Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23966 del 11/03/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 23966 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Colucci Vincenzo, nato a Fasano il 16.1.1952, e da
Tundo Salvatora, nata a Martano il 19.7.1954;
avverso l’ordinanza emessa il 23 settembre 2013 dal tribunale del riesame
di Brindisi;
udita nella udienza in camera di consiglio dell’Il marzo 2014 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Gabriele Mazzotta, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della
ordinanza impugnata;
udito il difensore avv. Antonia Tundo;
Svolgimento de/processo
Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Brindisi confermò il
decreto del Gip del tribunale di Brindisi del 31.7.2013 di sequestro preventivo
di un manufatto di circa 43 mq in relazione ai reati di cui agli artt. 44, lett. b) e
c), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, 181 d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, 479 cod.
pen. Ritenne il tribunale che gli indagati avevano realizzato in tale manufatto,
destinato a deposito – autorimessa in zona soggetta a vincolo paesaggistico, opere interne (consistenti in un impianto di riscaldamento con termo camino, un
bagno completamente piastrellato, con lavandino, bidè, piano doccia e termosifone) tali da comportare il suo mutamento di destinazione ad uso esclusivamente residenziale. Vi era poi il periculum in mora perché il manufatto era ancora
allo stato rustico e il sequestro era diretto a interrompere il perfezionarsi del
reato e ad impedire l’aggravamento del carico urbanistico.
Gli indagati propongono personalmente ricorso per cassazione deducendo
mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Deducono che la motivaz –

