Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24008 del 26/03/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 24008 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ROVANI VITTORIO N. IL 21/03/1943
ROVANI PAOLO N. IL 19/02/1966
GIORDANO GASPARE N. IL 17/06/1942
avverso la sentenza n. 4390/2009 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
16/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO

Data Udienza: 26/03/2014

Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte
di cassazione dott. F. Salzano, che ha concluso per rigetto del ricorso.
Udito altresì per il ricorrente G. Giordano l’avv. M. Fanti, che si riporta ai
motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza deliberata in data 16/02/2012, la Corte di appello di Firenze

dichiarava Vittorio Rovani, Paolo Rovani e Gaspare Giordano colpevoli di
bancarotta fraudolenta patrimoniale, bancarotta fraudolenta documentale e
causazione del fallimento con dolo in relazione alla Armo s.r.I., dichiarata fallita il
29-30/05/1997, condannandoli alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni
in favore della parte civile. Come emerge dalla sentenza di primo grado, Vittorio
Rovani è stato condannato quale amministratore di fatto della società dal
28/05/1996, Paolo Rovani quale amministratore di diritto e prestanome del
padre Vittorio, Gaspare Giordano quale concorrente nelle attività di distrazione.
Fra maggio e luglio 1996 Paolo Rovani e Vittorio Rovani acquistavano, con due
atti successivi, le quote della società dai coniugi Angelini: già dopo il primo atto,
Paolo Rovani venne nominato nuovo amministratore, sempre assistito e spesso
sostituito dal padre e, nella sede di Grosseto, anche da Gaspare Giordano, amico
e persona di fiducia dei Rovani che, su loro richiesta, si era trasferito da Napoli a
Grosseto per svolgere il ruolo di delegato alla gestione delle vendite e degli
acquisti della società. La sede sociale venne trasferita a Castel Volturno e, con il
pretesto del trasferimento del magazzino merci, le somme risultanti
contabilmente sui conti bancari, il denaro contante e i pochi beni strumentali
sparirono senza che potessero essere rintracciati né a Grosseto, né a Castel
Volturno: il consulente del P.M. ha quantificato in oltre 500 milioni di lire il
patrimonio sottratto alla società. Dopo il trasferimento delle quote ai Rovani il
professionista incaricato della tenuta delle scritture contabili dai precedenti
titolari, consegnava tutta la documentazione in suo possesso a Paolo Rovani,
che, dopo il fallimento, la consegnava al curatore mancante del registro degli
/
inventari e dei partitari ed aggiornata al 30/06/1996, ossia fino alla consegna:
per il periodo successivo non veniva consegnata alcuna documentazione
regolarmente tenuta (tranne qualche fattura e qualche documento sparso);
Infatti, la gestione dei Rovani era stata orientata alla realizzazione di somme
contanti – perciò mai affluite nelle casse sociali – ed alla sottrazione dei beni e
dei crediti della fallita. La ricostruzione del Tribunale di Grosseto era fondata,
oltre che sulle deposizioni e sulle relazioni del curatore e del consulente del

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ha confermato la sentenza del 04/03/2009 con la quale il Tribunale di Grosseto

pubblico ministero, sulle dichiarazioni di numerosi testi: per alcuni di essi, nel
frattempo deceduti, erano state acquisiti i relativi verbali; vari fornitori avevano
riferito delle difficoltà di ottenere i pagamenti delle forniture intercorse con i
nuovi soggetti e, in molti casi, avevano individuato, attraverso ricognizioni
fotografiche, le persone con le quali avevano trattato. Secondo il Tribunale di
Grosseto, unico scopo dei Rovani e di Giordano era di trarre ogni vantaggio dello
svuotamento della società, intenzione manifestata fin dai primi atti, posto che:
l’acquisizione non fu preceduta dal alcun preventivo esame delle scritture

