche dei prodotti: consapevole
di tale lacuna probatoria, il Procuratore generale appellante aveva sollecitato la
riapertura dell’istruttoria con l’esame del corpo del reato ovvero con una perizia,
ma la Corte di appello, con motivazione apodittica o apparente, ha rigettato la
richiesta.
2.3. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale. Partendo dalla
pacifica circostanza che nel borsone dell’imputato non vi erano prodotti
contraffatti, non può dirsi dimostrata la circostanza che gli stessi fossero
destinati alla vendita: l’imputato non aveva con sé prodotti contraffatti e quelli
rinvenuti presso l’abitazione in cui era domiciliato ben potevano appartenere a
terzi, sicché non pare raggiunta la prova della detenzione finalizzata alla vendita.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato. Sussiste, infatti, il vizio di motivazione denunciato con il
primo motivo, restando assorbiti gli ulteriori motivi.
Deve premettersi che, nel giudizio di appello, in assenza di mutamenti del
materiale probatorio acquisito al processo, la riforma della sentenza assolutoria
di primo grado, una volta compiuto il confronto puntuale con la motivazione della
decisione di assoluzione, impone al giudice di argomentare circa la configurabilità

3

L’illogicità della motivazione trova ulteriore riscontro nel passaggio in cui la Corte

del diverso apprezzamento come l’unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole
dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano
minato la permanente sostenibilità del primo giudizio (Sez. 6, n. 8705 del
24/01/2013 – dep. 21/02/2013, Farre e altro, Rv. 254113).
Orbene, nel caso di specie, la sentenza di appello ha dato contro che i capi
di maglieria rinvenuti nel borsone dell’imputato al momento del suo sbarco – pur
essendo impacchettati e destinati alla successiva vendita – non recavano marchi
alterati o contraffatti; dopo aver passato in rassegna i vari oggetti recanti marchi

rileva che lo stesso aveva detenuto in un borsone i prodotti contraffatti,
stivandone altri in un suo magazzino, sicché la quantità dei prodotti contraffatti
detenuti, i distinti luoghi di possesso e le modalità di trasporto in Sardegna
attestavano – in uno con il nervosismo dimostrato durante la perquisizione – la
sussistenza dell’elemento psicologico. Presupposto della conclusione cui giunge
la Corte di merito è, dunque, la detenzione nel borsone di prodotti contraffatti,
circostanza, questa, che sola giustifica i rilievi circa la quantità d prodotti, la
pluralità dei luoghi di detenzione e le modalità di trasporto: la medesima
circostanza, peraltro, è smentita dalla stessa sentenza impugnata, laddove,
come si è visto, ha precisato che i capi contenuti nel borsone non recavano
marchi alterati o contraffatti. La sentenza, dunque, è internamente
“contraddittoria”, ossia viziata da insormontabili incongruenze tra le sue diverse
parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute (Sez. 1, n.
41738 del 19/10/2011 – dep. 15/11/2011, Pmt in proc. Longo, Rv. 251516).
E’ fondata, altresì, l’ulteriore censura dedotta con il primo motivo. La
motivazione della sentenza impugnata non è realmente idonea a rappresentare
le ragioni poste a fondamento del giudizio di responsabilità (Sez. 1, n. 41738 del
19/10/2011 – dep. 15/11/2011, Pmt in proc. Longo, Rv. 251516) con particolare
riferimento agli oggetti, con marchi contraffatti, rinvenuti nell’abitazione
dell’imputato, la cui attribuibilità all’imputato non ha formato oggetto di alcuna
specifica motivazione.
La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata con rinvio per
nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Cagliari.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione
della Corte di appello di Cagliari.
Così deciso il 26/03/2014.

contraffatti rinvenuti nel luogo di abitazione dell’imputato, la Corte di appello

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