Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2399 del 20/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 2399 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RUSSO SALVATORE N. IL 22/05/1962
avverso l’ordinanza n. 205/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
24/11/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
lette/tsrutitr le conclusioni del PG Dott. oL
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i’Udh i difensor Avv.; )

Data Udienza: 20/12/2013

RITENUTO IN FATTO
1. In data 24/11/2011 la Corte di Appello di Napoli ha rigettato l’istanza di
riparazione per ingiusta detenzione formulata nell’interesse di Russo Salvatore;
ingiusta detenzione subita dall’istante nell’ambito di un procedimento in cui gli
erano stati contestati i reati di associazione a delinquere, di concorso in
corruzione, peculato, ricettazione, abuso d’ufficio, omissione di atti d’ufficio e
violenza ex art.611 cod.pen., definito con sentenza di assoluzione perché il fatto

2. La Corte di Appello adìta ha rigettato la domanda ravvisando nel
comportamento extraprocessuale dell’istante – alla luce di quanto acquisito agli
atti – gli elementi di una condotta sinergica alla produzione dell’evento restrittivo
della libertà personale; in particolare, la Corte territoriale ha ritenuto ravvisabile
nella condotta di Russo Salvatore gli estremi della colpa grave, sulla scorta delle
seguenti specifiche circostanze fattuali che, ad avviso della Corte stessa,
avevano legittimato l’intervento dell’autorità nei confronti del Russo medesimo
con l’applicazione della misura restrittiva: 1) in occasione dell’interrogatorio reso
ai sensi dell’art. 294 cod.proc.pen. in data 7/06/1996 e del successivo
interrogatorio reso al pubblico ministero in data 12/06/1996 l’istante aveva
ammesso di essersi pienamente reso conto dapprima dell’inopportunità della
presenza presso i loro uffici di De Gaetano Aniello e di Aprea Salvatore, noti
pregiudicati; 2) Russo aveva ammesso di aver appreso dalla viva voce di costoro
e di aver constatato direttamente l’esistenza di episodi corruttivi, solo tentati ai
suoi danni, che coinvolgevano taluni suoi colleghi, e dichiarava di aver
informalmente evidenziato al funzionario dr. Cutolo tali episodi, ai quali
quest’ultimo era rimasto insensibile; 3) l’istante aveva ammesso di aver
percepito l’esistenza di pratiche di illegalità sotto specie di favori, anche di
rilevante valore economico, ottenuti dai pregiudicati, e di averlo segnalato al
proprio dirigente dr. Cutolo, che gli appariva pienamente coinvolto nei fatti
stessi, e ciò nonostante aveva omesso di segnalare i gravi fatti alle Forze
dell’Ordine per allontanare da sé e dal suo personale operato le ombre, che egli
sapeva gravare sull’intero Ufficio al quale apparteneva; 4) Russo, pubblico
ufficiale all’interno della Squadra di Polizia Giudiziaria della Polizia Stradale, pur a
conoscenza delle gravi, numerose e reiterate pratiche inopportune e sospette di
illiceità poste in essere dalla quasi generalità dei colleghi dell’ufficio di
appartenenza, con particolare riguardo alla equivoca ricezione da parte dei suoi
colleghi e superiori di regali costosi e continui da parte di pregiudicati e della
stessa equivocità delle condizioni nelle quali egli stesso aveva acquistato una
fornitura per la festa del figlio, aveva omesso di segnalare quanto appreso, così
2

non sussiste del 5/10/2009, divenuta irrevocabile in data 8/03/2010.

creando l’apparenza, valutata dal giudice della cautela

ex post,

di una

addebitabilità anche a lui degli accordi corruttivi e dei favori posti in essere da
altri, come accertato in sentenza.
3. Avverso tale provvedimento Russo Salvatore ha proposto ricorso per
Cassazione, con atto di impugnazione sottoscritto dal difensore, deducendo vizio
motivazionale in ordine alla ritenuta sussistenza della colpa grave, sostenendo
che la Corte territoriale avrebbe affermato, in maniera illogica, che l’istante
avrebbe dovuto denunciare i suoi sospetti; dalla lettura degli atti, secondo il