vuoto; Paolo Rovani fu utilizzato come testa di legno, dato che il padre confidava
nella sua sostanziale impunità in quanto tossicomane. La tesi difensiva secondo
cui i Rovani sarebbero stati raggirati dall’Angelini, precedente titolare, è smentita
dall’evidenza della sfrontata condotta predatoria dei Rovani. Inconsistente è
anche la tesi difensiva di Giordano, giunto a Grosseto dopo che il Rovani erano
subentrati nella titolarità della società.
Investita dagli appelli degli imputati, la Corte di merito rileva che: i ruoli
attribuiti agli imputati dalla sentenza di primo grado si basano su prove
documentali (relazioni e consulenze) e su numerosissime e insuperabili
testimonianze, provenienti da fornitori o da venditori della fallita; le dichiarazioni
rese dai testi deceduti sono state acquisite legittimamente; le dichiarazioni rese
Bismuto – cognato di Vittorio Rovani – sono articolate e precise e hanno trovato
molteplici e circostanziati riscontri; significative sono le testimonianze del
curatore Barzagli, del notaio Usticano e del consulente Rossi; risulta evidente che
Vittorio Rovani ha gestito di fatto la società nell’anno precedente il fallimento,
strumentalizzando il figlio dietro il quale operava dopo avergli fatto assumere il
ruolo formale di legale rappresentante della società; i comportamenti illeciti di
Angelini e delle figlie sono stati sanzionati separatamente e non escludono certo
la responsabilità degli imputati.
La richiesta di applicazione del condono deve essere disattesa dato che i
precedenti dei prevenuti consigliano di rimandare l’applicazione del beneficio alla
naturale sede esecutiva, onde evitare duplicazioni.

2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Firenze hanno
proposto ricorso per cassazione i difensori degli imputati, articolando vari motivi
di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc.
pen.

3. Nell’interesse di Vittorio Rovani ha proposto ricorso per cassazione il
difensore avv. Aldo Tisi, articolando due motivi.

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contabili e del bilancio; il notaio fu pagato da Paolo Rovani con un assegno a

3.1. Difetto di motivazione in ordine al diniego di applicazione dell’indulto in
favore dell’imputato: così come il giudice di primo grado, anche la Corte di
appello ha omesso di motivare in ordine alla richiesta di applicazione dell’indulto.
3.2. Vizio di motivazione in ordine alla rilevanza delle prove a carico
dell’imputato. Le prove documentali indicate, ossia le relazioni del curatore e del
consulente del pubblico ministero, sono state sconfessate nel corso del
controesame dibattimentale, mentre contraddittorio e illogico è il richiamo alle
deposizioni di numerosi testimoni, posto che esso è poi accompagnato dal

primo coimputato nel procedimento, mentre gli altri non esaminati in
dibattimento in quanto deceduti, sicché si è proceduto all’acquisizione dei verbali
di sommarie informazioni rese nel corso delle indagini preliminari. Il giudice di
appello non dà conto delle numerose altre testimonianze citate né degli elementi
a discarico emersi in dibattimento circa il ruolo della famiglia Angelini. La
pronuncia della Corte di appello è viziata, da una parte, per la mancanza di
motivazione circa le prove a discarico e, dall’altra, per la contraddittorietà e le
illogicità della ritenuta rilevanza delle deposizioni dei quattro testi indicati.

4. Nell’interesse di Paolo Rovani ha proposto ricorso per cassazione il
difensore avv. Aldo Tisi, articolando tre motivi.
4.1. Difetto di motivazione in ordine al diniego di applicazione dell’indulto in
favore dell’imputato: così come il giudice di primo grado, anche la Corte di
appello ha omesso di motivare in ordine alla richiesta di applicazione dell’indulto.
4.2. Vizio di motivazione in ordine alla rilevanza delle prove a carico
dell’imputato. Le prove documentali indicate, ossia le relazioni del curatore e del
consulente del pubblico ministero, sono state sconfessate nel corso del
controesame dibattimentale, mentre contraddittorio e illogico è il richiamo alle
deposizioni di numerosi testimoni, posto che esso è poi accompagnato dal
riferimento alle sole deposizioni dei testi Angelini, Cecchi, Coppi e Bisnuto, il
primo coimputato nel procedimento, mentre gli altri non esaminati in
dibattimento in quanto deceduti, sicché si è proceduto all’acquisizione dei verbali
di sommarie informazioni rese nel corso delle indagini preliminari. Il giudice di
appello non dà conto delle numerose altre testimonianze citate né degli elementi
a discarico emersi in dibattimento circa il ruolo della famiglia Angelini. La
pronuncia della Corte di appello è viziata, da una parte, per la mancanza di
motivazione circa le prove a discarico e, dall’altra, per la contraddittorietà e le
illogicità della ritenuta rilevanza delle deposizioni dei quattro testi indicati.
4.3. Vizio di motivazione in ordine all’attribuzione di responsabilità in
relazione alla carica di responsabile legale. E’ contraddittorio il riconoscimento

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riferimento alle sole deposizioni dei testi Angelini, Cecchi, Coppi e Bisnuto, il

della sostanziale inconsistenza del ruolo esclusivamente formale di Paolo Rovani
con la riconosciuta responsabilità per le fattispecie oggetto del procedimento: la
Corte, pur facendo riferimento alla strumentalizzazione di Paolo Rovani operata
dal padre Vittorio, non spiega come il primo possa essere colpevole essendo
stato strumentalizzato.

