Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23944 del 17/04/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 23944 Anno 2013
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COMMISSARIO STRAORDINARIO P.T. ASL SALERNO
nei confronti di:
CORRADO PIERLUIGI N. IL 03.11.1971
DE BELLIS AGOSTINO N. 01.01.1951
GRIPPO ONOFRIO N. IL 19.05.1962
IUZZOLINO GREGORIO N. IL 16.05.1964
PIEGAR’ PIETRANGELO N. IL 19.08.1943
SAGGESE VITO N. IL 04.06.1943
SARRO GIUSEPPE N. IL 20.07.1950
STABILE GIOVANNA N. IL 02.10.1970
inoltre:
CORRADO PIERLUIGI N. IL 03.11.1971
DE BELLIS AGOSTINO N. 01.01.1951
GRIPPO ONOFRIO N. IL 19.05.1962
IUZZOLINO GREGORIO N. IL 16.05.1964
PIEGARI PIETRANGELO N. IL 19.08.1943
SAGGESE VITO N. IL 04.06.1943
SARRO GIUSEPPE N. IL 20.07.1950
STABILE GIOVANNA N. IL 02.10.1970
avverso la sentenza n. 741/2010 della CORTE DI APPELLO di SALERNO, in data
20.02.2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso

Data Udienza: 17/04/2013

Udito, per le parti civili Caminiti Michele, Caminiti Giuseppe, Caminiti Liboria,
Caminiti Livia, Caminiti Maria Antonia, Romano Antonio, Criscuolo Mario, Criscuolo
Pasquale l’Avv. Turi Mario, del Foro di Salerno anche in sostituzione dell’avv.
Tedesco Michele del medesimo Foro, difensore della parte civile Coppola
Bartolomeo e Rufolo Renato, il quale deposita conclusioni e nota spese e chiede il
rigetto dei ricorsi;
Udito per le parti civili D’Acunto Rosa, Iannone Antonietta, Iannone Giovanni,
Iannone Rosaria, lannone Carmine, Iannone Elvira e Iannone Anna l’Avv. Caprio
Ezio Maria del Foro di Salerno, il quale deposta conclusioni e nota spese e chiede il
rigetto dei ricorsi;
Udito per il responsabile civile ASL Salerno l’Avv. D’Ambrosio Francesco Saverio, del
Foro di Salerno, in sostituzione dell’Avv. Di Filippi, che si riporta ai motivi di ricorso;
Udito per l’imputato Corrado Pierluigi l’Avv. D’Ambrosio Francesco Saverio, del Foro
di Salerno, in sostituzione dell’Avv. Salerno Marco, il quale si riporta ai motivi di
ricorso;
Udito per l’imputato De Bellis Agostino il difensore Avv. Faccenda Cosimo del Foro
di Eboli, il quale si riporta ai motivi;
Udito per l’imputato Grippo Onofrio l’Avv. Giani Marcello del Foro di Salerno, che si
riporta ai motivi di ricorso e l’Avv. De Ciuceis del medesimo Foro;
Udito per l’imputato Iuzzolino Gregorio l’Avv. Conte Federico del Foro di Salerno,
che si riporta ai motivi di ricorso;
Udito per l’imputato Piegar’ Pietrangelo, l’Avv. Giani Marcello del Foro di Salerno,
che si riporta ai motivi di ricorso;
Uditi per l’imputato Saggese Vito l’Avv. Aricò Giovanni del Foro di Roma che si
riporta al ricorso e l’Avv. Franco Arnaldo del Foro di Salerno che si associa;
Udito per l’imputato Sarro Giuseppe l’Avv. D’Ambrosio Francesco Saverio del Foro di
Salerno, il quale si riporta ai motivi di ricorso;
Udito per l’imputata Stabile Giovanna l’Avv. Di Bisceglie Eugenio di Sala Consilina, il
quale insiste per l’accoglimento del ricorso

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udita in PUBBLICA UDIENZA del 17.04.2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott.
ANDREA MONTAGNI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. VINCENZO GERACI,
che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per tutti in ordine all’art. 449 cod.
pen.; per l’annullamento senza rinvio per Corrado e Stabile in relazione all’art. 589
cod. pen.; e per il rigetto dei restanti ricorsi

Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Salerno, con sentenza in data 12.02.2009, affermava la
penale responsabilità di Corrado Pierluigi, De Bellis Agostino, Grippo Onofrio, Piegari
Pietrangelo, Sarro Giuseppe, Iuzzolino Gregorio, Saggese Vito e Stabile Giovanna,
con riguardo ai reati loro rispettivamente ascritti, in riferimento all’incendio della
struttura intermedia residenziale sita in Murgi di San Gregorio Magno, intervenuto
la notte tra il 15 ed il 16 dicembre 2001 ed al conseguente decesso di 19 pazienti

gli imputati alle pene ritenute di giustizia ed al risarcimento, in solido con i
responsabili civili, dei danni subiti dalle costituite parti civili, da liquidarsi in
separato giudizio, nonché al pagamento di provvisionali immediatamente esecutive.
Ai seguenti imputati viene ascritto il reato ex artt. 423 e 449, cod. pen., per
avere cagionato l’incendio che ha interessato e devastato la struttura residenziale di
cui si tratta, per colpa generica e specifica nonché per l’inosservanza delle norme
sulla prevenzione degli infortuni e degli incendi, in riferimento alla diverse cariche
rispettivamente ricoperte:
Sarro Giuseppe, nella sua qualità di direttore sanitario del distretto 104 di Buccino,
dal 4.03.1996 al 25.11.1998;
De Bellis Agostino in qualità di direttore sanitario del medesimo distretto dal
25.11.1998;
Piegari Pietrangelo, quale sindaco del Comune di San Gregorio Magno;
Iuzzolino Gregorio, quale tecnico incaricato con delibera del 25.11.1997, della
verifica delle strutture e degli impianti tecnologici del fabbricato interessato
dall’incendio;
Grippo Onofrio in qualità di assessore del Comune di San Gregorio Magno, giusta
delega del 19.09.1996;
Saggese Vito, nella sua qualità di funzionario dell’Ufficio tecnico del Comune di San
Gregorio Magno. Ai prevenuti, nelle rispettive qualità ora indicate, viene altresì
ascritto il reato ex art. 589, comma 3, cod. pen., per aver reso inevitabile il
verificarsi dell’incendio ed il propagarsi di fumi letali sprigionati a seguito della
combustione dei materiali che costituivano la struttura prefabbricata adibita a SIR,
e per aver provocato la morte di 19 pazienti che si trovavano ivi ospitati,
sopraggiunta per intossicazione e combustione.
Agli imputati Corrado Pierluigi e Stabile Giovanna si contesta il delitto di
omicidio colposo, nella loro qualità di infermieri in servizio presso la struttura
intermedia residenziale nella notte in cui ebbe a verificarsi il devastante incendio,
per aver omesso di adempiere ai propri doveri di vigilanza e assistenza nella fase
antecedente allo scoppio dell’incendio; e per aver omesso di prestare soccorso ai
degenti, una volta avvedutisi del propagarsi dell’incendio. Ai predetti è stata altresì
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psichiatrici che si trovavano presso la richiamata struttura. Il Tribunale condannava

contestata l’inosservanza delle norme che disciplinano specificamente il sevizio
infermieristico.
2.

La Corte di Appello di Salerno, con sentenza in data 20.02.2012,

confermava la sentenza di primo grado, condannando gli imputati ed i responsabili
civili alle rifusione delle spese sostenute dalle parti civili.
Riferiva la Corte territoriale che risultava accertato che la notte del 15
dicembre 2001 gli infermieri presenti presso la struttura intermedia residenziale,

la porta chiusa, mandando via una paziente che si era ripetutamente recata presso
l’infermeria; e che una volta scoppiato l’incendio, gli infermieri erano
immediatamente usciti dalla struttura. Con riguardo alle cause dei plurimi decessi,
riferiscono i giudici che la maggior parte dei pazienti erano morti nel sonno, per il
soffocamento causato dai gas prodotti dalla combustione della struttura e degli
arredi; e che le fiamme avevano quindi avvinto e carbonizzato i corpi già privi di
vita, per le spiegate ragioni.
Con riferimento al punto di origine ed alle cause dell’incendio, la Corte
distrettuale rilevava che l’espletata consulenza tecnica aveva consentito di
accertare che i materiali di costruzione e gli arredi non erano ignifughi; e che anche
la fiamma di un accendino o la brace di una sigaretta, avrebbero potuto innescare il
fuoco. Il Collegio evidenziava, pertanto, che era assai verosimile che, in concreto, la
causa dell’incendio fosse stata una sigaretta, essendo emerso che ai pazienti era
consentito fumare, all’interno della struttura, mentre escludeva che l’innesco fosse
riferibile alla condotta dolosa di un degente.
La Corte di Appello osservava, inoltre, che risultava accertato che la
struttura fosse assolutamente inadeguata, sul piano della sicurezza, ad ospitare i
pazienti disabili dimessi dagli ospedali psichiatrici; e che tale funzione, di converso,
era stata perseguita dagli organi del Comune di San Gregorio Magno, al fine di
valorizzare la struttura esistente sul territorio comunale.
Con specifico riferimento alla posizione dei due dirigenti sanitari Sarro e De
Bellis che si erano succeduti nel tempo alla direzione del Distretto 104 di Buccino, la
Corte di Appello rilevava l’infondatezza della questione relativa alla violazione degli
artt. 521 e 522 cod. proc. pen., atteso che il profilo di responsabilità “iure proprio”
della responsabilità dei predetti dirigenti, oltre a quello discendente dalla delega
rilasciata dal direttore generale, era stato oggetto di specifica contestazione in
udienza. Il Collegio osservava che la condotta oggetto di addebito risultava
comunque immodificata.
3. Avverso la citata sentenza della Corte di Appello di Salerno ha proposto
ricorso per cassazione Corrado Pierluigi, a mezzo del difensore.

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prima dello scoppio dell’incendio, si erano trattenuti all’interno della medicheria, con

L’esponente, con il primo motivo, denuncia violazione di legge ed illogicità
della motivazione, in ordine alla posizione di garanzia ricoperta dal Corrado, in
riferimento alla condotta posta in essere prima e dopo il divampare dell’incendio.
Con il secondo motivo, la parte deduce l’erronea applicazione dell’art. 40,
cod. pen., in merito ai criteri adottati per l’accertamento del nesso causale. Si
duole, inoltre, della mancata applicazione dell’esimente di cui all’art. 54 cod. pen.
Con il terzo motivo, il deducente evidenzia l’erronea applicazione degli artt.

responsabile civile Asl SA 2.
Dopo avere richiamato l’ambito funzionale dello scrutinio di legittimità,
l’esponente ha argomentato come segue. In riferimento al primo motivo di
doglianza, la parte osserva che agli infermieri in servizio presso la struttura
intermedia residenziale (SIR) si contesta la colpa generica per negligenza ed
imperizia e la colpa specifica, consistente nella inosservanza delle norme che
disciplinano il servizio infermieristico. L’esponente rileva, in particolare, che la
contestazione elevata ai due infermieri concerne l’inadempimento agli obblighi di
vigilanza, per non essersi avveduti del principio di incendio; e l’inerzia rispetto
all’opera di soccorso dei degenti. Sotto il primo aspetto, la parte osserva che
trattasi di condotta inesigibile, posto che presso il SIR l’impianto di allarme
antincendio non era funzionante; con riguardo al secondo profilo, osserva che agli
imputati si contesta in realtà di non aver aiutato il presidio sanitario nelle operazioni
di soccorso, con ciò ammettendosi che tale attività competeva al presidio medesimo
e non agli infermieri. Il ricorrente ritiene che la Corte di Appello abbia confermato il
giudizio di colpevolezza sulla base della ricostruzione di un fatto parzialmente
diverso da quello accertato in primo grado e descritto nel capo di imputazione.
L’esponente sottolinea che non è compito dell’infermiere quello di essere esperto di
norme antincendio; e tanto più in riferimento ad una struttura realizzata con
materiali del tutto inadeguati rispetto alla normativa vigente. La parte osserva che
al momento della scoperta del fuoco i locali erano già invasi dal fumo tossico della
combustione; e che non si può pretendere che gli infermieri, una volta usciti,
rientrassero nella struttura per salvare altri degenti. Rileva che anche ammettendo
che l’infermiere versi in colpa, la norma violata non è tesa a prevenire i rischi da
incendio, ma a prevenire che un ammalato muoia in ragione della patologia di cui
soffre.
Il ricorrente evidenzia che i giudici di merito hanno ritenuto che Corrado
versasse in posizione di garanzia, in base alle norme deontologiche del personale
infermieristico. Al riguardo, la parte osserva che Corrado avrebbe rivestito una
posizione di garanzia ove si fosse accertato che il medesimo era stato addestrato
per le manovre antincendio. L’esponente rileva che, paradossalmente, nei confronti
5

82, 83, 523 e 538 cod. proc. pen. e contesta l’intervenuta esclusione del

della infermiera Gallo, solo perché non in servizio, non è stata esercitata l’azione
penale benché la medesima si trovasse sul posto.
La parte contesta l’affermazione relativa alla posizione di garanzia del
Corrado, rilevando che presso la struttura intermedia residenziale il servizio
infermieristico era carente per qualità e quantità. L’esponente si sofferma sul
contenuto della relazione redatta dalla Commissione Parlamentare d’Inchiesta del
Servizio sanitario nazionale, ove si fa riferimento al contenuto del verbale stilato

corso della istruttoria dibattimentale è emerso che presso la struttura di che trattasi
vi era carenza di personale infermieristico e che gli infermieri in servizio non erano
specializzati per il settore psichiatrico. La parte sottolinea che non viene contestato
il profilo della imperizia; e che Corrado non era stato addestrato rispetto alle norme
antincendio. Il deducente si sofferma quindi, diffusamene, sul contenuto dell’esame
del teste Freda, sulle dichiarazioni del coimputato Sarro e dei consulenti tecnici del
pubblico ministero.
Con riferimento al secondo motivo di ricorso, l’esponente osserva che la
consulenza redatta dall’ing. Zucchetta, in relazione all’accertamento delle cause
dell’incendio, risulta inutilizzabile, essendo basata sulle dichiarazioni rese
nell’immediatezza del fatto da Corrado e dalla Stabile. Dopo aver riportato ampi
stralci della deposizione del consulente Russo, il ricorrente considera che la rapidità
di propagazione del fumo e delle fiamme aveva reso impossibile il tentativo di
aiutare i degenti che erano rimasti all’interno della struttura. E rileva che non vi è
prova del nesso causale tra il mancato tempestivo intervento per soccorrere i
pazienti e l’evento morte dei 19 degenti. Il ricorrente assume che la Corte
territoriale abbia errato nel collocare l’innesco dell’incendio verso la mezzanotte,
giacché i giudici si sono basati sulle dichiarazioni rese da soggetti non credibili, a
causa delle patologie dalle quali sono affetti; considera errati i ragionamenti
sviluppati dal Collegio sulla base del fatto che Corrado ebbe ad effettuare le
telefonate per chiedere i soccorsi, alle ore 00.41 ed alle ore 00.43; ed afferma che i
giudici hanno omesso di considerare l’ipotesi alternativa, in forza della quale
Corrado può aver effettuato le telefonate dopo aver tentato di prestare soccorso ai
degenti. Conclusivamente sul punto, il ricorrente rileva che nel caso di specie risulta
configurabile l’ipotesi di cui all’art. 54 cod. pen. e sostiene che non corrisponde a
verità che i primi soccorritori aiutarono i pazienti dalla struttura, argomento volto
ad avvalorare l’ipotesi che fosse ancora possibile salvare i degenti.
Con riguardo al terzo motivo di ricorso, l’esponente osserva che la Corte di
Appello si è limitata ad affermare la carenza di interesse in capo all’imputato; e
ribadisce che il Tribunale ha indebitamente escluso il responsabile civile Asl SA 2 dai
soggetti condannati al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.
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dalla Commissione tecnica regionale in data 12.11.1997. E rileva che anche nel

Contesta che le parti civili abbiano omesso di concludere nei confronti del predetto
responsabile civile; osserva che le conclusioni della parte civile verso l’imputato si
estendono al responsabile civile di cui la medesima parte civile abbia chiesto e
ottenuto la citazione in giudizio; e considera che il pagamento parziale in via
stragiudiziale effettuato dalla Asl Salerno 2, in difetto di rinuncia alla solidarietà, è
inidoneo a liberare l’Asl dall’obbligo solidale di risarcire il danno.
4. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Salerno ha

Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione di legge ed il vizio di
motivazione. Osserva che la Corte di Appello ha omesso di accogliere l’eccezione di
nullità della sentenza di primo grado, per violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc.
pen. L’esponente richiama la delibera del direttore generale della Asl Salerno 2, n.
641 del 25.05.1998; ed osserva che si tratta di un atto di delega, sottoposto alla
adozione di successivi provvedimenti, per l’individuazione nominativa del singolo
delegato. Assume che sulla base di quanto accertato in giudizio, è emersa
l’insussistenza a carico del De Bellis, di un dovere di garanzia, idoneo a fondare una
ipotesi di concorso rispetto ai fatti per i quali si è proceduto. Rileva che il Tribunale
ha elevato il predetto atto di delega ad atto di nomina del De Bellis quale datore di
lavoro; e che i giudici hanno ipotizzato la violazione di obblighi derivanti
direttamente dalla posizione di direttore del distretto sanitario. L’esponente osserva
che tale posizione non è mai stata contestata al De Bellis, di talché sussiste la
violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., per difetto di correlazione tra
accusa e sentenza.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l’erronea applicazione di legge.
Osserva che la Corte di Appello ha qualificato il De Bellis quale datore di
lavoro, laddove il prevenuto era privo di poteri per ovviare allo stato di inefficienza
della struttura intermedia residenziale. La parte richiama la legge regionale n. 32
del 1994, osservando che il predetto provvedimento esclude qualsiasi competenza
del Distretto Sanitario nella erogazione di prestazioni ad elevata integrazione
sanitaria che attengono ai malati psichiatrici. Ribadisce che il direttore sanitario del
distretto non ha competenze in materia di salute mentale e di gestione di strutture
residenziali per pazienti psichiatrici che rimangono ope legis di competenza del
direttore amministrativo del distretto.
Con specifico riferimento alla condotta omissiva contestata, il ricorrente
osserva poi che, nella indicata qualità, non era tenuto ad attivarsi per il
conseguimento del certificato di prevenzione incendi della struttura intermedia
residenziale. Sottolinea, al riguardo, che fu il direttore generale ad attivare le
procedure per la documentazione necessaria al rilascio del certificato in oggetto; e