Data Udienza: 11/03/2014

ne dell’ordinanza impugnata è inesistente, dal momento che non è stata data alcuna risposta alle censure in diritto da loro proposte. Il sequestro è stato infatti
ancorato ad elementi che non sono affatto univocamente significativi del mutamento di destinazione d’uso. Erroneamente poi l’ordinanza fa riferimento alla
ipotesi di mutamento di destinazione d’uso accompagnata da opere comportanti
aumento di cubatura, dal momento che nella specie è pacifico che non vi è stato
alcun aumento di cubatura. Inoltre, l’ordinanza impugnata non contiene alcuna
motivazione sulla eccezione che le opere e gli interventi da cui si desumerebbe
la variazione della destinazione d’uso risultano tutti assentiti ed autorizzati dai
competenti organismi della PA. I ricorrenti infatti hanno ottenuto dapprima il
permesso di costruire che è stato poi integrato da due permessi in sanatoria. Si
tratta perciò di opere tutte regolarmente assentite, che non hanno comportato alcuna irreversibile trasformazione dell’immobile e compatibili con la destinazione d’uso dei beni. La motivazione si risolve in una asserzione tautologica, non
essendo spiegato come attualmente un bagno possa essere privo di lavandino, o
di bidè, o di piatto doccia, o non essere piastrellato, e non essendo stati indicati
elementi che dimostrerebbero in modo evidente il mutamento di destinazione
d’uso. La circostanza che in un futuro potrebbe darsi luogo ad una eventuale
destinazione residenziale non potrebbe giustificare il provvedimento di sequestro, che presuppone l’esistenza di un reato.
Sostengono poi che è inesistente anche la motivazione sul periculum in
mora, dal momento che risulta dalla documentazione in atti (fotografie, comunicazione di fine lavori) che l’immobile non è affatto allo stato rustico ma ultimato in ogni sua parte. Non vi è poi pericolo di aggravamento del carico urbanistico perché l’immobile risultava non solo inutilizzato, ma anche privo di arredi che potessero giustificare il pericolo di utilizzo come abitazione, e comunque è pressoché adiacente alla abitazione principale, sicché non vi è alcun interesse ad abitare un deposito garage di appena 43 mq, dotato di bagnetto di cortesia e di altezza di appena m. 2,60.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato in quanto effettivamente l’ordinanza impugnata è caratterizzata da mancanza di motivazione o da motivazione astratta e meramente
apparente in ordine alle eccezioni specificamente proposte dai ricorrenti in sede
di riesame.
Innanzitutto, l’ordinanza impugnata parla di opere comportanti aumenti di
cubatura, ma non ha specificato in che modo e quali delle opere interne indicate
avrebbero comportato un aumento di cubatura.
Quel che però più rileva è che con l’istanza di riesame la difesa aveva espressamente eccepito che le opere e gli interventi da cui si sarebbe desunta la
variazione della destinazione d’uso, risultavano tutti assentiti ed autorizzati dai
preposti organismi della P.A., ai quali i richiedenti avevano chiaramente premesso che l’immobile in cui si sarebbero realizzati aveva la destinazione urbanistica di garage-deposito. Dalla ordinanza impugnata non risulta se questa circostanza sia stata accertata e se essa sia o meno corrispondente alla realtà. In
particolare, non risulta se sia o meno vero che i ricorrenti, per tutti gli specifici
interventi oggetto di contestazione, avevano ottenuto il permesso di costruire e
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poi i permessi in sanatoria, e se più specificamente erano stati autorizzati la creazione di appositi vani e di un W.C., la predisposizione del termocamino, di attacchi idrici, della tubazione per l’impianto di riscaldamento.
Manca quindi la motivazione sulle ragioni per le quali le opere realizzate,
se effettivamente conformi a quelle regolarmente assentite, integrerebbero il
fumus dei reati ipotizzati e costituirebbero «elementi univocamente significativi» del mutamento di destinazione d’uso del locale, e non siano invece compatibili con l’attuale destinazione. In sostanza, è meramente astratta ed apparente
la motivazione su una effettiva concreta destinazione del manufatto ad un uso
abitativo, desunta da attuali univoci elementi significativi.
In particolare, l’ordinanza impugnata non ha tenuto conto dei principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «Presupposto del sequestro preventivo è la commissione di un reato, sia pure accertato in via incidentale nella sua astratta configurabilità. È quindi illegittimo il sequestro preventivo disposto prima che il reato sia commesso, sul mero presupposto che
l’agente avesse intenzione di commetterlo: risulterebbero infatti violate non solo la norma dell’art. 321 cod. proc. pen., che prevede implicitamente il reato
come presupposto del sequestro, ma anche quelle dell’art. 1 cod. pen. e dell’art.
25 secondo comma, giacché il principio di legalità condiziona alla previsione
tipica non solo la punibilità dell’agente, ma anche l’applicabilità delle misure
caute/ari e delle altre misure strumentali al giudizio penale. (In applicazione di
questi principi la S. C. ha annullato senza rinvio il provvedimento che disponeva e quello confermava il sequestro preventivo di opere edilizie interne, conformi al disposto dell’art. 26 della legge n. 47 del 1985, sul presupposto che esse, in quanto preliminari a un mutamento di destinazione d’uso dell’immobile
vietato dagli strumenti urbanistici vigenti, potessero integrare in futuro la contravvenzione di cui all’art. 20 della stessa legge)» (Sez. III, 25.3.1993, n. 778,
Crispo, m. 195134; conf. Sez. III, 20.6.1996, n. 2718, Terracina, m. 205724);
«Il sequestro preventivo di un immobile in corso di realizzazione, e regolarmente assentito, effettuato sulla base della presunta e ipotizzata intenzione di
contravvenire alla norme edilizie o urbanistiche, è illegittimo, atteso che non
sussiste in tal caso il ifumus delicti”)» (Sez. III, 25.3.2004, n. 27929, Nocentini,
m. 229053).
Analoga mancanza di motivazione, che in realtà si svolge tutta sul piano
astratto, è ravvisabile anche in ordine al periculum in mora. L’ordinanza impugnata afferma che l’immobile sarebbe ancora allo stato rustico, senza rispondere
però alla eccezione della difesa secondo cui invece la documentazione fotografica attesterebbe che l’immobile non sarebbe affatto allo stato rustico, ma è ormai ultimato in ogni sua parte, come si desumerebbe anche dalla comunicazione
di fine lavori protocollata in data 08.08.2013, e già versata in atti. Non è spiegato poi perché vi sarebbe un attuale e concreto pericolo di aggravamento del carico urbanistico. Anche sotto questo profilo non è stata data risposta alle osservazioni della difesa, secondo cui, da un lato, l’immobile, all’atto del sopralluogo, risultava non solo inutilizzato, ma privo di arredi che potessero giustificare
il pericolo dell’utilizzo come abitazione, e, dall’altro lato, trovandosi l’immobile
stesso pressoché adiacente alla abitazione principale, non vi sarebbe stato int –

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resse ad abitare una pertinenza di appena 43 mq., dotto di un bagnetto di cortesia e di un’altezza di m. 2,60.
In conclusione, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al
tribunale di Brindisi per nuovo esame.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Brindisi.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, 1’11
marzo 2014.

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