che, in ogni caso, alcuni colleghi gli avevano detto che il De Gaetano era un
informatore.
4.11 Ministero dell’Economia e delle Finanze ha depositato memoria
chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o sia respinto.
5.11 Procuratore Generale, in persona del dott. Luigi Riello, ha chiesto
l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato per l’infondatezza delle censure dedotte.
2. Secondo i principi elaborati e affermati nell’ambito della giurisprudenza di
questa Suprema Corte, nei procedimenti per la riparazione per ingiusta
detenzione, in forza della norma di cui all’art. 646 cod.proc.pen., da ritenersi
applicabile per il richiamo contenuto nell’art.315, comma 3, cod.proc.pen. – la
cognizione della Corte di Cassazione deve intendersi limitata alla sola legittimità
del provvedimento impugnato, ovviamente anche sotto l’aspetto della congruità
e logicità della motivazione, e non al merito. Per quel che concerne la verifica dei
presupposti e delle condizioni richieste perché sussista in concreto il diritto
all’equa riparazione – in particolare, l’assenza del dolo o della colpa grave
dell’interessato nella produzione dell’evento restrittivo della libertà personale – le
Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n.43/95 (Sez. U,
n. 43 del 13/12/1995, Sarnataro, Rv.203636), hanno enunciato il principio di
diritto secondo cui la Corte territoriale deve procedere ad autonoma valutazione
delle risultanze processuali rispetto al giudice penale. In epoca ancora più
recente, le stesse Sezioni Unite (Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, Rv. 222263)
hanno ulteriormente precisato quanto segue: “in tema di riparazione per ingiusta
detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o
concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo
autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare
riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica
negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del
convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, e
3

ricorrente, sarebbe invece evidente che il Russo aveva riferito al suo dirigente e

incensurabile in sede di legittimità” (nell’occasione, la Corte ha affermato che il
giudice deve fondare la deliberazione conclusiva su fatti concreti e precisi e non
su mere supposizioni, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima,
sia dopo la perdita della libertà personale, indipendentemente dall’eventuale
conoscenza, che quest’ultimo abbia avuto, dell’inizio dell’attività di indagine, al
fine di stabilire, con valutazione ex ante, non se tale condotta integri estremi di
reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in
presenza di errore dell’Autorità procedente, la falsa apparenza della sua
configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di

causa ad effetto).
3. E’, quindi, determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in
modo congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere
dall’istante ad ingenerare nel giudice che ha emesso il provvedimento restrittivo
della libertà il convincimento di un probabile coinvolgimento dell’odierno
ricorrente nei fatti oggetto dell’originaria imputazione.
3.1. Nella fattispecie in esame, la Corte d’Appello di Napoli, per quanto si
evince dall’impugnata ordinanza, ha motivato il proprio convincimento attraverso
un adeguato percorso argomentativo ed ha spiegato perchè le condotte ascritte
fossero idonee a determinare l’applicazione e la conferma della misura cautelare.
In particolare, il giudice della riparazione ha valorizzato le dichiarazioni rese da
Russo Salvatore in sede di interrogatorio ex art.294 cod.proc.pen. in data
7/06/1996 nonchè in sede di interrogatorio dinanzi al Pubblico Ministero in data
12/06/1996, desumendone, con motivazione congrua ed adeguata, un
comportamento extraprocessuale secondo il quale lo stesso si fosse pienamente
reso conto della presenza presso gli Uffici della Squadra di Polizia Giudiziaria
della Polizia Stradale di Napoli di noti pregiudicati ed avesse appreso dalla viva
voce di costoro, oltre che constatato direttamente, l’esistenza di episodi
corruttivi che coinvolgevano taluni suoi colleghi, ciò nonostante omettendo di
segnalare tali fatti alle Forze dell’Ordine per allontanare da sé e dal suo
personale operato le ombre gravanti sull’intero Ufficio al quale apparteneva.
3.2. Risulta, pertanto, evidente che si tratti di un

iter motivazionale

assolutamente incensurabile in quanto caratterizzato da argomentazioni
pienamente rispondenti ai criteri di logicità ed adeguatezza, nonché in sintonia
con i principi enunciati da questa Corte in tema di dolo e colpa grave quali
condizioni ostative al diritto all’equa riparazione; si ha colpa grave allorquando il
soggetto sia venuto meno all’osservanza di un dovere obiettivo di diligenza, con
possibilità di prevedere che, non rispettando la regola precauzionale, venendo g .
,

meno all’osservanza dei doveri di diligenza, si sarebbe verificato l’evento
“detenzione”; la sinergia, sulla custodia cautelare, del comportamento
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dell’istante può riguardare “sia il momento genetico che quello del permanere
della misura restrittiva”. Giova evidenziare, ancora, che le Sezioni Unite di
questa Corte, con la sentenza n.43 del 1995 già sopra ricordata, hanno
sottolineato che: a) deve intendersi dolosa.., non solo la condotta volta alla
realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia
esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta
consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento
riparatorio con il parametro dell’id quod plerumque accidit secondo le regole di

allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della
comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo; b) poiché inoltre, anche ai fini
che qui interessano, la nozione di colpa è data dall’art.43 cod.pen., deve ritenersi
ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione.., quella condotta che, pur
tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza,
imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme
disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile,
ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un
provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno
già emesso.
3.3. Con specifico riferimento all’ipotesi della connivenza, in relazione al
diritto all’equa riparazione, questa Corte ha già avuto modo di affrontare la
problematica della valenza della connivenza stessa quale condotta ostativa al
riconoscimento della riparazione. In particolare si è riconosciuta tale valenza in
tre casi: a) nell’ipotesi in cui l’atteggiamento di connivenza sia indice del venir
meno di elementari doveri di solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi
danni alle persone o alle cose (Sez. 4, n. 8993 del 15/01/2003, Lushay,
Rv. 223688); b) nel caso in cui la connivenza si concreti non già in un mero
comportamento passivo dell’agente con riguardo alla consumazione di un reato,
ma nel tollerare che tale reato sia consumato, sempre che l’agente sia in grado
di impedire la consumazione o la prosecuzione dell’attività criminosa in ragione
della sua posizione di garanzia (Sez. 4, n. 16369 del 18/03/2003, Cardillo,
Rv. 224773); c) nell’ipotesi in cui la connivenza passiva risulti aver
oggettivamente rafforzato la volontà criminosa dell’agente, sebbene il connivente
non intendesse perseguire questo effetto (Sez. 4, n. 42039 del 08/11/2006,
Cambareri, Rv. 235397; Sez. 4, n. 2659 del 03/12/2008, Vottari, Rv. 242538);
in tal caso è necessaria la prova positiva che il connivente fosse a conoscenza
dell’attività criminosa dell’agente medesimo (Sez. 4, n. 42039 del 08/11/2006,
Cambareri, Rv. 235397). È noto che la mera presenza passiva non integra il
concorso nel reato, a meno che non valga a rafforzare il proposito dell’agente di
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esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di

commettere il reato. Ma questo rafforzamento del proposito non è sufficiente per
ritenere il concorso dello “spettatore passivo”, essendo necessario che questi
abbia la coscienza e volontà di rafforzare il proposito criminoso. Nei casi in cui
l’elemento soggettivo in questione non sia provato ben può essere astrattamente
configurata gravemente colposa, perché caratterizzata da grave negligenza, la
condotta passiva del connivente per non aver valutato gli effetti della sua
condotta sul comportamento dell’agente, la cui volontà criminosa può essere
oggettivamente rafforzata anche se il connivente non intenda perseguire questo

partecipazione alle attività criminose di altri. Ma per poter pervenire a questa
conclusione è necessario che sia provata la conoscenza delle attività criminose
compiute (o almeno che con grave negligenza il connivente non se ne sia reso
conto).
4. Nella concreta fattispecie, avuto riguardo alle circostanze fattuali
evidenziate dalla Corte distrettuale, come sopra ricordato, non a caso con
riferimento al comportamento extraprocessuale del ricorrente, la motivazione
risulta logica laddove ha ritenuto che Russo Salvatore fosse a conoscenza
dell’illecita attività in cui appariva coinvolto ed avesse mantenuto una condotta
idonea a rafforzare oggettivamente la volontà dei conniventi, soggetti dediti a
pieno titolo in un’attività illecita; per tale motivo, correttamente la Corte
d’Appello ha inquadrato il comportamento di Russo Salvatore – tra le ipotesi
sopra ricordate alle quali la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto
riconducibile la condotta connivente ostativa al riconoscimento della riparazione quantomeno nell’ipotesi sub c).
4.1. Ad integrazione ed ulteriore specificazione delle ipotesi appena
elencate, il Collegio ritiene che debba essere sottolineato, comunque, che, in
tema di equa riparazione, il vaglio delle circostanze di fatto idonee ad integrare il
dolo o la colpa grave deve essere operato con giudizio ex ente e sulla base
dell’idoneità della condotta dell’indagato a “tranne in inganno” l’autorità
giudiziaria e a porsi come situazione sinergica alla causazione dell’evento
“detenzione”; se è vero dunque che la connivenza non è, certamente, concorso
nel reato, è altresì innegabile che la stessa, in presenza di determinati dati di
fatto, come quelli sottolineati dalla Corte di Appello nel caso in esame, possa
essere interpretata, almeno nella fase investigativa, appunto come concorso, con
possibili, negative conseguenze in tema di libertà: conseguenze dovute,
perlomeno, anche alla vistosa trascuratezza e superficialità di chi, pur solo
connivente, non tiene nel dovuto conto dei dati di fatto che potrebbero
oggettivamente coinvolgerlo.

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effetto; tale condotta può ritenersi, infatti, idonea a creare un’apparenza di

5. Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonché in ragione della soccombenza delle
spese di difesa in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze, liquidate in
complessivi euro 750,00.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero
dell’Economia per questo giudizio di Cassazione, liquidate in E.750,00.

Così deciso il 20/12/2013.

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