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proposto ricorso per cassazione De Beilis Agostino, a mezzo del difensore.

che sono insussistenti tutte le altre condotte omissive contestate al De Bellis, in
riferimento alla sicurezza della struttura.
Con il terzo motivo, l’esponente denuncia la violazione di legge per la
mancata concessione delle attenuanti, con particolare riguardo a quelle di cui
all’art. 114 cod. pen.
5. Avverso la sentenza in esame ha proposto ricorso per cassazione Grippo
Onofrio, a mezzo del difensore avvocato Fabio De Ciuceis.

riferimento agli artt. 40, 41, 42, 449, 423 e 589 cod. pen. ed il vizio motivazionale.
La parte osserva che il coinvolgimento di Grippo nella vicenda che occupa deriva dal
fatto che il predetto, in qualità di assessore del Comune di San Gregorio Magno,
ebbe a rilasciare un certificato ove, nella sostanza, sulla base di apposita relazione
tecnica redatta dall’ing. ILJZZOiiriO e dal geometra Saggese, si confermava
l’inidoneità della struttura e si imponeva al Direttore generale della Asl di
provvedere all’adeguamento degli impianti. Il ricorrente evidenzia che la Corte di
Appello ha ritenuto che il rilascio della certificazione sia stato condizione necessaria
dell’evento, secondo un incredibile determinismo; osserva che il certificato venne
rilasciato nel 1997 e che l’incendio si è verificato quattro anni dopo, nel 2001. Il
deducente considera che la Corte territoriale ha qualificato il certificato come una
sorta di agibilità condizionata; al riguardo, la parte rileva che una volta segnalata la
necessità della manutenzione, alcun altro obbligo incombeva sul Grippo.
L’esponente contesta che in capo al Grippo possa individuarsi una posizione di
garanzia. E rileva che i giudici non individuano la norma che imponeva al Grippo di
porre in essere la condotta doverosa.
Il ricorrente osserva che la posizione di garanzia in capo al Grippo deve
essere contenuta in termini di ragionevolezza, dovendosi considerare l’affidamento
che può riporsi sul comportamento responsabile da parte della Asl, la quale era
tenuta all’adeguamento degli impianti tecnologici. Sottolinea che i Vigili del Fuoco
negarono alla Asl il certificato di prevenzione incendi, poiché il progetto allegato alla
relativa richiesta risultava insoddisfacente.
La parte denuncia l’illogicità dell’iter argomentativo sviluppato dalla Corte di
Appello, laddove assegna al certificato rilasciato dall’assessore la valenza di
attestato di idoneità della struttura; e ritiene che la Corte territoriale abbia
disatteso i consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, in tema
di reati omissivi, anche in riferimento all’elemento psicologico del reato.
L’esponente osserva poi che la Corte di Appello non ha tenuto conto della
sussistenza di circostanze sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità,
rispetto alla condotta del Grippo, ai sensi dell’art. 41, comma 2, cod. pen.; ciò in

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Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione di legge in

quanto l’Asl face operare la struttura pur nella consapevolezza della inidoneità della
stessa.
5.1 Nell’interesse di Grippo Onofrio è stato depositato ulteriore ricorso, a
ministero dell’avv. Marcello Giani.
Con il primo motivo la parte denuncia l’inesistenza della motivazione, in
riferimento al diniego delle attenuanti generiche.
Con il secondo motivo viene dedotto il difetto di motivazione, in riferimento

dell’Assessore. Sul punto, l’esponente ribadisce che il certificato venne emesso sulla
base della relazione tecnica redatta da un professionista; e rileva che si versa in
ipotesi di errore determinato da altri.
Con il terzo motivo viene denunciato il vizio motivazionale, in relazione al
mancato apprezzamento della interruzione del nesso causale, tenuto conto della
gravissima responsabilità da ascriversi alla Regione ed alla Commissione all’uopo
designata.
Con il quarto motivo si denuncia il vizio di motivazione, rispetto alla
interruzione del nesso causale, in ragione delle modalità con le quali ebbe a
svilupparsi l’incendio. L’esponente deduce che fu la degente Caulo a provocare
l’incendio, ricorda le responsabilità degli infermieri e rileva che i vigili del fuoco
intervennero tardivamente. Osserva inoltre che non ha trovato ospitalità la richiesta
di rinnovo parziale del dibattimento.
6. Ha proposto ricorso per cassazione, avverso la sentenza della Corte
distrettuale di Salerno, il coimputato Gregorio Iuzzolino, a mezzo del difensore.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione di legge ed il vizio
motivazionale, in riferimento agli artt. 423 e 589 cod. pen. e l’insussistenza degli
elementi costitutivi della colpa.
La parte osserva che i giudici di merito hanno considerato,
nell’apprezzamento della antidoverosità della condotta, la valutazione in termini di
idoneità della struttura all’utilizzo immediato, espressa dall’ing. Iuzzolino nella
propria relazione.
Sul punto, l’esponente rileva che Iuzzolino, nel richiamato elaborato, aveva
evidenziato tutte le inadeguatezze della struttura, quali il numero esiguo di
estintori, la presenza di cassette antincendio incomplete, l’inesistenza di un gruppo
pompe funzionante, la mancanza di rilevatori antifumo; ed assume che la relazione
vada letta integralmente, e non solo in riferimento alle conclusioni. La parte
considera che proprio i rilievi evidenziati dall’ing Iuzzolino nella relazione di che
trattasi hanno basato l’addebito elevato agli amministratori, i quali ebbero a
rilasciare il certificato di agibilità, nonostante i rilievi evidenziati dal tecnico.
Osserva che l’assessore Grippo, sulla base della predetta relazione, ritenne di
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alla valutazione effettuata dai giudici rispetto al rilascio del certificato da parte

rilasciare il certificato di agibilità a condizione che la Asl si facesse carico dei
necessari interventi di adeguamento. Il ricorrente sottolinea che l’amministrazione
comunale ritenne poi discrezionalmente di certificare l’idoneità della struttura per
“l’utilizzo cui viene adibita”, a fronte del giudizio di idoneità per “l’utilizzo
immediato”, espresso dal tecnico Iuzzolino. Osserva che la Asl Salerno 2, in data
17.12.1997, chiese al Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco il rilascio di
certificato di prevenzione incendi e che detta istanza fu di fatto rigettata dai Vigili

La parte si sofferma sul nesso di causalità. Osserva che i giudici hanno
ritenuto che Iuzzolino non ricoprisse alcuna posizione di garanzia; e che,
contraddittoriamente, hanno poi affermato che il tecnico Iuzzolino avesse concorso
con la Asl a mantenere in attività il prefabbricato adibito a struttura intermedia
residenziale, mascherando le inadeguatezze dello stabile, che era privo dei requisiti
minimi di sicurezza.
Con riguardo alla causalità delle condotte, l’esponente sottolinea che
nell’arco di tempo che separa il deposito della relazione tecnica (1.12.1997) rispetto
al verificarsi dell’incendio (15-16.12.2001), sono intervenute ulteriori attività,
inerenti la sicurezza, quale il rilascio del certificato condizionato di agibilità, da parte
dell’assessore Grippo. La parte osserva che risultano accertate – a seguito del
sopralluogo effettuato presso il centro residenziale dopo il sinistro – le seguenti
evenienze: il serbatoio della pompa antincendio non era stato riempito;
l’interruttore generale del locale pompe era stato disattivato; gli infermieri presenti
presso la struttura si diedero alla fuga, senza curarsi della sorte dei pazienti.
La parte ritiene che le condotte attive ed omissive ora richiamate abbiano
una dirimente valenza eziologica, tale da escludere la rilevanza causale della
condotta addebitata al tecnico Iuzzolino, ex art. 41, comma 2, cod. pen. Il
ricorrente osserva che i vertici sanitari erano consapevoli dello stato d’uso della
struttura, atteso che in data 12.11.1997 la Commissione tecnica regionale aveva
segnalato alla Asl l’inidoneità della struttura a riceve utenti psichiatrici; e che in
data 17.11.1997 il coordinatore dell’area generale dell’assistenza sanitaria della
giunta regionale della Campania aveva invitato a provvedere “ad horas” al
trasferimento degli ospiti. L’esponente ritiene che la responsabilità dell’ing.
Iuzzolino sia stata affermata in base ad un anacronistico riferimento al principio
dell’aumento del rischio, opzione ermeneutica che sconfessa l’orientamento
espresso dalle sezioni unite della giurisprudenza di legittimità, con riguardo ai criteri
di accertamento in sede processuale della causalità. Rileva che la concatenazione
causale successiva alla condotta del tecnico Iuzzolino, sopra richiamata, debba
qualificarsi come imprevedibile ed eccezionale. Il ricorrente ritiene che l’ing.
Iuzzolino non poteva prevedere che il Comune rilasciasse il certificato di agibilità,
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del Fuoco.

nei termini sopra riferiti, e che la Asl disattendesse tutte le prescrizioni in materia di
sicurezza.
Con ulteriore motivo l’esponente deduce violazione di legge e vizio
motivazionale in riferimento al trattamento sanzionatorio ed al mancato
riconoscimento delle attenuanti generiche, osservando che le considerazioni
espresse dalla Corte di Appello sulla dosimetria della pena rivelano l’ispirazione
colpevolista che ha conformato la sentenza.

per cassazione Pietrangelo Piegari, a ministero dell’avv. Marcello Giani.
Con il primo motivo la parte denuncia la carenza di motivazione, in
riferimento al diniego delle attenuanti generiche; e rileva il mancato rispetto dei
criteri di determinazione della pena previsti dall’art. 133 cod. pen.
Con il secondo motivo l’esponente deduce il vizio motivazionale, laddove i
giudici hanno ritenuto che non sussistesse una valida delega rilasciata dal sindaco.
Osserva che la Corte di Appello, sul punto, ha fatto rinvio alle valutazioni espresse
dal Tribunale; e che il primo giudice aveva valorizzato le dichiarazioni del segretario
comunale e di altri coimputati. L’esponente ribadisce l’esistenza di un atto di delega
il cui reperimento era stato sollecitato anche con istanza di rinnovo della istruttoria
dibattimentale.
La parte osserva che non sussistevano i presupposti per l’adozione di una
ordinanza contingibile ed urgente e rileva che i giudici di merito non hanno
motivato al riguardo. Il deducente considera che l’assoluzione del vicesindaco
Malpede e dell’assessore Piegari Vincenzo certificano l’inesistenza di un poteredovere di adottare una ordinanza contingibile ed urgente.
Con il terzo motivo l’esponente deduce il vizio motivazionale. Ribadisce
quanto già sostenuto nell’atto di appello, in riferimento alla circostanza che la
struttura residenziale era stata realizzata dal sindaco Frunzi, mediante
l’espropriazione dell’area sulla quale venne realizzato l’impianto. Osserva, pertanto,
che non occorreva né concessione edilizia né licenza edilizia.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la manifesta illogicità della
motivazione; la parte rileva che la struttura, sin dal 1982, quando fu donata dal
Consolato Francese al Comune di San Gregorio Magno, aveva natura residenziale,
quale casa di riposo per anziani. Osserva, inoltre, che la normativa in materia di
prevenzione incendi è entrata in vigore sei mesi dopo la realizzazione della
struttura, di talché non ne poteva essere richiesta l’applicazione.
Con il quinto motivo la parte deduce il vizio motivazionale, laddove i giudici
di merito hanno ritenuto insussistenti atti e comportamenti idonei ad interrompere il
nesso causale. Al riguardo, l’esponente richiama le responsabilità di altri organi di
amministrazione attiva in ambito regionale, comunale e della Asl; nonché le
11

7. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Salerno ha proposto ricorso

condotte degli infermieri e della degente Caulo Giuseppina. Osserva, poi, che al
sindaco Piegari non è stata mai data notizia, da parte della Regione Campania, di
una presunta situazione di pericolo. Sottolinea che dirigenti e tecnici della Asl hanno
definito le rispettive posizioni con richiesta di applicazione della pena ex art. 444
cod. proc. pen., così di fatto riconoscendo i loro inadempimenti e tutti i silenzi
colpevoli. L’esponente ribadisce, quindi, di avere delegato le proprie funzioni, con
atto perfetto.

riferimento al rigetto delle richieste di rinnovo dell’istruttoria dibattimentale, volte
ad accertare le modalità dell’innesco delle fiamme e le cause degli intervenuti
decessi. La parte richiama il comportamento posto in essere dagli infermieri e la
mancata predisposizione, imputabile alla Asl, dei presidi antinfortunistici, quali
fattori incidenti, rispetto agli eventi in concreto verificatisi.
Con il settimo motivo la parte rileva che l’inadeguatezza e la tardività dei
soccorsi ebbero altresì una incidenza causale, rispetto alle dimensioni assunte in
concreto dall’incendio.
8. Ha proposto ricorso per cassazione il coimputato Vito Saggese, a mezzo
del difensore. La parte chiede l’annullamento della sentenza impugnata per erronea
applicazione della legge penale ed illogicità della motivazione.
Con il primo motivo l’esponente denuncia la violazione dell’art. 40, cod.
pen., dell’art. 192 cod. proc. pen. e la manifesta illogicità della motivazione. Il
ricorrente osserva che l’attestato rilasciato dal Saggese nel novembre del 1997 in
merito alla natura “pesante” del prefabbricato adibito a struttura intermedia
residenziale è sfornito di rilevanza causale nella vicenda per cui è processo. Al
riguardo, ribadisce che la qualificazione come pesante, ovvero leggero, di un
prefabbricato, non discende da norme giuridiche o da precise definizioni tecniche, di
talché l’attestazione rilasciata dal Saggese deve definirsi come contenutisticamente
ambigua, quanto finalisticamente inefficace. La parte ritiene che l’elaborato del
geometra Saggese non potesse contrastare le coeve determinazioni della
Commissione tecnica regionale, circa la non conformità alla normativa vigente in
materia di sicurezza, della struttura residenziale. Il ricorrente osserva che la Corte
di Appello ha qualificato come “leggero” il prefabbricato SIR, in assenza di una
definizione scientifica del termine; al fine di evidenziare la sostanziale irrilevanza
della attestazione del Saggese, sul piano causale, richiama la nota con la quale i
Vigili del Fuoco, ad un anno di distanza dalla attestazione di che trattasi,
comunicarono nuovamente alla Asl l’inidoneità della struttura.
La parte deduce la violazione degli artt. 42, comma 1, 43, comma 1, cod.
pen., 192 cod. proc. pen. e la mancanza di motivazione. Rileva che non vi è prova
che Saggese abbia agito all’interno di un disegno finalizzato al mantenimento
12

Con il sesto motivo il ricorrente denuncia la carenza di motivazione, in

dell’operatività della struttura; e che viceversa risulta evidente che l’imputato,
semplice componente dell’Ufficio Tecnico del Comune di San Gregorio Magno, agì in
totale buona fede. Osserva che manca la prova che Saggese, al momento del
rilascio della attestazione, fosse a conoscenza delle attività svolte dalla
Commissione Tecnica e dei relativi esiti; al riguardo, sottolinea che il verbale del
sopralluogo tenutosi in data 12.11.1997 venne notificato esclusivamente al
Direttore generale ed al Direttore Sanitario.

dell’art. 192 cod. proc. pen. e denuncia la manifesta illogicità della motivazione.
Osserva che le condotte contestate ai funzionari apicali della Asl, che pure hanno
definito le proprie posizioni con patteggiamento, risultano talmente atipiche,
abnormi e reiterate da non poter essere collocate, con giudizio “ex ante”, in una
dimensione di prevedibilità e ancor meno di evitabilità, considerati i limitati poteri
della amministrazione comunale e dell’Ufficio tecnico in particolare. Ritiene,
pertanto, che dette condotte costituiscano eventi dotati di autonoma ed esclusiva
efficienza causale, idonei a recidere ogni collegamento con la condotta contestata
all’imputato.
Con il secondo motivo, la parte denuncia la violazione dell’art. 62 bis cod.
pen., stante il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
9. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Salerno ha proposto ricorso
per cassazione Sarro Giuseppe, a mezzo del difensore.
Con il primo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 521 e 522 cod.
proc. pen. La parte auspica una rivisitazione critica dell’orientamento espresso dalla
giurisprudenza di legittimità, in tema di correlazione tra accusa e sentenza, alla luce
dell’art. 111 Cost., dell’art. 417, lett. b), cod. proc. pen. e dell’orientamento
espresso dalla Corte EDU. Ritiene che, nel caso di specie, la nullità della sentenza di
primo grado, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di Appello, derivi dallo
stravolgimento del fatto, come originariamente contestato, operato dal Tribunale.
Assume che nel capo di imputazione le omissioni contestate al Sarro riguardano il
periodo intercorrente tra il 25 maggio 1998 ed il 25 novembre 1998; e rileva che il
primo giudice ha allargato la perimetrazione temporale del fatto a periodi
antecedenti al 25 maggio 1998.
Con il secondo motivo la parte denuncia la violazione dell’art. 40, cod. pen.,
del d.P.R. 7.04.1994, dell’art. 5, L.R. Campania n. 1/83, del regolamento della Asl
Salerno 2 e la manifesta illogicità della motivazione.
L’esponente nega di avere rivestito una posizione di garanzia in relazione
alla struttura intermedia residenziale. Ripropone, quindi, il contenuto del motivo di
appello, con il quale aveva evidenziato di non poter essere considerato né datore di
lavoro, né dirigente, né preposto e di non essersi ingerito neppure in via di fatto
13

