Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23955 del 04/03/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 23955 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Gueye Matar, nato il 9 ottobre 1966
avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari – sezione distaccata di
Sassari del 7 febbraio 2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Angelo
Di Popolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

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Data Udienza: 04/03/2014

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 7 febbraio 2013, la Corte d’appello di Cagliari – sezione
, distaccata di Sassari ha confermato la sentenza del Tribunale di Nuoro del 26 gennaio
• 2012, con cui l’imputato era stato condannato, per i reati di cui agli artt.

171-ter,

primo comma, lettera c), e secondo comma, lettera a), della legge n. 633 del 1941, e
648 cod. pen., per aver posto in vendita CD e DVD riprodotti abusivamente in numero
superiore a cinquanta, da lui ricettati quale provento del reato di abusiva duplicazione

2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, deducendo: 1) la manifesta illogicità della motivazione, in mancanza della
prova di un effettivo atto di vendita o di cessione dei supporti magnetici oggetto di
causa e in mancanza di prova dell’abusiva duplicazione degli stessi, che sarebbe stata
desunta dal solo fatto che questi erano privi del marchio Siae; 2) la violazione dell’art.
171-ter, comma 2, lettera a), della legge n. 633 del 1941, nonché la manifesta
illogicità della motivazione in relazione alla mancanza di prova di un effettivo atto di
vendita o cessione dei supporti magnetici; 3) la violazione della stessa disposizione in
relazione alla mancata specificazione della contraffazione di brani musicali tutelati dal
diritto d’autore; 4) la violazione dell’art. 648 cod. pen. e la manifesta illogicità della
motivazione, per il mancato accertamento del reato presupposto di abusiva
riproduzione dei supporti sequestrati e per la mancata considerazione
dell’insussistenza del dolo specifico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile.
3.1. – Deve premettersi che la Corte di Giustizia europea – con sentenza resa ai
sensi dell’art. 234 del Trattato CEE, emessa 1’8 novembre 2007 nel procedimento C20/05, Schwibbert – ha stabilito che l’obbligo di apporre su supporti contenenti opere
coperte dal diritto d’autore il contrassegno Siae in vista della loro commercializzazione
nello Stato membro interessato, rientra nel novero delle “regole tecniche” che, ai
sensi delle direttive europee 83/189/CEE e 98/34/CEE, devono essere notificate dallo
Stato alla Commissione della Comunità Europea; con la conseguenza che, qualora tali
regole tecniche non siano state notificate alla Commissione – come è avvenuto nel
caso dell’Italia – non possono essere fatte valere nei confronti dei privati e devono
essere disapplicate dal giudice nazionale. In altri termini: a) l’obbligo di comunicare
alla Commissione le “regole tecniche” introdotte nell’ordinamento italiano vale per
tutte le regole istituite dopo l’entrata in vigore della citata direttiva 83/189/CEE, ossia

commesso da altri soggetti (fatti commessi il 16 novembre 2011).

dopo il 31 marzo 1983; b) devono essere dichiarati non sussistenti i fatti di reato
previsti dalla legge n. 633 del 1941, art. 171-ter, comma 1, lettera d), che punisce
– chiunque detiene per la vendita supporti musicali, audiovisivi, cinematografici etc.
privi del contrassegno Siae, risultando accertato che, fino alla data di emanazione
della sentenza Schwibbert, lo Stato italiano era rimasto inadempiente all’obbligo di
notificazione delle regole tecniche; con la conseguenza che eventuali sentenze di
condanna devono essere annullate senza rinvio; c) nessun effetto viene prodotto dalla

della stessa legge, così che restano in punibili le condotte di commercio e di
detenzione a fini commerciali di supporti illecitamente duplicati o riprodotti