5. Nell’interesse di Gaspare Giordano ha proposto ricorso per cassazione il
difensore avv. Marco Fanti, articolando due motivi.

216 I. fall. Dall’istruttoria dibattimentale è emersa esclusivamente la presenza di
Giordano presso l’azienda per un periodo limitato quale incaricato dai Rovani
della gestione del magazzino e del lavoro dei venditori: l’imputato non ha avuto
alcun ruolo nelle vicende societarie, non è stato titolare di quote né
amministratore, non si è impossessato di somme riscosse dai venditori, sicché, al
di là della semplice presenza in azienda, nulla di specifico gli è stato contestato e
nulla è emerso.
5.2. Vizio di motivazione in ordine alla consapevolezza di Giordano di
agevolare i Rovani nel depauperare la società dell’attivo. La motivazione della
sentenza impugnata circa la raggiunta prova dei ruoli rivestiti dagli imputati, è,
con riferimento a Giordano, apparente, posto che nessun teste è stato in grado
di riferire se l’imputato abbia svolto compiti diversi da quello di magazziniere:
dagli atti emerge invece che l’imputato non aveva alcuna capacità decisionale e
non è mai stato coinvolto nei rapporti con Angelini.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso nell’interesse di Vittorio Rovati deve essere rigettato.
1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato. La Corte di appello non ha
escluso l’applicazione dell’indulto, ma, con argomentazione genericamente
riferita agli imputati, si è limitata ad osservare che i loro precedenti consigliano
di rimandare l’applicazione del beneficio alla naturale sede esecutiva, onde
evitare duplicazioni: mancando una statuizione negativa in ordine all’applicabilità
del beneficio, trova applicazione il principio di diritto affermato da questa Corte
secondo cui il ricorso per cassazione avverso la mancata applicazione dell’indulto
è ammissibile solo qualora il giudice di merito abbia esplicitamente escluso detta
applicazione, mentre nel caso in cui abbia omesso di pronunciarsi deve essere
adito il giudice dell’esecuzione (Sez. 5, n. 43262 del 22/10/2009 – dep.
12/11/2009, Albano e altri, Rv. 245106; conf.: Sez. 3, n. 25135 del 15/04/2009
– dep. 17/06/2009, Renda, Rv. 243907).

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5.1. Inosservanza o erronea applicazione degli artt. 110 cod. pen. e 223,

1.2. Il secondo motivo non è fondato.
Per un verso, le censure relativamente alla “sconfessione” delle risultanze di
cui alla relazione del curatore e del consulente tecnico sono del tutto generiche,
in quanto svincolate dalla specifica indicazioni degli elementi di prova sui quali si
fonderebbe.
Il riferimento solo ad alcune delle numerose testimonianze raccolte in primo
grado non inficia la motivazione della pronuncia della Corte di appello: essa,
infatti, per un verso, ha richiamato la sentenza di primo grado che ha dato conto

con la società, e, per altro verso, sottolineata la piena utilizzabilità delle
dichiarazioni rese da persone informate sui fatti

medio tempore decedute,

delinea con chiarezza – sulla base di un «imponente materiale probatorio» – il
ruolo di dominus della vicenda rivestito dall’imputato, che, come segnala la
sentenza impugnata, ha di fatto gestito la società nell’anno precedente il
fallimento, strumentalizzando senza scrupoli il figlio, dietro il quale operava.
Quanto al riferimento contenuto nel ricorso alla presenza pienamente
operativa della famiglia Angelini anche dopo la cessione delle quote sociali, la
Corte di merito ha rimarcato come i comportamenti di tali persone, sanzionati
separatamente, non escludano la responsabilità degli imputati. Del tutto
generica, in quanto svincolata da qualsiasi riferimento alla loro specifica
individuazione e alla relativa incidenza sull’impianto argomentativo della
sentenza impugnata, sono i riferimenti alle risultanze probatorie a discarico e
all’attendibilità delle dichiarazioni di Angelini.