L’esponente si duole della violazione dell’art. 41, commi 1 e 2, cod. pen. e

nella gestione di tale struttura; rileva che la sentenza impugnata tradisce la
violazione di norme extrapenali che integrano il precetto penale.
Il ricorrente sottolinea di avere ricoperto la carica di Direttore Sanitario sino
al 25.11.1998; e rileva che solo con il d.lgs. n. 229/1999 venne previsto il
coordinamento funzionale dei dipartimenti di salute mentale con i distretti sanitari.
Osserva che nella sentenza impugnata si fa riferimento al regime normativo entrato
in vigore dopo la cessazione dalla carica di direttore sanitario distrettuale da parte

Il deducente assume che illogicamente la Corte di Appello ha affermato che
il potere gestionale fosse accentrato sui direttori di distretto e non invece sui
direttori di dipartimento. Ritiene che il Collegio abbia erroneamente desunto la
preposizione dirigenziale dal Sarro: dalla nota inviata il 20 novembre 1997 dal
Sarro medesimo alla Direzione generale, all’indomani del sopralluogo effettuato
dalla Commissione regionale; dal carteggio intrattenuto dal De Bellis con la
direzione generale; e dalla nota inviata al Direttore generale il 15.10.1997. La parte
osserva che non risponde al vero quanto affermato dalla Corte di Appello, in
riferimento al ruolo di direttore sanitario dei distretti di Campagna e Buccino che
Sarro avrebbe ricoperto alla data del 20.01.1998.
Con il terzo motivo viene denunciata la violazione degli artt. 40 e 41 cod.
pen., in relazione agli artt. 1 e 2, d.lgs. n. 626/1994 e al d.m. 7 marzo 1998; e
l’omessa motivazione in ordine alla richiesta di rinnovo dell’istruttoria
dibattimentale.
La parte osserva che la Corte di Appello, pur dando atto della estraneità del
Sarro rispetto alle scelte di apertura e di mantenimento in funzione della struttura,
ha riferito al Sarro l’omessa realizzazione di iniziative volte a contenere i rischi,
nelle more della realizzazione di lavori strutturali. Sul punto, il ricorrente considera
che la Corte territoriale avrebbe dovuto dimostrare: che Sarro fosse l’effettivo
destinatario degli obblighi impeditivi; che Sarro potesse concretamente adempiere
a tali obblighi; e che una condotta osservante rispetto ai predetti obblighi, avrebbe
scongiurato il verificarsi degli eventi, secondo una valutazione controfattuale.
L’esponente rileva che anche i piani di sicurezza antincendio integrano misure
strutturali; e ritiene che, al relativo adempimento, sia perciò tenuta esclusivamente
la direzione generale della Asl. Osserva, inoltre, che tali misure trovano la loro fonte
normativa nel d.m. 7 marzo 1998, entrato in vigore il 7.10.1998, con termine
biennale successivo per l’adempimento. Il ricorrente rileva che solo a seguito delle
modifiche apportate all’art. 3, d.lgs. 30.12.1992, n. 502, dal d.lgs. 19.06.1999, n.
229, il direttore sanitario del distretto ha avuto autonomia gestionale e che in
precedenza i poteri autonomi di spesa erano minimi. Osserva che il direttore
generale era comunque edotto della necessità che riguardavano la S.I.R. e che
14

del Sarro.

risultava che esso direttore generale si stesse concretamente adoperando. Rileva
altresì che i giudici di merito erroneamente hanno trattato congiuntamente la
posizione del Sarro e quella del De Bellis, quali datori di lavoro pubblico, omettendo
di considerare l’intervenuto mutamento del quadro normativo ad opera del d.lgs.
299/1999. L’esponente si duole dell’omesso approfondimento del tema relativo al
concreto potere di spesa di cui disponeva il Sarro e denuncia la carenza di
motivazione in riferimento alla richiesta di rinnovo dell’istruttoria dibattimentale,

bilancio previste per il funzionamento della SIR. Ritiene che la Corte di Appello
abbia effettuato una errata ricognizione dell’autonomia tecnico-gestionale ed
economico-finanziaria di cui godeva il direttore sanitario distrettuale; ed osserva
che taluni dei documenti richiamati dalla Corte di Appello non risultano ricevuti dal
Sarro ovvero non sono stati sottoscritti dal predetto imputato. Sotto altro aspetto, il
ricorrente osserva di non aver avuto la possibilità di adottare le misure che si
ritengono omesse, nel breve lasso di tempo intercorrente tra la consegna del
documento di valutazione dei rischi (28.09.1998) e la cessazione dall’incarico
(25.11.1998). Sottolinea che si tratta di misure che andavano adottate solo all’esito
del completamento di lavori relativi all’impianto antincendio, lavori che non erano
ancora stati realizzati. Infine, la parte osserva che la Corte di Appello ha omesso di
operare il giudizio controfattuale, rispetto alla valenza impeditiva da assegnare alle
condotte omesse, in riferimento al verificarsi degli eventi. Rileva che il personale in
servizio alla data del fatto, intervenuto a tre anni di distanza dalla cessazione
dall’incarico del Sarro, non era il medesimo che prestava servizio nel momento in
cui Sarro era in carica; ritiene che l’omessa realizzazione di compiti attuativi, quali
la formazione del personale, risulti perciò priva di incidenza causale rispetto al
successivo verificarsi degli eventi.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia il vizio motivazionale in
riferimento al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche ed alla entità della
pena, anche a fronte del positivo comportamento processuale.
10. Ha proposto ricorso per cassazione la coimputata Stabile Giovanna, a
mezzo del difensore.
L’esponente ripercorre, in termini specifici ed analitici pure afferenti alle
posizioni dei diversi coimputati, l’intera vicenda processuale, soffermandosi
sull’apparato motivazionale posto a fondamento delle sentenze di primo e secondo
grado. Sottolinea che i giudici di merito hanno ritenuto accertato: che la struttura
prefabbricata era stata adibita a centro residenziale per pazienti psichiatrici in
assenza delle prescritte condizioni di sicurezza; che tutti i presidi antincendio erano
di fatto inefficienti; e che al personale in servizio presso la SIR non era stata
erogata alcuna formazione antinfortunistica. La parte considera che la Corte di
15

volta all’espletamento di perizia contabile per la verifica delle appostazioni di

Appello ha rigettato le eccezioni processuali dedotte nell’interesse della Stabile e,
nel merito, che erroneamente sono state ritenute comuni ai due infermieri le
richieste assolutorie. Osserva che il Collegio ha dato credito alle contraddittorie
dichiarazioni rese dalla paziente Caulo, affetta da deliri persecutori e dal paziente
Fornataro, per la ricostruzione sia della dinamica relativa all’innesco ed allo sviluppo
dell’incendio sia della condotta tenuta dai tre infermieri presenti al momento del
fatto nella medicheria della struttura, i quali si sarebbero preoccupati soltanto di

ricostruire i termini fattuali della propalazione delle fiamme, rispetto al propagarsi
dei fumi tossici sprigionati dalla combustione dei diversi materiali; contraddizione
tanto più rilevante atteso che secondo i giudici la causa dei decessi deve rinvenirsi
proprio nella diffusione dei fumi, giacché i pazienti sarebbero morti nel sonno, per
l’inalazione del fumo tossico, mentre la combustione dei corpi sarebbe avvenuta
“post mortem”. La ricorrente sottolinea che la Corte di Appello ha negato
l’operatività dello stato di necessità, pure a fronte della diffusione di fumo e fiamme
all’interno della struttura.
Ciò premesso, la parte deduce i seguenti motivi di ricorso.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia l’erronea applicazione degli artt.
40, cpv., 41, 42, 43, 45, 589, commi 1 e 3, cod. pen. e 192 cod. proc. pen., nonché
la manifesta illogicità della motivazione. L’esponente rileva che la Corte di Appello
avrebbe dovuto assolvere l’imputata Stabile. Osserva che la disciplina che regola
l’attività infermieristica è posta a tutela della incolumità dei degenti in riferimento
alla prestazione di servizi sanitari (somministrazione di terapie od altro); e ritiene
che, al di fuori del predetto ambito, la posizione dell’infermiere o del medico si
atteggi come quella di chiunque altro. La deducente assume che la Stabile, di fronte
al diffondersi di un fumo tossico, non aveva doveri di salvaguardia diversi da quelli
di un cittadino qualsiasi. L’esponente ribadisce che alla Stabile non era stata
erogata alcuna formazione in tema di sicurezza. Osserva che i giudici hanno
affermato che un intervento tempestivo degli infermieri avrebbe salvato i pazienti
maschi, stante la dislocazione del relativo reparto all’interno della struttura; e
ritiene, pertanto, che la Corte distrettuale avrebbe dovuto pronunciare il
proscioglimento rispetto ai decessi delle pazienti femmine.
In riferimento al ritardo nel dare l’allarme, la ricorrente considera che la
discrasia temporale tra lo scoppio dell’incendio e la richiesta di intervento dei
soccorsi si giustifica in considerazione del fatto che l’utenza telefonica fissa era
inutilizzabile per la mancanza di energia elettrica e della circostanza che non vi era
copertura per la telefonia cellulare in prossimità della struttura, come accertato.
Osserva poi che gli infermieri, nelle more, avevano tentato di salvare la maggior

16

mettersi in salvo. Rileva che la Corte territoriale cade in contraddizione nel

parte dei pazienti ed invano cercato di azionare le misure antincendio, non
funzionanti.
Con riguardo alla omessa vigilanza, la parte osserva che la Corte territoriale
non chiarisce in che modo gli infermieri avrebbero dovuto vigilare per evitare la
nascita dell’incendio od il suo propagarsi. E rileva che la potenza asfittica del fumo
esclude la stessa esigibilità della condotta. Per quanto concerne l’efficacia causale
della condotta omessa, la ricorrente sottolinea che la Corte di Appello non ha

essere l’azione di soccorso che si assume esigibile.
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia violazione di legge e vizio
motivazionale, in riferimento al mancato riconoscimento dello stato di necessità.
Osserva che i giudici di merito hanno omesso di considerare che i due infermieri di
turno erano rimasti immediatamente al buio e che il fumo aveva un potere asfittico,
poiché conteneva addirittura cianuro.
Con il terzo motivo, l’esponente deduce violazione di legge,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in riferimento
all’apprezzamento delle dichiarazioni rese dai pazienti Caulo e Fornataro nel corso
delle indagini preliminari, dichiarazioni acquisite al fascicolo per il dibattimento con
il consenso delle parti, ex art. 493, comma 3, cod. proc. pen. La parte osserva che
le dichiarazioni rese dai predetti degenti risultano illogiche e tra loro inconciliabili,
anche con riguardo al luogo di innesco dell’incendio. Sottolinea che la dichiarante
Caulo afferma addirittura di non aver visto la Stabile la sera del fatto e che la teste
nutriva risentimento nei confronti degli infermieri (per ragioni legate alla quotidiane
condizioni di vita nel reparto). Quanto al Fornataro, rileva che si tratta di paziente
parimenti affetto da grave patologia psichiatrica. La ricorrente assume che la
ricostruzione effettuata dalla Corte territoriale risulta non convincente, in
riferimento alla circostanze antecedenti all’innesco dell’incendio, come il fatto che la
porta della medicheria fosse rimasta chiusa nella notte in cui ebbe a verificarsi il
tragico evento. La deducente osserva che sulla base della stessa ricostruzione del
fatto effettuata dalla Corte di Appello emerge che il rogo si diffuse in tutta la
struttura nel volgere di pochi minuti; e rileva che non si comprende il motivo per il
quale non è stato dato credito alle dichiarazioni rese dalla infermiera Gallo, che si
trovava presso la struttura la notte del fatto, sebbene non per ragioni legate ai turni
di servizio. La deducente rileva che l’infermiera non è mai salita sulla vettura del
Corrado, che si trovava parcheggiata nei pressi della struttura; e sottolinea che gli
infermieri non indossavano il camice bianco, di talché resta un mistero come i testi
abbiano potuto riferire la predetta circostanza.

17

chiarito quali pazienti si sarebbero salvati se l’infermiera Stabile avesse posto in

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 178,
179, 415 bis, 418 e 511 cod. proc. pen. e dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 526
cod. proc. pen. ed il vizio motivazionale.
La parte reitera l’eccezione relativa all’omesso avviso al difensore di fiducia
in riferimento alla nomina dei consulenti ed alle attività irripetibili, con conseguente
inutilizzabilità di tutti gli atti di indagine. Osserva che il G.i.p., all’udienza del
30.05.2005, accogliendo la relativa eccezione, dispose lo stralcio della posizione

considera che il PM non procedette al rinnovo degli atti di indagine affetti da nullità
per mancato avviso al difensore, giacché si limitò a notificare al difensore di fiducia
l’avviso di conclusione delle indagini ex art. 415 bis cod. proc. pen. Tanto chiarito,
la ricorrente osserva che la Corte territoriale ha ritenuto tardiva la relativa
eccezione. L’esponente ritiene che si sia verificata una nullità insanabile ex art. 179,
comma 1, cod. proc. pen., con riferimento alle nomine dei consulenti ed alle attività
non ripetibili.
Con il quinto motivo la parte reitera la doglianza afferente alla violazione di
legge, in riferimento all’omesso avviso all’imputata contumace del rinvio, disposto
all’udienza del 18.01.2006, per impedimento del difensore fiduciario; osserva che il
G.i.p., in accoglimento dell’istanza, differì la trattazione del procedimento alla
seguente udienza del 18.03.2006, ove, persistendo l’assenza del difensore di
fiducia, venne pronunciato il decreto che dispone il giudizio, nei confronti della
Stabile. La ricorrente rileva altresì che la notifica al difensore venne effettuata a
mezzo dei Carabinieri, in violazione dell’art. 148, comma 2, cod. proc. pen.
Con il sesto motivo la deducente lamenta violazione di legge, vizio
motivazionale, genericità dell’imputazione e la diversità del fatto che si pretende
accertato rispetto a quello contestato. La parte richiama la disposizione di cui
all’art. 589, comma 3 cod. pen. e rileva che non sono stati indicati i pazienti che
sarebbero deceduti a causa della condotta omissiva della Stabile. L’esponente
considera che nel corso di una udienza preliminare venne contestata agli infermieri
la violazione di un profilo specifico di colpa, integrante una condotta
ontologicamente diversa, essendosi passati ad una ipotesi di omissione di soccorso;
osserva che la Stabile non ha presenziato ad alcuna delle udienze preliminari
celebrate avanti al G.i.p. di talché si è verificata una palese violazione della norma
di cui all’art. 423 cod. proc. pen.
Con il settimo motivo viene denunciata la violazione di legge ed il vizio
motivazionale, in riferimento al mancato rinvio di udienze istruttorie, nel corso del
giudizio di primo grado, celebrate in data 15.02.2008 e 4.06.2008, nonostante il
documentato impedimento della imputata. Con specifico riguardo all’udienza del
4.06.2008, la parte sottolinea che in tal caso vi era pure il concomitante impegno
18

relativa alla Stabile e la restituzione degli atti al pubblico ministero. L’esponente

del difensore di fiducia e che non di meno le richieste di differimento in riferimento
all’espletamento di determinati incombenti istruttori vennero disattese.
Con l’ottavo motivo viene dedotta l’inosservanza di legge e la mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla
determinazione della pena ed al bilanciamento delle circostanze. L’esponente
osserva che la Corte ha sviluppato, sul punto di interesse, una motivazione
apparente, non considerando l’incensuratezza della Stabile, gli intervenuti

parte rileva che la pluralità dei decessi, evenienza richiamata dai giudici di merito
rispetto alla gravità del fatto, è in realtà sottesa all’ipotesi di cui all’art. 589, comma
3, cod. pen., (che integra una “fictio” di concorso formale), di talché i giudici
avrebbero dovuto valutare la gravità dei singolo delitti, a prescindere dal loro
numero.
11. Ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza in esame la Asl
Salerno a mezzo del procuratore speciale e patrocinante in giudizio avv. Antonio Di
Filippi.
Con il primo motivo, la parte denuncia la violazione dell’art. 40, cpv., cod.
pen., in relazione agli artt. 423, 449 e 589, comma 3, cod. pen. Osserva che le
censure avverso la sentenza in esame involgono le posizioni per le quali l’Azienda
sanitaria è intervenuta in giudizio nella sua qualità di responsabile civile.
In riferimento agli imputati Corrado e Stabile, l’esponente assume che la
Corte territoriale ha omesso di individuare la fonte normativa che darebbe origine
alla posizione di garanzia; ed osserva che la stessa non può essere tratta dalle
norme contestate che disciplinano l’attività infermieristica. La parte considera che la
Corte territoriale non ha accertato se la regola cautelare inosservata fosse volta ad
evitare l’evento in concreto verificatosi. Sotto altro aspetto, parte ricorrente ritiene
censurabile l’analisi del nesso causale tra la condotta posta in essere dagli imputati
e l’evento.
Con riguardo agli imputati Sarro e De Bellis, il responsabile civile si sofferma
sulla questione attinente all’obbligo di richiedere ed ottenere il certificato di
prevenzione incendi, tenuto conto della destinazione della struttura intermedia
residenziale. Ritiene che la Corte di Appello erroneamente ha ritenuto che fosse
intervenuto un cambio nella destinazione d’uso della struttura, a seguito
dell’impiego quale ricovero di pazienti psichiatrici. La parte sostiene che l’attività
svolta dalla Asl si ponga in linea di continuità rispetto al precedente utilizzo della
struttura come centro riabilitativo; assume che il certificato di prevenzione incendi
non fosse necessario per l’esercizio quale centro residenziale; e rileva che nel caso
la procedura amministrativa non era ancora terminata, di talché non poteva
ritenersi respinta la richiesta di rilascio del certificato di cui si tratta.
19

risarcimenti in favore delle parti civili ed il buon comportamento processuale. La