(ex

plurimis, sez. 3, 6 dicembre 2012, n. 19442, rv. 255889; sez. 4, 2 febbraio 2011, n.
3835; sez. 5, 2 dicembre 2010, n. 4600, rv. 249244).
La notifica dell’obbligo di apposizione del contrassegno alla Commissione
Europea deve ritenersi effettuata dallo Stato italiano, attraverso l’iter avviato con la
comunicazione del 24 aprile 2008, che ha avuto il suo epilogo nell’adozione del
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 febbraio 2009, n. 31,
«Regolamento di disciplina del contrassegno da apporre sui supporti, ai sensi della
legge 22 aprile 1941, n. 633, art. 181-bis». Tale decreto, entrato in vigore in data 21
aprile 2009, costituisce il testo definitivo della regola tecnica; e ciò comporta la
sostanziale “ripenalizzazione” delle condotte ricollegabili alla mera carenza del
contrassegno Siae poste in essere a decorrere dal 21 aprile 2009, ma non vale a
rendere penalmente illecite le condotte poste in essere precedentemente e scriminate
dalla non opponibilità ai privati del contrassegno mancante.
3.2. – Quanto al caso di specie, deve rilevarsi che la sentenza della Corte di
giustizia europea dell’8 novembre 2007 (Schwibbert) – in forza della quale la semplice
mancanza del contrassegno Siae non può essere ritenuta sufficiente a integrare un

sentenza Schwibbert sui fatti di reato previsti dall’art. 171-ter, comma 1, lettera c),

illecito penale – non trova applicazione per un duplice ordine di motivi.
In primo luogo, perché non è contestata la violazione della lettera d), ma quella
della lettera c) del primo comma dell’art. 171-ter della legge n. 633 del 1941, la quale
ha per oggetto l’abusiva duplicazione dei supporti sequestrati desunta da elementi
diversi dalla semplice mancanza del marchio Siae.
In secondo luogo, perché il reato è stato commesso nel 2011 e, dunque dopo il
21 aprile 2009, data di entrata in vigore del d.P.C.m. 23 febbraio 2009, n. 31, che ha
– come visto -“ripenalizzato” la fattispecie.

3

4\

3.3. – Venendo, più in particolare, all’esame dei motivi di ricorso, va osservato
che con essi il ricorrente intende sostanzialmente censurare la motivazione della
• sentenza impugnata sotto diversi profili: a) la mancanza della prova di un effettivo
• atto di vendita o di cessione dei supporti magnetici oggetto di causa; b) la mancanza
di prova dell’abusiva duplicazione degli stessi – anche ai fini della sussistenza della
contestata ricettazione – che sarebbe stata desunta dal solo fatto che questi erano
privi del marchio Siae; c) la mancanza di prova del fatto che si tratti di opere tutelate

della ricettazione.
Si tratta di doglianze inammissibili, perché meramente assertive e del tutto
prive di puntuali riferimenti alla motivazione della sentenza impugnata.
La difesa del ricorrente non considera, in ogni caso, che la Corte d’appello – in
totale continuità con il Tribunale – ha esaminato tali profili utilizzando argomenti logici
e coerenti e, dunque, non sindacabili nel giudizio di legittimità. In particolare, la Corte
distrettuale evidenzia che l’imputato è stato colto in flagrante dalla polizia giudiziaria
mentre cercava di vendere agli avventori di un bar CD e DVD contraffatti ed aveva
tentato la fuga cercando di disfarsi di tale materiale senza riuscirci.
L’abusiva duplicazione viene poi desunta dalle caratteristiche dei supporti,
dotati di copertine fotocopiate a colori e consistenti in comuni CD e DVD, contenenti
opere musicali e video note per essere coperte dal diritto d’autore.

E ciò in

applicazione del principio secondo cui la prova dell’avvenuta consumazione dell’illecito
di abusiva duplicazione dei supporti audiovisivi può essere raggiunta sulla base di una
pluralità di elementi, come il rilevante numero di supporti posti in vendita, le modalità
della vendita, l’assenza di documenti relativi alla lecita provenienza della merce e
l’utilizzo di copertine fotocopiate (ex plurimis, sez. 2, 7 novembre 2012, n. 5228, rv.
255046).
La sussistenza del reato di ricettazione emerge, infine, sia dal fatto che
l’imputato non ha mai affermato di avere duplicato i supporti personalmente sia dalla
circostanza – evidente indice del dolo specifico di profitto – che gli stessi erano stati
da lui posti in vendita.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto
conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che,
nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità»,
alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod.
4

dal diritto d’autore; d) la mancata considerazione dell’insussistenza del dolo specifico

proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della
somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 4 marzo 2014.

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