2. Il ricorso nell’interesse di Paolo Rovani deve essere accolto nei termini di
seguito specificati. E’ fondato il terzo motivo di ricorso, specificamente attinente
all’attribuzione di responsabilità all’imputato, restando assorbiti i primi due.
I motivi di appello nell’interesse di Paolo Rovani, così come ricostruiti dalla
stessa sentenza impugnata, deducevano l’assenza di qualsiasi potere decisionale
in capo all’imputato e la mancata conoscenza delle condotte altrui, richiamando,
oltre alla condizione di tossicodipendenza in cui versava, alcune dichiarazioni che
lo descrivevano come una persona scarsamente presente in azienda, che non
contava nulla e non aveva coscienza di quanto avveniva intorno a lui.
Richiamando genericamente i ruoli attribuiti agli imputati dalla sentenza di
primo grado, la Corte di merito ha omesso il puntuale esame delle deduzioni
dell’appellante, pur dando atto, come si è visto, della strumentalizzazione del
figlio operata da Vittorio Rovani, e, sulla scorta della pronuncia del Tribunale di
Grosseto, definendo il suo ruolo come quello di un prestanome o di una testa di
legno (“un cagnolino vicino al padre”, secondo quanto dichiarato da un teste).

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delle numerose testimonianze rese da soggetti entrati in contatto, a vario titolo,

Di conseguenza, le argomentazioni addotte dal giudice a dimostrazione della
fondatezza del suo convincimento risultano prive di completezza in relazione a
specifiche doglianze formulate dall’interessato con i motivi d’appello e dotate del
requisito della decisività (Sez. 6, n. 35918 del 17/06/2009 – dep. 16/09/2009,
Greco, Rv. 244763). A ciò si aggiunga, che la sentenza impugnata ha altresì
omesso di valutare il ruolo di Paolo Rovani con specifico riferimento ai diversi
fatti di bancarotta allo stesso ascritti, distinguendo, in particolare, i fatti di
bancarotta documentale da quelli di bancarotta patrimoniale: distinzione, questa,

deduzioni difensive, potrebbe assumere rilievo alla luce dell’orientamento di
questa Corte secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta, mentre con
riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai
creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto
investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto
“testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di
diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con
riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei
confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il
principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni
nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in
assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la
presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole
accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica
la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto (Sez. 5,
n. 19049 del 19/02/2010 – dep. 19/05/2010, Succi e altri, Rv. 247251).

3. Anche il ricorso nell’interesse di Gaspare Giordano deve essere accolto,
con riferimento ad entrambi i motivi dedotti e nei termini di seguito specificati.
I motivi di appello nell’interesse di Gaspare Giordano, così come ricostruiti
dalla stessa sentenza impugnata, deducevano l’attività meramente esecutiva di
magazziniere – come risultante da alcune testimonianza – svolta dall’imputato,
privo di qualsiasi potestà decisionale con riguardo alle vendite operate da
Angelini, sia all’operato del “gruppo Rovani”, nonché il carattere limitato dei
rapporti intercorsi con alcuni terzi e del periodo di tempo in cui ha operato per la
società.
A fronte di tali la deduzioni, anche con riguardo a Gaspare Giordano, la
Corte di merito si è limitata a richiamare genericamente i ruoli attribuiti agli
imputati dalla sentenza di primo grado, così sottraendosi alla compiuta
dimostrazione della fondatezza del suo convincimento, risultando la motivazione

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che, ricostruito il ruolo di Paolo Rovani all’esito del puntuale esame delle

priva di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate dall’interessato
con i motivi d’appello e dotate del requisito della decisività (Sez. 6, n. 35918 del
17/06/2009 – dep. 16/09/2009, Greco, Rv. 244763).

4. Pertanto, mentre la sentenza impugnata deve essere annullata nei
confronti di Rovani Paolo e Giordano Gaspare, con rinvio per nuovo esame ad
altra sezione della Corte di appello di Firenze, il ricorso di Rovani Vittorio deve
essere rigattato, con condanna dello stesso al pagamento delle spese del

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Rovani Paolo e Giordano
Gaspare con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di
Firenze. Rigetta il ricorso di Rovani Vittorio che condanna al pagamento delle
spese del procedimento.
Così deciso il 26/03/2014.

procedimento.

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