Con il secondo motivo viene dedotta la violazione di legge, in riferimento
all’art. 2049, cod. civ. Il responsabile civile osserva che la Corte territoriale ha
stringatamente motivato, in ordine alla responsabilità civilistica dell’azienda
sanitaria, rispetto alle condotte colpose poste in essere dai dipendenti, facendo
riferimento alla nozione di immedesimazione organica. In riferimento alla
complessità della struttura aziendale, ed alle conseguenti difficoltà di controllo da
parte dell’ente rispetto all’insorgenza di eventi dannosi, l’esponente ritiene che la

che l’Azienda Salerno 2 avesse il controllo sulle cause che hanno originato il danno.
Sotto altro aspetto, osserva che l’obbligo di vigilanza del datore di lavoro non può
essere inteso come sorveglianza continua rispetto alla esecuzione di ogni attività; e
considera che l’Azienda, resa edotta della inadeguatezza della struttura in data
17.11.1997, su segnalazione della Commissione regionale, già in data 18.11.1997
aveva inviato una nota con la quale rappresentava l’impossibilità di reperire locali
alternativi. La parte rileva infine che l’Azienda aveva attivato le procedure
finalizzate ad acquisire la documentazione che avrebbe consentito di regolarizzare
la struttura e sollecitato gli adempimenti di ristrutturazione, adempimenti che non
poteva eseguire direttamente. Chiede, in via principale, l’assoluzione degli imputati,
con conseguente revoca delle statuizioni civili attinenti il risarcimento del danno; in
via gradata, la revoca della condanna solidale al risarcimento del danno in capo alla
Azienda Sanitaria Locale Salerno 2.
Considerato in diritto
12. I ricorsi in esame vengono trattati congiuntamente nei casi, e nei limiti,
di sovrapponibilità dei temi di censura e delle relative posizioni processuali.
12.1 Ci si sofferma, in primo luogo, sui ricorsi proposti nell’interesse di De
Bellis Agostino e Sarro Giuseppe.
Entrambi gli esponenti hanno dedotto la violazione del principio di
correlazione tra accusa e sentenza. Giova al riguardo ribadire che le norme di cui
agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., avendo lo scopo di assicurare il contraddittorio
sul contenuto dell’accusa e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa
dell’imputato, non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione rispetto
all’accusa originaria, ma soltanto da una modificazione dell’imputazione che
pregiudichi le possibilità di difesa dell’imputato. La nozione strutturale di “fatto”,
contenuta nelle disposizioni in questione, va coniugata con quella funzionale,
fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa. Il
principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del
pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice)
risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso
come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (Cass.
20

Corte distrettuale non abbia chiarito le ragioni per le quali, in concreto, ha ritenuto

Sez. 4, sentenza n. 41663 del 25/10/2005, Rv. 232423). Si ha mutamento del fatto
quando la fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla
legge subisca una radicale trasformazione nei suoi tratti essenziali, tanto da
realizzare un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisce un reale
pregiudizio dei diritti della difesa (Cass. Sez. 6, sentenza n. 36003 del 14/06/2004,
Rv. 229756). Si tratta di evenienza che non si è verificata nel caso in esame. La
contestazione effettuata nel corso del procedimento, relativa all’assunzione della

del distretto sanitario – e non per effetto del potere di delega esercitato dal
direttore generale della Asl – risulta infatti ontologicamente immutata, rispetto alla
contestazione originaria, essendo rimasta identica nei suoi elementi essenziali. E’
poi il caso di considerare che nel caso di specie i giudici di merito non hanno
esercitato il potere di riqualificazione giuridica del fatto, riconosciuto dall’art. 521,
comma 1, cod. proc. pen., giacché ai dirigenti sanitari era comunque stato
contestato, nel corso del giudizio, il titolo di responsabilità discendente “iure
proprio” dalla carica dirigenziale ricoperta e che proprio detta evenienza era stata
ritenuta idonea da parte dei giudici di primo e di secondo grado a fondare la
qualifica di “datori di lavoro” degli odierni ricorrenti. Pertanto, non risulta conferente
il riferimento, operato dalle difese, alla pronuncia della Corte EDU (sentenza 11
dicembre 2007, Drassich c. Italia), laddove i giudici di Strasburgo hanno ritenuto
che integrasse una violazione dell’art. 6 della Convenzione, per iniquità dell’intera
procedura, l’operato della Corte di Cassazione che aveva proceduto a dare una
diversa definizione giuridica del fatto, tale da comportare la mancata declaratoria di
estinzione per prescrizione del reato originariamente enunciato nell’imputazione.
Deve comunque osservarsi che questa Corte regolatrice ha chiarito che per dare
esecuzione alla richiamata pronuncia della Corte europea si rende necessario il
rispetto della garanzia del contraddittorio anche sulla diversa definizione del fatto,
garanzia che risulta soddisfatta rendendo edotto l’imputato ed il suo difensore della
eventualità che il giudice procedente possa riqualificare “ex officio” il fatto in
addebito (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 45807 del 12/11/2008, dep. 11/12/2008, Rv.
241754); e che le ampie deduzioni svolte delle difese già in sede di gravame, sul
punto di interesse, inducono conclusivamente a ritenere che nel caso specifico non
si sia verificata alcuna lesione del contraddittorio, in ordine al possibile esercizio da
parte del giudice di merito dei poteri incidenti sulla definizione giuridica del fatto.
Del pari infondate risultano le doglianze relative alla intervenuta modifica
dei periodi di tempo, considerati dai giudici, in riferimento all’incarico di direttore
sanitario del distretto ricoperto consecutivamente da Sarro e De Bellis. Invero, nel
capo di imputazione sì chiarisce che l’addebito elevato a Sarro discende dalla carica
ricoperta dal 4.3.1996 al 25.11.1998, mentre quello elevato a De Bellis concerne il
21

qualifica di datore di lavoro discendente “iure proprio” dalla posizione di direttore

ruolo assunto da quest’ultimo dal 25.11.1998; e la Corte di Appello ha
conferentemente richiamato la nota inviata il 20 novembre 1997 dal dirigente Sarro
alla Direzione generale, all’indomani del sopralluogo effettuato dalla Commissione
regionale presso la struttura residenziale ed il carteggio intrattenuto dal De Bellis
con la Direzione generale. Conclusivamente sul punto, si rileva che la Corte
territoriale ha chiarito che la struttura residenziale di cui si tratta rientrava nella
competenza del distretto sanitario n. 104; che nel modello delle Asl appena

gestione dei servizi sanitari a rilevanza sociale era accentrata nelle direzioni dei
distretti; e che i titolari di poteri gestionali, in riferimento alla struttura residenziale
sita in località Murgi di San Gregorio Magno, dovevano individuarsi nei due attuali
imputati, in riferimento alla carica ricoperta di direttori sanitari, nei periodi di
rispettiva competenza.
12.2 Si introduce così l’esame del secondo motivo di ricorso del De Bellis
unitamente al secondo ed al terzo motivo del ricorso proposto nell’interesse del
Sarro, motivi con i quali gli esponenti rilevano che gli inadempimenti che vengono
contestati esulano dai compiti del direttore sanitario del distretto, essendo
riconducibili alle competenze del direttore amministrativo.
Al riguardo, la Corte di Appello ha sottolineato che, nell’ambito delle Asl, il
distretto costituisce un centro di responsabilità e che i direttori dei distretti operano
in diretta collaborazione con la direzione generale, nel rispetto delle linee di
indirizzo da questa impartite, per la realizzazione delle strategie aziendali; che, in
riferimento all’epoca dei fatti, il distretto era il centro di risorse anche in relazione al
dipartimento di salute mentale; e che il potere gestionale e di spesa era accentrato
sui direttori del distretto. Come già si è evidenziato, sul punto di interesse, la Corte
di Appello ha richiamato la documentazione acquisita agli atti, dalla quale emerge
che la gestione della struttura spettava in concreto al direttore sanitario; ed ha
ritenuto che Sarro e De Bellis fossero i reali destinatari delle disposizioni
antinfortunistiche ed i garanti delle condizioni di sicurezza e della salute
dell’ambiente di lavoro.
12.2.1 Preme osservare che la valutazione effettuata dai giudici di merito si
colloca nell’alveo dell’orientamento ripetutamente espresso da questa Suprema
Corte, in riferimento al soggetto da individuarsi quale “datore di lavoro” all’interno
delle pubbliche amministrazioni e, segnatamente, nell’ambito delle Aziende Unità
Sanitarie Locali. Si è infatti chiarito che per “datore di lavoro” negli enti pubblici
deve intendersi colui che in concreto abbia il potere gestionale sui luoghi di lavoro;
che, nel caso di un’Azienda sanitaria del Servizio Sanitario Nazionale, questo potere
gestionale, in mancanza di alcuna delega, spetta al direttore generale, ai sensi del
d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 3, come modificato dal d.lgs. 7 dicembre
22

costituite e nella prima fase di sistemazione degli ex pazienti manicomiali, la

1993, n. 517, art. 4, lett. d); e che, nel caso in cui anche un funzionario non avente
qualifica dirigenziale sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale individuato dall’organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto
dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l’attività – e
sia dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa, sul predetto funzionario
ricadono gli obblighi di prevenzione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 29543 del
07/05/2009, dep. 17/07/2009, Rv. 244577; si veda anche Cass. Sez. 3,

Come si vede, secondo diritto vivente, al fine di selezionare i soggetti gravati
dagli obblighi di prevenzione degli infortuni e di sicurezza nei luoghi di lavoro, che
fanno capo al datore di lavoro, nel settore degli enti pubblici occorre fare ricorso ad
un criterio di effettività, rispetto all’esercizio del potere di gestione. E deve
osservarsi che la Corte territoriale ha sviluppato un ragionamento che non presenta
aporie di ordine logico e che risulta saldamente ancorato alle emergenze
documentali, sopra richiamate, indicative del reale potere gestorio di cui erano stati
consecutivamente titolari Sarro e De Bellis rispetto al distretto sanitario n. 104, in
relazione al dipartimento di salute mentale ed alla struttura intermedia residenziale
che ospitava i pazienti dimessi dagli ospedali psichiatrici. Si tratta, pertanto, di un
apprezzamento non sindacabile in questa sede di legittimità.
Deve pure considerarsi che, in tale ambito ricostruttivo, nessuna valenza può
assegnarsi al fatto che le competenze del direttore del distretto siano state
Individuate dal legislatore solo nel 1999, per effetto del d.lgs. 19.06.1999, n. 229,
atteso che ciò che viene in rilievo, ai fini della selezione del soggetto gravato da
compiti impeditivi, è l’effettività nell’esercizio dei poteri gestori. Si osserva poi che
la stessa Corte di Appello chiarisce che ai direttori sanitari non vengono altrimenti
contestate le scelte relative alla apertura ed al mantenimento della struttura, bensì
le carenze nella gestione di una struttura adibita a ricovero di pazienti psichiatrici di
fascia C, individuate: nella mancata predisposizione delle misure previste dal
documento di valutazione dei rischi; nella mancata designazione di lavoratori
incaricati di attuare le misure di prevenzione incendi e di evacuare lavoratori ed
ospiti in caso di grave pericolo; nell’omessa predisposizione di misure di sicurezza e
del piano antincendio di emergenza in considerazione della limitata autonomia dei
pazienti e della caratteristiche della struttura che rendevano rilevante il rischio di
incendio; nella mancata predisposizione di sistemi di informazione del personale
sull’esistenza dell’elevato rischio di incendio e di formazione del medesimo
personale in ordine alla indispensabili misure di emergenza da adottare ed ai
comportamenti da seguire nell’ipotesi del verificarsi di un incendio. E deve
osservarsi che la Corte territoriale, in riferimento all’omessa attuazione di misure
volte ad informare ed a formare il personale addetto alla struttura, rispetto alle
23

Sentenza n. 3961 del 10/01/2006, dep. 01/02/2006, Rv. 234049).

indispensabili misure di emergenza da adottare in caso di incendio, ha chiarito che
l’attuazione dei predetti obblighi formativi avrebbe consentito la creazione di un
patrimonio di conoscenze trasmissibile nell’ambito del personale di riferimento, pure
a fronte del succedersi dei diversi dipendenti inquadrati con moduli a termine.
12.2.2 Del pari infondate risultano le censure afferenti all’omessa pronuncia,
da parte della Corte di Appello, rispetto alla richiesta di rinnovo dell’istruttoria
dibattimentale, volta all’espletamento di perizia contabile deputata all’accertamento

Occorre, al riguardo, osservare che la giurisprudenza di legittimità ha da
tempo chiarito: che il vigente codice di rito penale pone una presunzione di
completezza dell’istruttoria dibattimentale svolta in primo grado; che la
rinnovazione, anche parziale, del dibattimento, in sede di appello, ha carattere
eccezionale e può essere disposta unicamente nel caso in cui il giudice ritenga di
non poter decidere allo stato degli atti; e che solo la decisione di procedere a
rinnovazione deve essere specificamente motivata, occorrendo dar conto dell’uso
del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter
decidere allo stato degli atti, (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6379 del 17/03/1999,
dep. 21/05/1999, Rv. 213403).
Nell’alveo dell’orientamento interpretativo ora richiamato, la Suprema Corte
ha poi affermato che l’esercizio del potere di rinnovazione dell’istruttoria si sottrae,
per la sua natura discrezionale, allo scrutinio di legittimità, nei limiti in cui la
decisione del giudice di appello, tenuto ad offrire specifica giustificazione soltanto
dell’ammessa rinnovazione, presenti una struttura argomentativa che evidenzi – per
il caso di mancata rinnovazione – l’esistenza di fonti sufficienti per una compiuta e
logica valutazione in punto di responsabilità (cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 40496
del 21/05/2009, dep. 19/10/2009, Rv. 245009).
Orbene, tanto premesso, deve osservarsi che la Corte di Appello di Salerno
ha compiutamente esaminato, nei termini sopra riferiti, la acquisita
documentazione relativa ai poteri gestionali esercitati in concreto da Sarro e De
Bellis, di talché il motivo di doglianza risulta destituito di fondamento.
12.3 In chiusura di argomento, deve poi osservarsi che questa Suprema
Corte ha da tempo chiarito che in caso di pluralità delle posizioni di garanzia,
allorché i titolari delle stesse siano di pari grado – come nel caso di specie ciascuno è, per intero, destinatario dell’obbligo giuridico di impedire l’evento e non
può fare affidamento sull’eliminazione da parte di altri coobbligati della situazione
pericolosa da lui creata o consentita (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4793 del
06/12/1990, dep. 29/04/1991, Rv. 191802.
La Corte di Appello, nel rilevare che alle omissioni colpose poste in essere dal
primo direttore sanitario avevano fatto seguito analoghe condotte omissive del
24

dei poteri di spesa dei quali era realmente titolare il direttore distrettuale.

secondo dirigente sanitario, di talché doveva affermarsi la perdurante responsabilità
anche del Serro, sotto il profilo della successione nella posizione di garanzia, ha
sviluppato un percorso argomentativo coerente rispetto al richiamato orientamento
giurisprudenziale, anche recentemente ribadito dalla Corte regolatrice (Cass. Sez.
IV, sentenza n. 38810 del 19.4.2005, Rv. 232415). Invero, in caso di successione
di posizioni di garanzia, il comportamento colposo del gerente sopravvenuto non è
sufficiente ad interrompere il rapporto di causalità fra la violazione di una norma

non abbia fatto venir meno la situazione di pericolo originariamente determinata. Si
è infatti chiarito che in tema rapporto di causalità, la legge penale accoglie il
principio di equivalenza delle cause, riconoscendo il valore interruttivo della
seriazione causale solo a quelle che sopravvengono del tutto autonomamente,
svincolate dal comportamento del soggetto agente e assolutamente autonome
(Cass. Sez. 4, Sentenza n. 30818 del 19/06/2008, dep. 23/07/2008, Rv. 241958,
in motivazione). Pertanto, in presenza di due soggetti obbligati al medesimo
comportamento, l’omissione del secondo non vale ad escludere la rilevanza causale
della precedente omissione laddove non sia ravvisabile nel comportamento
successivo una eccezionalità atta ad interrompere la concatenazione causale,
eccezionalità che non può essere ravvisata allorché la condotta del secondo si
ponga, come nella fattispecie in esame, in termini di sviluppo consequenziale di
quella del primo.
12.4 Il terzo motivo del ricorso De Bellis ed il quarto motivo del ricorso Serro
sono destituiti di fondamento. La decisione impugnata risulta sorretta da conferente
apparato argomentativo, che soddisfa appieno l’obbligo motivazionale, anche per
quanto concerne la dosimetria della pena. E’ appena il caso di considerare che in
tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche,
ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria
della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di
questa Suprema Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Cass. sez.
VI 22 settembre 2003 n. 36382 n. 227142) o con formule sintetiche (tipo “si ritiene
congrua” vedi Cass. sez. VI 4 agosto 1998 n. 9120 Rv. 211583), ma afferma anche
che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed
attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sono
censurabili in cessazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento
illogico (Cass. sez. III 16 giugno 2004 n. 26908, Rv. 229298). Si tratta di
evenienza che certamente non sussiste nel caso di specie. La Corte territoriale,
infatti, sul punto di interesse, ha legittimamente effettuato specifico rinvio alle
valutazioni espresse dal giudice di primo grado; ed il Tribunale di Salerno, in
riferimento alla gravità delle condotte poste in essere dagli odierni ricorrenti, ai fini
25

precauzionale operata dal primo gerente e l’evento, quando tale comportamento

della determinazione del trattamento sanzionatorio, ha sottolineato: che Sarro, pur
consapevole delle circostanze di fatto in cui versava la struttura, ne aveva
consentito per lungo tempo l’esercizio; e che De Bellis aveva a sua volta consentito
l’operatività della struttura, con colpa ancora maggiore del predecessore, avendo
ricoperto il ruolo di dirigente del distretto proprio nel momento in cui ebbe a
verificarsi l’evento.
A questo punto della trattazione deve peraltro osservarsi che il reato di

