Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23997 del 16/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 23997 Anno 2014
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

Data Udienza: 16/05/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Leone Massimo nato il 1° giugno 1978, avverso la
sentenza della Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, del 24
giugno 2013.Sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di
Marzio; udite le conclusioni del sostituto procuratore generale Giuseppina
Fodaroni, che ha chiesto rigettarsi il ricorso; udito il difensore dell’imputato,
avv. Angelo Martucci, che ha chiesto accogliersi il ricorso.
OSSERVA
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di
Taranto,ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Taranto in data 21
maggio 2008 di condanna di Leone Massimo per il delitto di ricettazione
avente ad oggetto un telefonino.
Nel ricorso presentato nell’interesse dell’imputato si lamentano violazione di
legge e vizio di motivazione per avere la corte territoriale fondato la propria
decisione sulle contrastanti deposizioni dell’imputato, il quale in sede di
indagini affermò di aver acquistato il telefonino da uno sconosciuto mentre in
dibattimento sostenne di aver trovato il telefonino per terra, senza tenere

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conto della inutilizzabilità delle prime dichiarazioni in quanto rese in un
verbale redatto senza la garanzia del diritto di difesa nei confronti di un
soggetto che già risultava essere indagato per il delitto in oggetto.
La Corte territoriale si è adeguata al costante orientamento della
giurisprudenza di legittimità secondo il quale, ai fini della configurabilità del
delitto di ricettazione è necessaria la consapevolezza della provenienza illecita
del bene ricevuto, senza che sia peraltro indispensabile che tale
consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle

circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, potendo
anche essere desunta da prove indirette, allorché siano tali da generare in
qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune
esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto. Questa
Corte ha più volte, del resto, affermato che la conoscenza della provenienza
delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e
quindi anche dal comportamento dell’imputato che dimostri la consapevolezza
della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla mancata – o non
attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è
sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile
con un acquisto in mala fede (Cass. sez.II 11 giugno 2008 n.25756, Nardino;
sez.II 27 febbraio 1997 n.2436, Savic).
Nella sentenza impugnata l’assenza di plausibili spiegazioni in ordine alla
legittima acquisizione del bene mobile si pone come coerente e necessaria
conseguenza di un acquisto illecito. Infatti, la corte territoriale – prescindendo
anche dal considerare l’esito delle iniziali dichiarazioni – ha rilevato che nel
giorno in cui il proprietario del telefonino, appena acquistato nuovo, ne aveva
denunciato il furto, l’apparecchio fu rinvenuto nel possesso dell’imputato, il
quale in dibattimento si limitò a dichiarare inverosimilmente di aver trovato il
dispositivo per strada e, ritenendolo abbandonato perché inutilizzabile in
quanto malridotto, se n’era appropriato.Ed è perciò giunta alla logica
conclusione circa la penale responsabilità dell’imputato per il delitto di
ricettazione.

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Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della
Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

1.-

spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle
ammende.

Roma, 16.5.2014

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