massimo pari ad anni sette e mesi sei, rispetto alla data di commissione del fatto
indicata in rubrica (15.12.2001). La sentenza deve essere annullata senza rinvio,
limitatamente al reato di cui all’art. 449 cod. pen. in relazione all’art. 423 cod. pen.,
perché il predetto reato è estinto per prescrizione; conseguentemente, deve
rideterminarsi in anni due e mesi dieci di reclusione la pena inflitta a Sarro
Giuseppe ed in anni tre e mesi dieci dì reclusione quella inflitta a De Bellis Agostino,
una volta eliminati gli aumenti di pena applicati dai giudici di merito, in riferimento
al reato di incendio.
13. Si vengono ora ad esaminare le posizioni degli amministratori comunali
e dei professionisti ai quali erano stati affidati gli accertamenti tecnici relativi alla
struttura residenziale di cui si tratta.
13.1 Ci si sofferma sul ricorso proposto nell’interesse di Piegari Pietrangelo,
sindaco del comune di San Gregario Magno.
Rimessa al prosieguo della trattazione la disamina del primo motivo di
ricorso, attinente alla entità del trattamento sanzionatorio, ci si sofferma ora sul
secondo motivo di doglianza.
Si osserva che le censure con le quali la parte si duole del mancato
riconoscimento, anche da parte della Corte di Appello, dell’esistenza di un atto di
delega in favore del vicensidaco, idoneo ad escludere ogni profilo di responsablità in
capo al sindaco del comune di San Gregario Magno, tendono sostanzialmente ad
una diversa valutazione delle risultanze processuali, non consentita in sede di
legittimità. In proposito va sottolineato che, come affermato dalla Suprema Corte,
anche a Sezioni Unite (cfr. Cass. Sez. U, sentenza n. 6402/97, imp. Dessimone ed
altri, RV. 207944; Cass. Sez. U, ric. Spina, sentenza in data 24/11/1999, RV.
214793), esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una “rilettura” degli
elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato
in via esclusiva al giudice di merito. Nella concreta fattispecie la decisione
impugnata si presenta formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti
motivazionali forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e
valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti
che già erano stati posti in sede di gravame, in riferimento all’intervenuto esercizio
26

incendio di cui al capo c) risulta ad oggi prescritto, essendo spirato il termine

del potere di delega da parte del sindaco. Con le dedotte doglianze il ricorrente, per
contrastare la solidità delle conclusioni cui è pervenuto il giudice del merito, non ha
fatto altro che riproporre in questa sede – attraverso considerazioni e deduzioni
svolte sostanzialmente in chiave di puro merito – tutta la materia del giudizio,
adeguatamente trattata dal giudice stesso. Va sottolineato, in proposito, che
quest’ultimo, dimostrando di aver compiutamente vagliato le considerazioni
difensive, ha esplicitamente ed espressamente richiamato le più significative

fattispecie, le modifiche apportate dalla legge n. 46/2006 all’art. 606 del codice di
rito. A fronte dei motivi di ricorso così come formulati, compito di questa Corte non
è quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del giudice di merito, bensì quello di
verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità,
l’incompiutezza strutturale della motivazione dell’impugnata decisione;
incompiutezza che derivi dal non aver tenuto presente, detto giudice, fatti decisivi,
di rilievo dirompente dell’equilibrio della decisione impugnata. In realtà, le
deduzioni del ricorrente non risultano in sintonia con il senso dell’indirizzo
interpretativo di questa Corte, secondo cui (cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 38698
del 26/09/2006, Rv. 234989, imp. Moschetti ed altri) la Corte di Cassazione deve
circoscrivere il suo sindacato di legittimità sul percorso giustificativo della decisione
impugnata inerente alla verifica dell’assenza, in quest’ultima, di argomenti viziati da
evidenti errori di applicazione delle regole della logica dimostrativa o connotati da
vistose contraddizioni, oppure inconciliabili con “atti del processo”, specificamente
indicati con il ricorso e dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa
tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto,
determinando al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere
manifestamente incongrua la motivazione. In definitiva: la nuova formulazione
dell’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., introdotta dall’art. 8 della
legge 20 febbraio 2006 n. 46, nella parte in cui consente la deduzione, in sede di
legittimità, del vizio di motivazione sulla base, oltre che del “testo del
provvedimento impugnato”, anche di “altri atti del processo specificamente indicati
nei motivi di gravame”, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che
rimane pur sempre un giudizio di legittimità, per cui detti atti non possono che
essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati (non solo
singolarmente, ma in relazione all’intero contesto probatorio), avrebbero potuto
determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo comunque esclusa
la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione (cui
deve limitarsi la corte di cassazione) possa essere confusa con una nuova
valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal

27

risultanze probatorie. E neppure possono assumere rilievo, nella concreta

giudice di merito (Cass. Sez. 2, sentenza n. 19584 del 05/05/2006, Rv. 233775,
imp. Capri ed altri).
In applicazione dei i principi ora richiamati, deve evidenziarsi che, nel caso di
specie, le argomentazioni poste a base delle censure in esame non valgono a
scalfire la congruenza logica del complesso motivazionale impugnato, alla quale il
ricorrente ha inteso piuttosto sostituire una sua perplessa visione alternativa del
fatto facendo riferimento al vizio motivazionale: pur asserendo di volere contestare

in realtà, ha piuttosto richiesto a questa Corte un intervento in sovrapposizione
argomentativa, rispetto alla decisione impugnata, e ciò ai fini di una lettura della
prova alternativa rispetto a quella, congrua e logica, fornita dal giudice di merito.
Il Tribunale prima e la Corte d’Appello poi, all’esito della valutazione degli
elementi acquisiti, hanno chiarito che non risultava accertata l’esistenza di una
valida delega inerente l’esercizio dei poteri di vigilanza e controllo, rilasciata da
parte del sindaco. Segnatamente, in ordine all’esercizio del potere di delega, il
primo giudice

ha

analiticamente affrontato e risolto le questioni sollevate

dall’imputato, seguendo un percorso motivazionale caratterizzato da completezza
argomentativa, di tal che, trattandosi di conferma della sentenza di primo grado, i
giudici di seconda istanza legittimamente hanno richiamato la diffusa ed articolata
motivazione addotta dal Tribunale a fondamento del convincimento espresso. E’
principio pacifico in giurisprudenza, quello secondo cui, nel caso di “doppia
conforme”, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si
integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale
occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione
(in termini, “ex plurimis”, Cass. Sez. 3, sentenza n. 4700 del 14/02/1994, dep.
23/04/1994, Rv. 197497; Cass. Sez. 2, sentenza n. 11220 del 13/11/1997, dep.
05/12/1997, Rv. 209145). E il Tribunale di Salerno ha evidenziato che l’espletata
attività istruttoria non consentiva di ritenere accertata l’esistenza di una valida
delega conferita dal sindaco Piegari Pietrangelo a decorrere dal 10.09.1996,
all’assessore Piegari Vincenzo, nella materia di interesse. Ciò in quanto il decreto
sindacale del 10.09.1996 non era mai stata notificato al delegato; e posto mente al
fatto che la stessa supposta delega risultava annotata solo in un protocollo
informale. Il Tribunale ha altresì considerato che proprio dalla certificazione
prodotta in udienza dal Segretario Comunale Volpe risultava che, in realtà, non
erano state conferite valide deleghe agli assessori, sino al 1999. Sulla scorta di tali
rilievi, di ordine dirimente, il Tribunale ha mandato assolto l’assessore Piegari
Vincenzo come pure il vicesindaco Malpede Gerardo. Ed il Collegio di prime cure ha
chiarito che proprio l’insussistenza di una valida delega impediva di addebitare al
preteso soggetto delegato il mancato esercizio dei poteri di cui all’art. 38, legge n.
28

l’omessa o errata ricostruzione di risultanze della prova dimostrativa, il ricorrente,

142/1990, poteri che pure in astratto sarebbero stati delegabili, da parte del
sindaco.
13.1.2 Il terzo ed il quarto motivo del ricorso proposto nell’interesse di
Piegari Pietrangelo, che si esaminano congiuntamente, sono manifestamente
infondati. Al riguardo, null’altro che rilevare che del tutto correttamente la Corte di
Appello, nel condividere la valutazione già effettuata dal Tribunale, ha considerato
che la responsabilità del sindaco Piegari discendeva dalla inosservanza dei compiti

pur nella consapevolezza che detta struttura prefabbricata non fosse corrispondente
ai requisiti della sicurezza e della prevenzione incendi. Sul punto, i giudici di merito
hanno sottolineato che al sindaco risultava riferibile: l’omesso esercizio dei poteri di
vigilanza sul territorio comunale, ex art. 4 della legge n. 47 del 1985, al fine di
evitare che la Asl mutasse la originaria destinazione d’uso del prefabbricato; e la
mancata adozione di provvedimenti contingibili ed urgenti, a tutela della pubblica e
privata incolumità (ex art. 38, comma 2, legge n. 142/1990 e, quindi, ai sensi
dell’art. 54, d.lgs. n.267/200, recante Testo Unico delle legge sull’ordinamento degli

enti locali), il cui presupposto di operatività discendeva proprio dalla nota trasmessa
in data 7.04.1998 al Comune di San Gregorio Magno dal Comando Provinciale dei
Vigili del Fuoco. Con la predetta nota era stato comunicato l’esito negativo
dell’esame del progetto antincendio inerente la realizzazione della residenza
sanitaria nella struttura in località Murgi ed il conseguente diniego del rilascio del
certificato di prevenzione incendi. Come si vede, nessuna rilevanza assumono, in
riferimento alle condotte ascritte al prevenuto, le circostanze addotte dalla difesa,
relative alle modalità di acquisizione della struttura che precedono l’adibizione della
stessa a modulo residenziale per pazienti psichiatrici.
13.1.3 L’esame del quinto e del settimo motivo di ricorso dell’imputato
Piegari Pietrangelo viene rimesso al prosieguo, allorquando verrà analizzato,
congiuntamente al secondo motivo contenuto nel ricorso di Gregorio Iuzzolino ed al
terzo motivo del ricorso di Vito Saggese, il tema della riconosciuta sussistenza del
nesso di derivazione causale, tra le condotte poste in essere dai richiamati imputati
e l’incendio come in concreto verificatosi, in data 15 dicembre 2001.
13.1.4 Soffermandosi sulle doglianze affidate al sesto motivo di ricorso
proposto nell’interesse di Piegari Pietrangelo, devono richiamarsi le considerazioni
sopra svolte analizzando i ricorsi di Sarro e De Bellis, in riferimento ai limiti che
incontra il sindacato di legittimità, rispetto al mancato accoglimento da parte della
Corte di Appello delle richieste di rinnovo dell’istruttoria dibattimentale.

Ciò

premesso, deve osservarsi che la Corte di Appello di Salerno, nel rigettare la
richiesta istruttoria del Piegari, ha diffusamene osservato che le affermazioni della
parte istante, volte a ritenere che l’incendio fosse stato innescato dolosamente da
29

di vigilanza che derivavano dal mantenimento in attività della struttura residenziale,

una paziente che aveva appiccato le fiamme al carrello dei medicinali, risultavano
contraddette dal contenuto della consulenza del dott. Zucchetta, laddove

si era

pure chiarito che gli arredi dei locali non erano ignifughi ed anzi composti da
materiale idoneo a propagare un incendio; e che le pareti interne ed esterne della
intera struttura erano composte da due lamiere contenenti all’interno poliuretano,
sostanza altamente infiammabile. Oltre a ciò, la Corte territoriale ha osservato che
risultava inequivocamente accertato che la causa del decesso delle numerose

combustione e, in particolare, di ossido di carbonio, come dimostrato dalla
morfologia dei tessuti cutanei analizzati dai consulenti e che risultava
assolutamente ultronea la richiesta di rinnovo dell’istruttoria, anche in riferimento
alla possibile incidenza dei ritardi registrati nell’azione di soccorso, rispetto agli
eventi come verificatisi. Orbene, il percorso argomentativo sviluppato dalla Corte
territoriale, nei termini ora riferiti, soddisfa pienamente lo specifico obbligo
motivazionale e non risulta sindacabile in questa sede, giacché i giudici del gravame
hanno evidenziato l’esistenza di fonti di prova adeguate per una compiuta e logica
valutazione in punto di responsabilità del prevenuto.
13.1.5 Tanto rilevato, si osserva che del pari infondate risultano le censure
affidate al primo motivo del ricorso in esame, afferenti alla dosimetria della pena.
Richiamate le considerazioni sopra espresse analizzando le analoghe doglianze
dedotte dai ricorrenti Sarro e De Bellis, in ordine ai limiti che incontra lo scrutinio di
legittimità sul punto di interesse, deve in questa sede osservarsi che il giudice di
merito, in riferimento alla gravità della condotta posta in essere dal sindaco Piegari
Pietrangelo, ha specificamente evidenziato che al predetto amministratore andava
ricondotta la regia della operazione di assegnazione della struttura prefabbricata
alla ASL Salerno 2 e dunque, la stessa scelta di consentire l’utilizzazione del
prefabbricato come modulo residenziale pur in assenza degli elementari presidi di
sicurezza. Per le ragioni già sopra evidenziate analizzando la posizione degli
imputati Sarro e De Bellis, la sentenza deve essere annullata senza rinvio,
limitatamente al reato di cui all’art. 449 cod. pen. in relazione all’art. 423 cod. peri.,
perché il predetto reato è estinto per prescrizione; conseguentemente, deve
rideterminarsi in anni tre e mesi dieci di reclusione la pena inflitta a Piegari
Pietrangelo, una volta eliminato l’aumento di pena applicato dai giudici di merito, in
riferimento al reato di incendio.
13.2 Si vengono ora ad esaminare i ricorsi proposti nell’interesse dell’ing.
Iuzzolino Gregorio e del geometra Vito Saggese, tecnici incaricati di effettuare
valutazioni di ordine strutturale, sul prefabbricato sito in località Murgi.
13.2.1 Il primo motivo del ricorso proposto dall’imputato Iuzzolino è
destituito di fondamento.
30

vittime fosse da rinvenire nella inalazione dei gas velenosi sprigionati dalla

Giova soffermarsi sui seguenti elementi fattuali, riferiti dalla Corte di
Appello: nel novembre del 1997 il Comune di San Gregorio Magno, nella sua qualità
di proprietario della struttura, veniva investito della richiesta di rilascio del
certificato di agibilità e dell’autorizzazione sanitaria all’utilizzo della struttura; la
giunta comunale, in data 25.11.1997, conferiva all’ing. Iuzzolino l’incarico di
verificare le condizioni in cui versava l’edificio prefabbricato sito in località Murgi, ai
fini del rilascio del certificato di agibilità richiesto dalla ASL; il professionista

rilevava l’idoneità della struttura allo scopo per il quale era utilizzata, sia dal punto
di vista strutturale che impiantistico, contestualmente consigliando l’installazione di
un gruppo di pompe per mantenere in pressione l’impianto antincendio e
l’adeguamento dell’impianto elettrico rispetto alla normativa vigente; in data
3.12.1997, l’assessore Grippo Onofrio emetteva certificato di agibilità della struttura
ove, dopo aver richiamato la relazione redatta dall’ing. Iuzzolino, certificava che
l’edificio prefabbricato risultava idoneo ed agibile per l’utilizzo cui era adibito; nel
predetto certificato di agibilità, veniva specificato che restava fermo l’obbligo di
provvedere alla manutenzione ordinaria, come pure alle verifiche ed agli
adeguamenti degli impianti tecnologici.
Tanto premesso, deve osservarsi che la Corte di Appello, nel condividere la
valutazione già effettuata dal Tribunale di Salerno, ha evidenziato che doveva
ritenersi accertato che gli amministratori ed i tecnici comunali si fossero attivati per
predisporre un corredo di atti e documenti tale da creare una situazione di
apparenza documentale, idonea a giustificare l’utilizzo della struttura da parte della
Asl. Si tratta di un apprezzamento logicamente conferente e saldamente ancorato
alle risultanze processuali, che risulta immune da censure rilevabili in sede di
legittimità, salvo le considerazioni che si verranno di seguito a sviluppare con
specifico riferimento alla posizione dell’assessore Grippo Onofrio.
Con riguardo alla posizione dell’ing. Iuzzolino, la Corte territoriale ha in
particolare evidenziato che la responsabilità del predetto professionista discendeva
dal fatto di aver indicato nella relazione tecnica redatta in assolvimento dell’incarico
ricevuto dalla giunta comunale – violando con superficialità le comuni regole di
diligenza e prudenza – che i requisiti della struttura prefabbricata risultavano
esaustivi rispetto all’utilizzazione in atto, benché lo stabile presentasse elementi di
assoluta inidoneità e pericolosità sotto il profilo della sicurezza e prevenzione
incendi. La Corte distrettuale ha considerato che il tecnico Iuzzolino, pur avendo
dato atto nella parte descrittiva del proprio elaborato, della inadeguatezza
dell’impianto antincendio, aveva concluso la propria relazione affermando che, nel
complesso, sia la struttura che gli impianti tecnologici erano tali da rendere idonea
la strutta medesima all’utilizzo immediato. Il Collegio ha quindi logicamente
31

incaricato, anche a seguito dì sopralluogo, redigeva una propria relazione, ove

considerato che Iuzzolino, in relazione al proprio segmento di attività, aveva
contribuito con i vertici della Asl Salerno 2 a mantenere in attività la struttura
prefabbricata e ciò nonostante la carenza del prescritto certificato di prevenzione
incendi e l’assenza sostanziale dei requisiti minimi di utilizzabilità; e che il predetto
professionista, consulente esterno del Comune di San Gregorio Magno, con la
redazione del proprio elaborato, aveva fornito una documentazione idonea a
rappresentare la condizione di apparente legittimità rispetto al perdurante utilizzo

richiesto non solo di valutare l’aspetto strutturale del prefabbricato, ma anche di
effettuare una serie di verifiche, a fronte dei plurimi rilievi che erano stati elevati
dalla Commissione regionale all’esito del sopralluogo eseguito presso il modulo
residenziale.
Deve poi osservarsi che in riferimento alla ascrivibilità colposa della
condotta, la Corte di Appello ha considerato che la verificazione di un evento
dannoso, come il devastante incendio occorso la notte del 15 dicembre 2001,
doveva ritenersi certamente prevedibile, da parte dell’ing. Iuzzolino, secondo una
valutazione da effettuarsi “ex ante”, proprio in ragione dei rischi, conosciuti dal
professionista, connessi al funzionamento di una struttura della quale lo stesso
tecnico aveva verificato le carenze rispetto ai requisiti minimi di sicurezza. Si tratta
di una valutazione conforme all’insegnamento espresso dalla Corte regolatrice, sul
punto di interesse. La Suprema Corte ha, infatti, da tempo chiarito che in tema di
reati colposi, ai fini del giudizio di prevedibilità dell’evento, deve aversi riguardo alla
idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno, non anche alla
specifica rappresentazione in capo all’agente, dell’evento dannoso concretamente
realizzatosi (cfr. Cass. Sez. 4. sentenza n. 21513 del 25.02.2009, dep. 22.05.2009,
Rv. 243983). Si osserva, inoltre, che la Corte territoriale ha evidenziato che
l’incendio neppure poteva essere qualificato come evento inevitabile, rispetto alla
posizione del soggetto agente, atteso che Iuzzolino aveva omesso di evidenziare,
nel proprio elaborato: che la struttura non era corredata dal prescritto certificato di
prevenzione incendi; e che le caratteristiche del prefabbricato rendevano di fatto
impossibile che una tale certificazione venisse rilasciata dalle competenti autorità.
13.2.2 Si vengono ora ed esaminare congiuntamente il primo ed il secondo
motivo del ricorso proposto nell’interesse del tecnico comunale Vita Saggese,
La Corte di Appello ha rilevato che Saggese, dipendente addetto all’ufficio
tecnico del Comune di San Gregario Magno, aveva rilasciato apposita certificazione,
attestando che la struttura sita in località Murgi rispondeva alle caratteristiche di
“prefabbricato pesante”. Il Collegio ha proceduto ad un apprezzamento relativo al
contenuto della attestazione redatta dal geometra Saggese, che non presenta vizi
deducibili in sede di legittimità. I giudici del gravame hanno, invero, considerato
32

della struttura intermedia residenziale, atteso che all’ing., Iuzzolino era stato

che il tecnico incaricato aveva effettuato una valutazione di natura edilizia e
strutturale, affermando che il prefabbricato utilizzato dalla Asl Salerno

2 era

costituito da una struttura portante, ancorata al suolo, così da potersi definire
“prefabbricato pesante”; e, sulla scorta delle indicazioni fornite dal consulente del
pubblico ministero, hanno chiarito che si trattava di una classificazione rispondente
ad una definizione convenzionale, indicativa dell’impiego di elementi portanti in
conglomerato cementizio. La Corte di Appello, contestualizzando la condotta posta

valutazione all’indomani del sopralluogo presso la struttura effettuato dalla
Commissione regionale; e che detta Commissione aveva evidenziato la non
conformità della struttura residenziale, rispetto alla normativa vigente in materia di
sicurezza, proprio in considerazione dei caratteri edilizi del prefabbricato. Sulla
scorta di tali rilievi, la Corte di merito ha ritenuto che la valutazione effettuata da
Saggese risultasse funzionale al superamento dei rilievi formalizzati dalla
Commissione regionale, all’esito del sopralluogo. In particolare, il Collegio ha
considerato: che la definizione di “prefabbricato pesante” doveva essere riferita alle
caratteristiche edilizie della struttura ed ai materiali di fabbricazione; e che Saggese
aveva violato le regole cautelari che venivano in rilievo nell’espletamento
dell’accertamento richiestogli, non avendo rilevato né lo spessore dei pannelli, né
l’assenza di cemento nelle intercapedini, evenienze che emergevano senza
necessità di particolari approfondimenti, come chiarito dal consulente tecnico del
pubblico ministero. In riferimento alla rilevanza della certificazione di che trattasi,
rispetto alla complessiva vicenda in esame, la Corte di Appello ha sottolineato che
l’attestazione redatta dal geom. Saggese, relativa alle caratteristiche del
prefabbricato, risultava allegata al carteggio con il quale i dirigenti sanitari avevano
successivamente richiesto il certificato di prevenzione incendi, sulla base della
asserita sussistenza dei requisiti minimi di sicurezza della struttura.
La Corte di Appello ha pertanto considerato, con apprezzamento che non
presenta le denunziate aporie di ordine logico, che il rogo che aveva interessato la
struttura intermedia residenziale deputata al ricovero di pazienti psichiatrici, fosse
direttamente riconducibile anche alla condotta posta in essere dal geometra
Saggese, dipendente dell’ufficio tecnico del Comune di San Gregorio Magno, il quale
aveva concorso, con i funzionari della Asl, a mantenere in attività la struttura
prefabbricata; ciò in quanto, il predetto tecnico, pur essendo consapevole del fatto
che la struttura non rispondesse ai requisiti in materia di sicurezza e di prevenzione
incendi, aveva omesso, con superficialità, di accertare la reale tipologia dei
materiali componenti il prefabbricato.
13.2.3 Si procede all’esame congiunto del quinto e del settimo motivo del
ricorso Piegari, del secondo motivo del ricorso Iuzzolino e del terzo motivo del
33

in essere dal Saggese, ha poi considerato che il geometra aveva espresso la propria

ricorso Saggese, affidati a comuni doglianze che involgono il tema della riferibilità
causale dell’evento ai predetti ricorrenti; le parti sostengono che le condotte
colpose, attive ed omissive, successivamente poste in essere dai dirigenti della Asl,
dal personale infermieristico e dagli addetti ai soccorsi, siano fattori idonei ad
interrompere il nesso causale tra l’operato degli amministratori e dei tecnici
comunali e l’incendio verificatosi a quattro anni di distanza.
Come noto, questa Suprema Corte ha costantemente affermato che, in tema

sensi dell’art. 41 comma secondo, cod. pen.) può configurarsi anche nel caso di un
processo non completamente avulso dall’antecedente, ma comunque caratterizzato
da un percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo
ed eccezionale, ossia nel caso di un evento che non si verifica se non in casi del

tutto imprevedibili. La giurisprudenza di legittimità, in riferimento all’incidenza della
condotta colposa sopravvenuta, tale da interrompere il nesso di causalità, ha cioè
ritenuto che ai fini dell’apprezzamento dell’eventuale interruzione del nesso causale
tra la condotta e l’evento (ex art. 41, comma 2, cod. pen.), la nozione di causa
sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento non si riferisce solo al caso
di un processo causale del tutto autonomo, giacché, allora, la disposizione sarebbe
pressoché inutile, in quanto all’esclusione del rapporto causale si perverrebbe
comunque sulla base del principio condizionalistico o dell’equivalenza delle cause di
cui all’articolo 41 comma 1, cod. pen.; e che la predetta norma deve applicarsi nel
caso di un processo non completamente avulso dall’antecedente, ma caratterizzato
da un percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo
ed eccezionale, ossia di un evento che non si verifica se non in casi del tutto
imprevedibili a seguito della causa presupposta (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 20272
del 16/05/2006, dep. 14/06/2006, Rv. 234596).
Orbene, le conformi valutazioni effettuate dai giudici di primo e secondo
grado, i quali hanno escluso che l’incendio verificatosi nel dicembre del 2001 possa
qualificarsi come evento provocato da una causa sopravvenuta, del tutto
indipendente dalle condotte poste in essere dai predetti ricorrenti, si collocano
coerentemente nell’alveo del richiamato orientamento interpretativo.
Segnatamente, la valutazione effettuata in sede di merito, in riferimento alle
posizioni degli imputati Piegar’ Pietrangelo, Iuzzolino Gregorio e Saggese Vito,
risulta immune da ogni censura. I giudici del merito hanno infatti chiarito che le
condotte poste in essere dal sindaco Piegari, quale regista dell’intera operazione, e
dai tecnici Iuzzolino e Saggese incaricati dal Comune di San Gregorio Magno,
avevano consentito il procrastinarsi della destinazione della struttura a ricovero di
pazienti psichiatrici, pure a fronte delle riscontrate inadeguatezze strutturali e
stante il diniego del certificato di prevenzione incendi da parte dei Vigili del Fuoco; e
34

di causalità, la causa sopravvenuta “da sola sufficiente a determinare l’evento” (ai

che dette condotte si ponevano in sinergia rispetto alla verificazione dell’incendio, in
quanto il verificarsi del tragico evento era da ricondursi al protratto uso non
corretto della struttura intermedia residenziale, quale modulo assistenziale
psichiatrico. In chiusura di argomento, deve osservarsi che la Corte di Appello, nel
confermare la valutazione effettuata dal Tribunale, ha considerato: che gli eventuali
profili di responsabilità politica, riferibili agli amministratori regionali, in riferimento
alla dimissione dei pazienti già ricoverati negli ospedali psichiatrici, non

imputati; che, non era revocabile in dubbio che gli organi politici del comune di San
Gregario Magno fossero stati investiti di tutte le problematiche in tema di collaudo,
agibilità, abitabilità ed idoneità all’uso della struttura intermedia residenziale sita in
località Murgi; e che l’ente proprietario della struttura, per la parte di propria
competenza, era direttamente gravato dall’obbligo di effettuare le dovute verifiche
sullo stato dell’impianto.
13.2.4 Tanto rilevato, si osserva che del pari infondate risultano le censure
mosse dai ricorrenti Iuzzolino e Saggese in riferimento alla dosimetria della pena.
Richiamate le considerazioni sopra espresse analizzando le analoghe doglianze
dedotte nel’interesse degli imputati Sarro, De Bellis e Piegari, in ordine ai limiti che
incontra lo scrutinio di legittimità sul punto di interesse, deve in questa sede
osservarsi che il giudice di merito, in riferimento alla gravità delle condotte poste in
essere dall’ing. Iuzzolino e dal geom. Saggese, ha evidenziato che i predetti tecnici
avevano contribuito all’attività, rivelatasi essenziale, di predisposizioni di documenti
idonei alla creazione della condizione di apparente legittimità dell’utilizzo della
struttura, sulla cui base altri enti avevano poi costruito le rispettive burocratiche
decisioni. Per le ragioni già sopra evidenziate, la sentenza deve essere annullata
senza rinvio, limitatamente al reato di cui all’art. 449 cod. pen. in relazione all’art.
423 cod. pen., perché il predetto reato è estinto per prescrizione;
conseguentemente, deve rideterminarsi in anni due e mesi quattro di reclusione le
pena inflitte a Iuzzolino Gregario e Saggese Vita, una volta eliminati gli aumenti di
pena applicati dai giudici di merito, in riferimento al reato di incendio.
14. Si vengono ora ad esaminare i ricorsi proposti nell’interesse di Grippo
Onofrio. Ci si sofferma, per la natura assorbente del rilievo, sul secondo motivo del
ricorso proposto dall’Avv. Marcello Giani, ove l’esponente ribadisce che il certificato
di agibilità venne rilasciato dall’assessore Grippo sulla base della relazione tecnica
redatta dai professionisti; ed assume che si versi in ipotesi di errore determinato da
altri.
Al riguardo, deve osservarsi che la Corte di Appello, pur avendo riferito che
la difesa, in sede di gravame, aveva contestato la ascrivibilità colposa della
condotta in capo all’assessore Grippo, giacché il predetto, quale organo politico
35

assumevano alcuna rilevanza rispetto allo scrutinio delle posizioni degli odierni

amministrativo, aveva agito con l’avallo di tecnici qualificati, come il geometra
Saggese e l’ing. Iuzzolino, in riferimento al richiamato motivo di censura, si è
limitata ad effettuare astratte considerazioni sulla ripartizione delle competenze tra
organi elettivi ed organi burocratici, al fine di individuare i soggetti penalmente
responsabili nell’ambito delle attività svolte dagli enti locali, omettendo di
esaminare il contenuto della doglianza. Oltre a ciò, deve evidenziarsi che la Corte
territoriale ha giustificato l’affermazione di penale responsabilità di Grippo Onofrio

l’agibilità della struttura rispetto all’utilizzo cui era adibita, pur in presenza delle
inadeguatezze riportate nel corpo della relazione tecnica redatta dall’ing. Iuzzolino;
e che l’assessore aveva in tal modo reso possibile l’esercizio della struttura, benché
ne fosse stata accertata l’assoluta inidoneità.
Orbene, deve considerarsi che il percorso argomentativo, ora richiamato, da
un lato risulta affatto carente, rispetto ai temi che erano stati dedotti, atteso che i
giudici del gravame non hanno esaminato il tema relativo alla possibile induzione in
errore dell’assessore Grippo, per effetto delle valutazioni effettuate dai
professionisti incaricati di valutare l’idoneità tecnica della struttura residenziale;
dall’altro,

che

le valutazioni conducenti all’affermazione di responsabilità

dell’imputato Grippo risultano inficiate da una insanabile contraddizione di ordine
logico, rispetto alle diffuse argomentazioni svolte in altra parte della sentenza
impugnata, in riferimento alle posizioni dei tecnici Iuzzolino e Saggese. Come sopra
si è rilevato, infatti, la Corte di Appello ha sottolineato che i predetti tecnici avevano
predisposto atti e documenti idonei alla creazione di una apparente condizione di
legittimità rispetto all’utilizzo della struttura, pure a fronte dei rilievi formulati dalla
Commissione tecnica regionale, all’esito dell’effettuato sopralluogo. Con riguardo
all’ing. Iuzzolino, la Corte territoriale ha considerato che il professionista aveva
riferito, violando con superficialità le comuni regole di diligenza e prudenza, che i
requisiti della struttura prefabbricata risultavano esaustivi rispetto all’utilizzazione
in atto; e, con riferimento al geom. Saggese, il Collegio ha osservato che il tecnico
aveva violato le regole cautelari che venivano in rilievo nell’espletamento
dell’accertamento richiestogli, non avendo rilevato né lo spessore dei pannelli, né
l’assenza di cemento nelle intercapedini.
Come si vede, la Corte territoriale ha ritenuto che i professionisti all’uopo
incaricati avessero celato le reali condizioni di insicurezza in cui versava la
struttura, creando anzi una situazione di apparente legittimità dell’impiego del
fabbricato; conseguentemente, risulta insanabilmente contraddittoria l’affermazione
con la quale, la medesima Corte, addebita all’assessore Grippo il fatto di avere
rilasciato il certificato di agibilità, nonostante risultasse accertata l’inidoneità all’uso

36

osservando: che Grippo aveva rilasciato un certificato ove in sostanza attestava

del prefabbricato, atteso che detta inidoneità era stata colposamente occultata dai
tecnici incaricati dei relativi accertamenti.
Deve poi osservarsi che i giudici di merito hanno pure espressamente
rilevato che il “regista” dell’intera operazione afferente al mantenimento della
destinazione d’uso del prefabbricato sito in località Murgi, quale modulo
assistenziale per pazienti psichiatrici, era da rinvenirsi esclusivamente nel sindaco
Piegari Pietrangelo; e che i medesimi giudici non hanno richiamato alcun elemento,

Sindaco, rispetto all’impiego della struttura prefabbricata. Pertanto, neanche sotto
tale profilo, può giustificarsi l’affermazione effettuata dalla Corte di Appello, in
ordine al fatto che l’assessore Grippo abbia cooperato con tecnici ed amministratori
comunali, mediante il rilascio del certificato di agibilità, così da consentire
l’utilizzazione della struttura prefabbricata per una finalità che il medesimo agente
sapeva essere inadeguata rispetto ai requisiti di sicurezza. Si impone, allora,
l’annullamento della sentenza impugnata, nei confronti di Grippo Onofrio, con rinvio
alla Corte di Appello di Napoli, per nuovo esame della posizione del predetto
imputato, alla luce dei rilievi sopra svolti, che involgono la valutazione della dedotta
sussistenza di un incolpevole errore sul fatto, in cui sia incorso il soggetto agente.
15. L’esame dei ricorsi proposti nell’interesse di Corrado Pierluigi e Stabile
Giovanna muove alle considerazioni che seguono.
15.1 Si deve rilevare che il delitto di omicidio colposo, che viene contestato
agli imputati Corrado e Stabile, commesso nella notte tra il 15 ed il 16 dicembre
2001, risulta estinto per intervenuta prescrizione, essendo inutilmente spirato il
termine prescrizionale massimo, pari ad anni sette e mesi sei.
Si osserva, al riguardo, che secondo i termini della contestazione, ai predetti
imputati viene addebitata la violazione dell’art. 589, comma 3, cod. pen., per aver
reso letali gli effetti dell’incendio scoppiato nell’ala riservata alle pazienti di sesso
femminile ricoverate presso la struttura intermedia residenziale sita in località
Murgi, nel quale perdevano la vita diciannove degenti; e ciò per colpa generica
consistita in negligenza ed imprudenza e per colpa specifica consistita nella
violazione delle norme che disciplinano il servizio infermieristico. In corso di
giudizio, ai predetti imputati è stata contestata specificamente la violazione delle
norme che regolano il servizio infermieristico di cui al d.m. 14.09.1994 n. 739 e del
codice deontologico degli infermieri.
Occorre poi considerare che agli imputati Corrado e Stabile, diversamente
dalle contestazioni elevate ai dirigenti sanitari, agli amministratori ed ai tecnici
comunali, non è stata addebitata la violazione delle norme antinfortunistiche. I
profili di colpa specifica ascritti agli infermieri Corrado e Stabile involgono infatti
“l’intervento assistenziale infermieristico”, volto a garantire “la corretta applicazione
37

indicativo del coinvolgimento dell’assessore Grippo, nella scelta effettuata dal

delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche”, secondo quanto stabilito dalla
previsione di cui all’art. 1, comma 3, lett. c) e d), del citato Decreto 14 settembre
1994, n. 739, recante Regolamento concernente l’individuazione della figura e del

relativo profilo professionale dell’infermiere. La fattispecie in addebito rientra cioè
nell’ambito del primo comma dell’art. 589 cod. pen.
Deve pure rilevarsi che il riferimento al terzo comma dell’art. 589, cod. pen.,
contenuto nel capo di imputazione in esame, necessita di essere contestualizzato, in

rinvio a giudizio. A seguito delle modifiche introdotte dal d.l. 23.05.2008 n. 92,
convertito con modificazioni nella legge n. 125/2008, nel testo dell’art. 589 cod.
pen. è stato inserito l’attuale comma terzo, che regola specifiche ipotesi di omicidio
colposo commesso in violazione delle norme sulla disciplina della circolazione
stradale. Pertanto, non appare revocabile in dubbio che il richiamo al terzo comma,
dell’art. 589 cod. pen., contenuto nell’imputazione ascritta agli infermieri Corrado e
Stabile, vada inteso, con riguardo all’ipotesi di cui all’ultimo comma dell’art. 589,
cod. pen., che regola il caso di morte di più persone.
Quanto sopra premesso, il Collegio osserva che il raddoppio dei termini di
prescrizione, previsto dall’articolo 157, comma 6, cod. pen., per le ipotesi di
concorso formale di più omicidi colposi, di cui all’articolo 589, comma 4, cod. pen.,
non può trovare applicazione nelle ipotesi in cui il soggetto agente si sia reso
responsabile di fattispecie delittuose, punite ai sensi del primo comma del
menzionato articolo 589.
Per comprendere le ragioni di tale tesi giuridica, è necessario procedere alla
ricostruzione storica della disposizione di legge su indicata, secondo cui “nel caso di
morte di più persone, ovvero di morte di un o più persone e di lesioni di una o più
persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni
commesse aumentata sino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici”.
Ebbene, una norma siffatta era stata sin dalle origini inserita nel codice
Rocco, il cui articolo 589 stabiliva testualmente: “1. Chiunque cagiona, per colpa, la
morte di un uomo è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. – 2. Nel caso
di morte di più persone, ovvero di morte di una sola persona e di lesione personale
di una o più persone, si applica la disposizione della prima parte dell’articolo 81; ma
la pena complessiva non può superare gli anni dodici”.
Si trattava, all’evidenza, di una norma di favore per coloro che si erano resi
responsabili, con una sola azione o omissione, di più omicidi colposi, dal momento
che prima del 1974, nelle ipotesi di concorso formale, trovava applicazione la
disposizione di legge di cui all’articolo 81, comma 1, cod. pen., secondo cui “chi,
con una sola azione od omissione, viola diverse disposizioni di legge o commette
più violazioni della stessa disposizione di legge è punito a norma degli articoli
38

ragione della formulazione dell’art. 589, cod. pen. vigente alla data della richiesta di

precedenti”, cioè con il cumulo materiale delle pene previste per ogni reato in
concorso. Dottrina e giurisprudenza, peraltro, hanno sempre concordato sul fatto
che la suddetta disposizione di legge (ma anche le sue successive modificazioni, di
cui si dirà tra breve) non costituisce una circostanza attenuante, ma un limite posto
dal legislatore ai giudici al solo fine di evitare eccessi nell’irrogazione delle pene.
E però, nel 1966, il Legislatore – preoccupato dal rilevante aumento degli
omicidi colposi commessi con violazione delle norme sulla circolazione stradale o di

589 cod. pen. introducendo un ulteriore comma con cui, per le suddette ipotesi
venne prevista la sanzione della reclusione da uno a cinque anni; dunque, venne
aumentata esclusivamente la pena edittale minima, portata da sei mesi a un anno
di reclusione, mentre non vennero modificate le altre disposizioni, compresa quella
di favore su indicata, che prevedeva per l’omicidio plurimo commesso con una sola
azione o omissione la pena massima di dodici anni di reclusione.
Tale normativa di favore ha però perso incisività nel 1974, quando l’articolo
81, comma 1, cod. pen., è stato sostituito dalla seguente disposizione: “è punito
con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al
triplo chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero
commette più violazioni della medesima disposizione di legge.”
E’ evidente, infatti, che l’equiparazione del concorso formale di reati
(regolata antecedentemente dalle norme sul concorso materiale) alla disciplina della
continuazione (comunque non applicabile ai reati colposi), ha fatto in massima
parte venire meno l’utilità di quel comma secondo (divenuto terzo dopo la riforma
del 1966) dell’articolo 589 cod. pen. prima citato; tale disposizione di legge, però, è
stata mantenuta dal Legislatore, atteso che il limite massimo dei dodici anni di pena
applicabile all’omicidio colposo plurimo dava luogo ancora a un vantaggio per il reo,
rispetto alla pena massima irrogabile di quindici anni, cui poteva giungersi
applicando il triplo della sanzione prevista dall’articolo 589 cod. pen. sia per le
fattispecie di omicidio semplice, sia per quelle di omicidio aggravato dalla violazione
delle norme sulla circolazione stradale o di quelle per la prevenzione sugli infortuni
sul lavoro.
In ogni caso era allora pacifico, in dottrina e in giurisprudenza, che il
termine di prescrizione della fattispecie prevista dall’articolo 589, comma 2 prima
versione e comma 3 dopo le modifiche del 1966, cod. pen., era quello previsto per i
singoli reati (omicidio colposo o lesioni colpose) di cui l’imputato si era reso
responsabile e che a tale fune non veniva in rilievo il limite di pena indicato
nell’ultimo comma dell’art. 589 cod., pen., (Cass. Sez. 1, sentenza n. 175 del
07/11/1995, dep. 09/01/1996, Rv. 203346; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 3127 del
27/01/1999, dep. 09/03/1999, Rv. 213221).
39

quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro – ritenne di modificare l’articolo

A complicare la materia è giunta però la legge 4 dicembre 2005, n. 251,
così detta ex Cirielli, che ha profondamente modificato la disciplina della
prescrizione stabilendo che questa, in via generale, estingue il reato decorso il
tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e
comunque in un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro
anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria. E
però la ex Cirielli ha previsto – sia pure in maniera disorganica – delle deroghe alla

termini di prescrizione, per gli omicidi colposi commessi con violazione delle norme
sulla circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Sennonché il Legislatore, nel prevedere tale raddoppio dei termini di prescrizione
relativi a quelle particolari fattispecie di omicidio colposo ha anche menzionato il
terzo comma dell’articolo 589 cod. pen., e cioè la disposizione che prevedeva
l’omicidio plurimo in concorso formale e che – come si è cennato – non è mai stata
considerata una circostanza del delitto. Verosimilmente (i lavori preparatori non
aiutano in questa ricostruzione, essendo pressoché inesistenti), l’intento del
Legislatore era quello di evitare che gli omicidi aggravati di cui si è detto potessero
prescriversi in un periodo più breve di quello per loro espressamente previsto (e
cioè il doppio del termine della prescrizione ordinaria), ove fossero contestati ai
sensi dell’ultimo comma dell’articolo 589 cod. pen.; e che questa interpretazione sia
quella corretta, è dimostrato anche dal fatto che allorquando, nel 2008, vennero
inaspriti i massimi edittali della pena prevista per gli omicidi aggravati ex comma 2
(portati da cinque a sette anni di reclusione) e venne introdotto quell’ulteriore
comma, di cui si fatto cenno, che prevedeva la pena da tre a dieci anni, per gli
omicidi commessi con violazione delle norme del codice della strada da soggetti in
stato di ebbrezza alcolica o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope,
anche la disposizione di legge sull’omicidio colposo plurimo commesso con una sola
azione o omissione venne modificata e la pena massima applicabile venne portata a
quindici anni.
Alla stregua della suddetta ricostruzione storica della norma in esame,
sembra perciò evidente a questo Collegio che la previsione relativa al raddoppio dei
termini prescrizionali prevista dall’articolo 157, comma 6, cod. pen., non può che
trovare applicazione con esclusivo riguardo alle ipotesi di omicidio colposo
aggravato dalla violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o
di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro di cui al secondo comma
dell’articolo 589 cod. pen., ovvero in riferimento alle specifiche fattispecie di
omicidio stradale di cui al terzo comma della norma da ultimo citata.
A favore di tali tesi militano anzitutto quelle ragioni di carattere sistematico
già adombrate nella ricostruzione storica della normativa in esame: e cioè che
40

disciplina introdotta: e tra tali deroghe v’è quella secondo cui sono raddoppiati i

l’ipotesi dell’omicidio plurimo in concorso formale non integra una aggravante del
reato di cui all’articolo 589 cod. pen. e che non ha – di per sé – alcuna autonoma
valenza ai fini prescrizionali, atteso che, secondo la costante giurisprudenza di
questa Corte, per il computo del termine di prescrizione occorre considerare le
singole fattispecie di omicidio colposo oggetto di contestazione, la cui data di
commissione – malgrado l’unicità dell’azione – potrebbe essersi verificata in tempi
diversi (è il caso, ad esempio, di un’azione che provoca più morti, con decessi delle

Diversamente opinando, la più severa disciplina dettata dal sesto comma
dell’art. 157 cod. pen., risulterebbe applicabile anche al reato di omicidio colposo
non aggravato di cui al primo comma dell’art. 589, cod. pen., proprio nella sola
ipotesi in cui il legislatore ha inteso mitigare il trattamento sanzionatorio, in
applicazione dei principi che disciplinano il concorso formale dei reati. E si
realizzerebbe pure una ingiustificata disparità di trattamento, tra il soggetto
chiamato a rispondere di omicidio non aggravato, che abbia contestualmente
provocato la morte di più persone o di lesioni in danno di una o più persone, per il
quale opererebbe il raddoppio dei termini, rispetto ad un soggetto che si renda
responsabile di più omicidi colposi non aggravati, ma in tempi diversi, per il quale
non scatterebbe l’allungamento del termine prescrizionale, pure a fronte della più
grave violazione dei beni giuridicamente protetti, determinata dalla reiterazione
delle condotte criminose.
Si ha pertanto, con una interpretazione della norma costituzionalmente
orientata in riferimento al principio di ragionevolezza, che il termine prescrizionale
massimo relativo alla ipotesi di omicidio colposo in esame, in applicazione della più
favorevole disciplina di cui al novellato art. 157, comma 1, cod. pen., è quello sopra
indicato pari ad anni sette e mesi sei.
15.2 Come noto, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono
rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in
quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere
immediatamente alla declaratoria della causa estintiva. Occorre peraltro
considerare che le Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione hanno chiarito
che il disposto di cui all’art. 129 cod. proc. pen., laddove impone di dichiarare la
causa estintiva quando non risulti evidente che il fatto non sussiste, che l’imputato
non lo ha commesso, ecc., deve coordinarsi con la presenza della parte civile e di
una condanna in primo grado che impone ai sensi dell’art. 578 c.p.p. di pronunciarsi
sulla azione civile; e che in tali ipotesi, la valutazione della regiudicanda non deve
avvenire secondo i canoni di economia processuale che impongono la declaratoria
della causa di proscioglimento quando la prova della innocenza non risulti ictu °culi.
La pronuncia ex art. 578 cod. proc. pen. impone, cioè, pur in presenza della causa
41

vittime distanziati nel tempo).

estintiva, un esame approfondito di tutto il compendio probatorio, ai fini della
responsabilità civile (Cass. Sez. U, sentenza n. 35490 del 28.5.2009, dela.
15.09.2009, Rv. 244273). E detto principio è stato affermato anche in riferimento ai
ipotesi di nullità dedotte dal ricorrente, in presenza di statuizioni a fini civili rese dal
giudice penale.
15.3 Si vengono quindi ad esaminare i motivi di doglianza, affidati ai ricorsi
proposti nell’interesse degli imputati Corrado e Stabile.

Corrado.
Giova rilevare che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che la
parte legittimata ad impugnare il punto della decisione relativo all’esonero
dall’obbligo risarcitorio del responsabile civile è individuabile solo ed esclusivamente
nella parte civile, che è il soggetto processuale al quale risale l’iniziativa della
citazione in giudizio del predetto responsabile civile (Cass. Cass. Sez. 4,
Sentenza n. 2679 del 24/01/1990, dep. 26/02/1990, Rv. 183483). Si è inoltre
affermato che l’imputato, non essendo legittimato a chiamare in giudizio il
responsabile civile, neppure può opporsi alla eventuale estromissione del
responsabile civile dal processo penale (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 6904 del
11/03/1994, dep. 15/06/1994, Rv. 198666).
In disparte l’ipotesi di responsabilità civile derivante dalla assicurazione
obbligatoria prevista dalla legge 24 dicembre 1969, n. 990, in riferimento alla quale
l’assicuratore può essere citato nel processo penale a richiesta dell’imputato stante la modifica apportata all’art. 83, comma 1, cod. proc. pen. dalla sentenza
additiva della Corte Costituzionale n. 112 del 1998 – deve in questa sede ribadirsi
l’orientamento sopra richiamato, per cui l’imputato, nella generalità delle ipotesi
risarcitorie, non è legittimato a chiamare in giudizio il responsabile civile e neppure
ad opporsi alla eventuale estromissione del medesimo responsabile civile dal
processo penale. E preme evidenziare che detto approdo interpretativo ha trovato
avallo anche nella giurisprudenza costituzionale successiva alla richiamata
pronuncia n. 112 del 1998. Il Giudice delle leggi, con la sentenza n. 75 del 2001, ha
infatti chiarito che i principi affermati nella sentenza n. 112 del 1998 sono
intimamente saldati – sul piano logico e strutturale – alla particolare ipotesi di
responsabilità civile derivante dalla assicurazione obbligatoria prevista dalla legge
24 dicembre 1969, n. 990; e che gli stessi non possono essere automaticamente
trasferiti alle altre figure di responsabilità civile da reato.
Orbene, la valutazione effettuata dalla Corte territoriale, laddove ha rilevato
che il motivo dedotto dall’appellante risultava inammissibile per difetto di
legittimazione ed interesse, risulta coerente con il contenuto delle disposizioni di cui

42

Ci si sofferma, primieramente, sul terzo motivo del ricorso dell’imputato

all’art. 83 cod. proc. pen., come individuato dal diritto vivente, di talché il motivo di
ricorso in esame risulta destituito di fondamento.
15.4 Si vengono ora ad esaminare le eccezioni di natura processuale dedotte
dall’imputata Stabile Giovanna, affidate al quarto, al quinto, al sesto ed al settimo
motivo di ricorso.
La Corte di Appello ha evidenziato la tardività dell’eccezione discendente
dall’omesso avviso al difensore di fiducia, in riferimento all’accertamento tecnico

degli atti al pubblico ministero – secondo la decisione assunta dal G.i.p. all’udienza
preliminare del 30.05.2005, in accoglimento della eccezione difensiva oggi reiterata
dall’esponente – l’organo inquirente procedette a notificare al difensore di fiducia
nuovo avviso di conclusione delle indagini ex art. 415 bis cod. proc. pen.; e
l’indagata non ebbe a sollevare rilievi in ordine al mancato rinnovo degli atti di
indagine né ad esercitare alcuna delle facoltà indicate dall’art. 415 bis, comma 3,
cod. proc. pen. (presentazione di memorie, produzione di documenti, deposito della
documentazione relativa ad investigazioni del difensore, richiesta di atti di indagine
ed altro). Deve allora considerarsi che l’acquiscenza manifestata dall’imputata nella
fase di regressione del procedimento, nei riferiti termini, ha determinato
l’insorgenza della preclusione di cui all’art. 182, comma 2, cod. proc. pen.,
correttamente rilevata dalla Corte territoriale.
Del pari infondata risulta l’eccezione relativa all’omesso avviso, all’imputata
contumace, del rinvio ad altra udienza disposto dal giudice per le indagini
preliminari. L’esame degli atti versati in fascicolo, al quale la Corte regolatrice
procede direttamente a fronte di eccezione di natura processuale, evidenzia che
all’udienza del 28.01.2006 il giudice, ritenuto legittimo l’impedimento del difensore
di fiducia della Stabile, ebbe a differire la trattazione del procedimento alla
seguente udienza del 18.02.2006, disponendo che la cancelleria provvedesse alla
comunicazione del rinvio al solo difensore; e che all’udienza del 18.03.2006, cui il
processo veniva successivamente rinviato, il giudice emise il decreto che dispone il
giudizio.
Tanto premesso, deve allora osservarsi che la giurisprudenza di legittimità
ha chiarito, procedendo all’ermeneusi dell’art. 420 ter, cod. proc. pen., che non
deve essere notificato all’imputato ritualmente citato e non comparso l’avviso del
rinvio in prosecuzione del dibattimento ad altra udienza (Cass. Sez. 3, Sentenza n.
24240 del 24/03/2010, dep. 24/06/2010, Rv. 247689); e che la violazione dei limiti
dettati dagli artt. 148 e 151 cod. proc. pen., in riferimento alla sfera di competenza
della polizia giudiziaria in tema di notifiche, costituisce una mera irregolarità che
non determina l’inesistenza, né la nullità dell’atto, giacché la polizia giudiziaria deve
comunque qualificarsi come un organo di notificazione e non prevedendo la legge
43

effettuato nel corso delle indagini preliminari. Invero, a seguito della restituzione

alcuna nullità al riguardo (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8324 del 15/02/2006,
dep. 09/03/2006, Rv. 233138).
In applicazione di richiamati principi si rileva che del tutto legittimamente la
comunicazione del differimento dell’udienza preliminare venne effettuata al solo
difensore impedito; e che l’impiego dei Carabinieri, per l’espletamento del predetto
incombente, non ha determinato alcuna invalidità dell’atto.
L’eccezione relativa alla intervenuta contestazione, in corso di giudizio, di

generica e neppure autosufficiente. Si tratta di questione non adeguatamente
prospettata, atteso che la deducente non ha specificato il contenuto della doglianza
e non ha allegato o indicato alcuna documentazione a sostegno del motivo di
censura. E questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato che l’atto di ricorso
deve essere autosufficiente, nel senso che deve contenere la precisa prospettazione
delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (cfr. Cass.
Sez. 3, Sentenza n. 16851 del 02/03/2010, dep. 04/05/2010, Rv. 246980).
Con riguardo all’ulteriore doglianza di natura processuale, con cui la parte
lamenta l’omesso accoglimento delle istanze presentate dall’imputata e dal suo
difensore, in relazione alla celebrazione dell’udienza del 4.06.2008, si osserva che il
Tribunale ha offerto specifica e conferente motivazione, che non risulta sindacabile
in questa sede di legittimità. Il Collegio di prime cure, invero, nel rigettare sia
l’istanza di rinvio dell’udienza avanzata dalla parte, sia quella di differimento del
solo incombente relativo all’escussione della teste Gallo, ha osservato: che il ciclo di
fisiokinesioterapia che la Stabile aveva in corso si riferiva ad un sinistro occorso a
considerevole distanza di tempo, di talché l’impedimento dell’imputata non poteva
ritenersi assoluto; e che l’impedimento del difensore fiduciario non era stato in
alcun modo documentato.
15.5 Si vengono ora ad esaminare i restanti motivi di doglianza, affidati ai
ricorsi proposti nell’interesse degli imputati Corrado e Stabile; si tratta di censure
che involgono in principalità il tema del contenuto degli obblighi impeditivi, oggetto
di addebito, gravanti sugli infermieri professionali rispetto ai pazienti presenti in
reparto e l’ambito di operatività della scriminante dello stato di necessità, in
riferimento alla situazione determinatasi a causa del verificarsi del devastante
incendio sviluppatosi presso la struttura intermedia residenziale sita in località
Murgi, la notte del 15 dicembre 2001.
La Corte di Appello si è specificamente soffermata sul contenuto degli
obblighi che gravano sugli operatori di una struttura sanitaria, medici e paramedici,
nei riguardi dei degenti. Il Collegio ha considerato: che l’obbligo di protezione nei
confronti del paziente non può ritenersi limitato al rischio sanitario, cioè a dire agli
ambiti connessi alla prestazione richiesta; e che la necessità di garantire adeguata
44

profili di colpa specifica afferenti al regolamento infermieristico, risulta del tutto

tutela al bene salute, in riferimento ai principi solidaristici espressi dagli art. 2 e 32
Cost., implica che gli obblighi protettivi si estendano alle attività accessorie, che
derivano dal rapporto di spedalità, avuto riguardo alle concrete circostanze del
caso. I giudici del gravame hanno, quindi, osservato che, nel caso di una struttura
psichiatrica, gli obblighi protettivi comprendono doveri di vigilanza e controllo,
anche rispetto ai comportamenti incauti e pericolosi che gli stessi pazienti possono
porre in essere, come il fatto di fumare all’interno delle camere o di usare in

Le riferite valutazioni espresse dalla Corte territoriale risultano del tutto
coerenti rispetto ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, a partire
dagli anni novanta, nella elaborazione della “teoria del garante”. In via di estrema
sintesi, deve rilevarsi che la Suprema Corte ha colto il significato profondo degli
obblighi di garanzia, nello speciale vincolo di tutela che lega il soggetto garante ad
un determinato bene giuridico, per il caso in cui il titolare dello stesso bene sia
incapace di proteggerlo autonomamente. In tale ambito ricostruttivo, i profili
solidaristici che permeano le posizioni di garanzia, sono stati così definiti da questa
Corte regolatrice: “Nell’affrontare questo problema non è superfluo osservare che le
cosiddette posizioni di garanzia, che sono inequivoche espressioni di una particolare
solidarietà hanno, oggi, un indubbio retroterra, un innegabile punto di riferimento in
quella norma – art. 2 – della Carta Costituzionale che, ispirandosi, come da tutti
riconosciuto in dottrina, al principio personalistico o del rispetto della persona
umana nella sua totalità, esige, nel riconoscere i diritti inviolabili dell’uomo sia come
singolo sia nella formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, l’adempimento
dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale; norma che
costituisce una indubbia chiave di lettura di tante altre norme della Costituzione, tra
la quali la norma dell’art. 32, che esalta il diritto alla salute e, quindi, all’integrità
psicofisica” (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4793 del 06/12/1990, dep. 29/04/1991, Rv.
191792). E nella pronuncia ora richiamata si è quindi chiarito: che il paradigma
sostanziale che giustifica la stessa esistenza delle posizioni di garanzia è dato dalla
sussistenza di una relazione di dipendenza a contenuto protettivo; che il
fondamento degli obblighi impeditivi si coglie nella necessità, riconosciuta
dall’ordinamento, di assicurare a determinati beni una tutela rafforzata, stante
l’incapacità – totale o parziale – dei loro rispettivi titolari a proteggerli
adeguatamente, donde l’attribuzione a taluni soggetti, diversi dai rispettivi titolari,
della speciale posizione di garanti dell’integrità dei beni che si ha interesse a
salvaguardare; e che la funzione del garante è volta “a riequilibrare la situazione di
inferiorità, in senso lato, di determinati soggetti, attraverso l’instaurazione di un
rapporto di dipendenza a scopo protettivo”.

45

maniera inappropriata oggetti ed arredi.

Si tratta di principi che vengono riaffermati in questa sede, per condivise
ragioni, e che guidano la valutazione rimessa all’interprete – per tutti i casi della
vita, non tipizzati dal legislatore, in cui sussiste una situazione di passività in cui
versa il titolare del bene protetto – sia nella selezione della figura del garante, sia
nella individuazione del contenuto degli obblighi impeditivi specificamente riferibili
al soggetto che versa in posizione di garanzia.
Orbene, il giudice di merito ha fatto buon governo dei principi ora richiamati,

struttura che ospitava pazienti affetti da patologie psichiatriche; ed invero, del tutto
correttamente, si è considerato, che in riferimento alla specifica relazione protettiva
oggetto di esame, venivano in rilievo anche peculiari obblighi di vigilanza e controllo
sulle fonti di pericolo dell’incolumità fisica dei malati, da individuarsi negli stessi
comportamenti incauti posti in essere dai degenti.
15.5.1 Diverso ordine di considerazioni si impone in riferimento alle
valutazioni effettuate dalla Corte di Appello, rispetto alla esigibilità della condotta
attesa, da parte degli infermieri Corrado e Stabile.
Riferisce la Corte distrettuale che l’espletata consulenza tecnica aveva
consentito di accertare che i materiali di costruzione del prefabbricato, gli arredi e le
suppellettili non erano ignifughi; e che anche la fiamma di un accendino o la brace
di una sigaretta, avrebbero potuto innescare agevolmente il fuoco. Il Collegio ha
infatti evidenziato che la causa dell’incendio andava individuata proprio nella brace
di una sigaretta, essendo emerso che ai pazienti era consentito fumare, all’interno
della struttura. Risulta, altresì, che l’impianto era assolutamente inadeguato, sul
piano della sicurezza. Ciò in quanto: il prefabbricato non era dotato di rilevatori
antifumo; il numero degli estintori era insufficiente; il serbatoio della pompa
antincendio non era stato riempito e l’interruttore generale del locale pompe era
stato disattivato.
Nella sentenza impugnata si osserva poi che al personale infermieristico in
servizio presso la struttura intermedia residenziale non era stata erogata alcuna
formazione antinfortunistica.
Orbene, a fronte di tali evenienze, la Corte di Appello, nell’escludere la
ricorrenza della scriminante dello stato di necessità, in favore degli infermieri di
turno presso la struttura la notte in cui ebbe a divampare il devastante incendio, si
è limitata ad osservare che le difficoltà “emotive e materiali” connesse alla
situazione di pericolo in concreto verificatasi non esoneravano gli infermieri
dall’obbligo di attivarsi nei limiti di un soccorso o di un allenamento dei pazienti
allocati in padiglioni non ancora attinti dalle fiamme. Si tratta di una valutazione del
tutto insufficiente, atteso che non è stata altrimenti considerata la possibile
incidenza delle evidenziate carenze strutturali e della mancanza di formazione
46

nel censire gli obblighi impeditivi riferibili agli infermieri in servizio presso una

antinfortunistica erogata agli infermieri, rispetto all’ambito di operatività della
invocata scriminante.
Deve pure sottolinearsi che, in riferimento alla diffusività dei fumi della
combustione e delle fiamme – questione connessa alla stima del tempo di cui i due
infermieri potevano disporre per soccorre i pazienti, prima che i fumi pervadessero
completamente gli ambienti – la motivazione della sentenza impugnata non risulta
aliena da profili di contraddittorietà di ordine logico. Il Collegio, infatti, da un lato

materiali che componevano la struttura e della carenza di efficienti presidi
antincendio; dall’altro assume che i due infermieri, privi di ogni formazione per
fronteggiare l’emergenza in atto ed in assenza di alcun utile presidio antincendio,
avrebbero comunque potuto procedere alla evacuazione dei locali, svegliando i
pazienti che stavano dormendo nelle camere in cui le fiamme non si erano (ancora)
propagate ed indirizzandoli verso le uscite. Ed in tale contesto ricostruttivo, la Corte
territoriale ha pure omesso di spiegare come le descritte operazioni di evacuazione
avrebbero potuto utilmente realizzarsi, a fronte dei crolli di ampie parti della
struttura prefabbricata, verificatisi nel corso dell’incendio, circostanza di cui si dà
atto nella stessa sentenza impugnata. E’ poi il caso di osservare che proprio
l’oggettivo ritardo con cui gli infermieri ebbero a rendersi conto del divampare
dell’incendio – secondo la ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di Appello imponeva di affrontare specificamente il tema dedotto dalle difese, circa la effettiva
esigibilità di una condotta di soccorso che gli infermieri avrebbero dovuto realizzare
rimanendo all’interno di una struttura già pervasa da fumi tossici e rispetto allo
stato di avanzamento raggiunto dal fronte delle fiamme.
La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio a fini penali nei
confronti di Corrado Pierluigi e Stabile Giovanna, perché il reato loro ascritto risulta
estinto per prescrizione, non ricorrendo l’ipotesi di cui al secondo comma dell’art.
129, cod. proc. pen., per le ragioni sopra evidenziate. La sentenza, a fini civili, deve
essere annullata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di
appello, per nuovo esame, alla luce delle svolte considerazioni. Resta assorbita ogni
ulteriore motivo di doglianza.
16. Il ricorso del responsabile civile deve essere rigettato, limitatamente alle
posizioni di Sarro Giuseppe e De Bellis Agostino – stante il disposto annullamento
con rinvio al giudice civile dei capi della sentenza relativi all’affermazione di
responsabilità degli infermieri Corrado e Stabile – per le ragioni che si vengono ad
esporre.
16.1 Con riguardo al primo motivo di ricorso, null’altro che osservare che le
doglianze ivi dedotte – in riferimento alle posizioni, che vengono in rilievo, dei
dirigenti sanitari Sarro Giuseppe e De Bellis Agostino – in ordine alla pretesa
47

evidenzia che le fiamme si propagarono rapidamente, a causa della tipologia dei

inesistenza dell’obbligo giuridico di richiedere il certificato di prevenzione incendi
rispetto all’utilizzo della struttura, si risolvono in una inammissibile valutazione
alternativa del compendio probatorio; l’esponente, infatti, non solleva alcuna critica
al ragionamento sviluppato dai giudici di merito, ma prospetta una “rilettura” delle
emergenze di fatto, che non può essere effettuata in sede di legittimità, come già si
è chiarito analizzando la posizione dell’imputato Piegari.
16.2 Il secondo motivo di ricorso è infondato.

amministrazione risponde dei danni cagionati dai dipendenti rispetto ai quali
sussiste un rapporto di immedesimazione organica; ed ha osservato che, nel caso
di specie, la Asl aveva l’effettiva possibilità di controllare il danno come in concreto
verificatosi e le cause dello stesso, di talché non si registravano le condizioni per un
esonero di responsabilità dell’azienda ospedaliera, rispetto al corretto adempimento
della prestazione ed all’obbligo di protezione del paziente.
Trattasi di valutazioni che si collocano nell’alveo dell’orientamento
interpretativo espresso dalla giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità
della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 2049 del codice civile per i danni
arrecati dal fatto illecito commesso dal dipendente.
Nel definire i principi che presiedono alla responsabilità della pubblica
amministrazione per un fatto lesivo posto in essere dal proprio dipendente responsabilità il cui fondamento discende dal rapporto di immedesimazione
organica – la Corte regolatrice ha rilevato che deve sussistere, oltre al nesso di
causalità fra il comportamento e l’evento dannoso, anche la riferibilità
all’amministrazione del comportamento stesso, la quale presuppone che l’attività
posta in essere dal dipendente sia e si manifesti come esplicazione dell’attività
dell’ente pubblico e che tenda, pur se con abuso di potere, al conseguimento dei fini
istituzionali di questo nell’ambito delle attribuzioni dell’ufficio o del servizio cui il
dipendente è addetto. E si è precisato che detta riferibilità viene meno quando il
dipendente agisca come un semplice privato per un fine strettamente personale ed
egoistico che si riveli assolutamente estraneo all’amministrazione – o addirittura
contrario ai fini che essa persegue – così da escludere ogni collegamento con le
attribuzioni proprie dell’agente, atteso che in tale ipotesi cessa il rapporto organico
fra l’attività del dipendente e la P.A. (Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 8306 del
12/04/2011, Rv. 617156).
Si è inoltre chiarito che la pubblica amministrazione deve essere ritenuta
civilmente responsabile, in base al criterio della cosiddetta “occasionalità
necessaria”, degli illeciti penali commessi da propri dipendenti, ogni qual volta la
condotta di costoro non abbia assunto i caratteri dell’assoluta imprevedibilità ed
eterogeneità rispetto ai loro compiti istituzionali (Cass. Pen. Sez. 3, Sentenza n.
48

La Corte di Appello ha correttamente considerato che la pubblica

33562 del 11/06/2003, dep. 07/08/2003, Rv. 226132). E, con specifico riferimento
alla responsabilità della Azienda sanitaria, si è evidenziato che la responsabilità
dell’ente presuppone la prestazione di un’opera professionale che abbia i connotati
della collaborazione coordinata e continuativa e rispetto alla quale la Asl possa
esercitare forme di controllo, attraverso l’esercizio di un reale potere di vigilanza
(cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 34460 del 16/04/2003, dep. 14/08/2003, Rv.
227765).

rispetto all’operato degli imputati Sarro e De Bellis, per le considerazioni che si sono
sopra svolte, analizzando i rapporti intercorsi tra i menzionati dirigenti e la Asl
Salerno 2, laddove si è fatto riferimento alla nota inviata da Sarro in data 20
novembre 1997 alla direzione generale dell’Azienda, all’indomani del sopralluogo
effettuato dalla Commissione regionale presso la struttura residenziale ed al
carteggio di poi intrattenuto dal De Bellis con la medesima direzione generale.
17. Gli imputati De Bellis Agostino, Iuzzolino Gregorio, Piegari Pietrangelo
Saggese Vito e Sarro Giuseppe vengono condannati alla rifusione delle spese
sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, liquidate come a dispositivo.
Vengono interamente compensate le spese tra il responsabile civile e le parti civili,
in considerazione della natura dei temi oggetto di disamina,
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata ai fini penali nei confronti di Corrado
Pierluigi e Stabile Giovanna, perché estinto il reato loro ascritto per prescrizione;
annulla la medesima sentenza ai fini civili nei confronti dei predetti imputati, con
rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Annulla la detta sentenza nei confronti di Grippo Onofrio, con rinvio alla Corte di
Appello di Napoli.
Annulla senza rinvio la stessa sentenza nei confronti di De Bellis Agostino, Iuzzolino
Gregorio, Piegari Pietrangelo, Saggese Vito e Sarro Giuseppe limitatamente al reato
di cui all’art. 449 in relazione all’art. 423 cod. pen., perché il reato è estinto per
prescrizione; per l’effetto, ridetermina in anni due e mesi quattro di reclusione le
pene inflitte a Iuzzolino Gregorio e Saggese Vito; in anni due e mesi dieci di
reclusione la pena inflitta a Sarro Giuseppe; in anni tre e mesi dieci di reclusione le
pene inflitte a De Bellis Agostino e Piegari Pietrangelo; rigetta nel resto i ricorsi di
tali imputati.
Rigetta il ricorso del responsabile civile quanto alle posizioni di Sarro Giuseppe e De
Bellis Agostino.
Condanna De Bellis Agostino, Iuzzolino Gregorio, Piegari Pietrangelo, Saggese Vito
e Sarro Giuseppe alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle
parti civili, liquidate:
49

Orbene, si tratta di condizioni che pacificamente ricorrono nel caso di specie,

in C 5.000,00 oltre IVA e CPA a favore di Caminiti Michele, Caminiti Giuseppe,
Caminiti Liboria, Caminiti Livia, Caminiti Maria Antonia, Romano Antonio, Criscuolo
Mario e Criscuolo Pasquale; in C 4.000,00 oltre IVA e CPA a favore di D’Acunto
Rosa, Iannone Giovanni, Iannone Rosaria, iannone Carmine, Iannone Elvira e
Iannone Anna; in C 3.000,00 oltre IVA e CPA a favore di Coppola Bartolomeo e
Rufolo Renato.
Dichiara interamente compensate le spese del presente giudizio tra il responsabile

Così deciso in Roma il 17 aprile 2013
Il Consigliere est.

Il Presidente

civile e le parti civili.

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