Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23939 del 28/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 23939 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: PAOLONI GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso proposto da D’ALESSIO Raffaele, nato a Napoli il 22/07/1978,
avverso il decreto emesso il 25/10/2012 dalla Corte di Appello di Napoli nel
procedimento di prevenzione instaurato nei suoi confronti;
esaminati gli atti, il ricorso e il provvedimento impugnato;
udita in camera di consiglio la relazione del consigliere Giacomo Paoloni;
lette le richieste scritte del Procuratore Generale in Sede (sost. P.G. Roberto
Aniello), che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Motivi della decisione
1. Accogliendo la proposta del Questore di Caserta, il Tribunale di Santa Maria
Capua Vetere con decreto depositato il 3.11.2011 ha applicato a Raffaele D’Alessio la
misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di
soggiorno nel comune di residenza per tre anni e sei mesi, altresì imponendogli il
versamento di una cauzione di euro 5.000. Decisione assunta in riferimento alla ritenuta
sussistenza del duplice presupposto normativo legittimante la misura di prevenzione,
rappresentato -per un verso- dal disposto degli artt. 2 ss. L. 31.5.1965 n. 575, emergendo
nei confronti del D’Alessio indizi della sua appartenenza (in veste di imprenditore di
riferimento del sodalizio) alla associazione criminosa di natura camorristica denominata
clan dei Casalesi nonché -per altro verso- dalla sua attuale pericolosità sociale.

Data Udienza: 28/01/2014

2. Adita dall’impugnazione del D’Alessio, la Corte di Appello di Napoli con il
decreto del 25.10.2012 richiamato in epigrafe, condivisa l’analisi storico-processuale della
progressione criminosa del D’Alessio svolta dal Tribunale, ha confermato l’applicataii

2.1. In particolare i giudici di secondo grado, hanno rilevato come gli indizi di
appartenenza camorristica del D’Alessio siano emersi dai fatti investigativi (univoche
captazioni foniche e verifiche documentali della p.g.) su cui si è basata l’ordinanza
cautelare carceraria emessa nei suoi confronti dal g.i.p. del Tribunale di Napoli il
21.6.2010, con cui gli sono stati contestati il reato di associazione criminosa ex art. 416 bis
c.p. e diversi episodi di turbativa d’asta aggravata. Le indagini condensano il particolare
rapporto stretto dal D’Alessio, nella conduzione dell’impresa paterna, con Nicola
Schiavone, esponente di spicco del gruppo camorristico dei Casalesi, e che vede il
proposto fungere consapevolmente (come in sostanza ammette nell’interrogatorio reso al
p.m. il 12.10.2010) da prestanome in svariati appalti pubblici acquisiti (“pilotati”) dal clan
camorristico (decreto C.A., p. 5: “D’Alessio risultava pienamente inserito nel’organizzazione

camorristica, con compiti specifici nel settore degli appalti pubblici in cui fungeva da prestanome
degli Schiavone, fatto a lui assolutamente noto, ed operava con metodi illeciti e camorristici per
giungere all’aggiudicazione degli stessi”). Aggiunge la Corte di Appello, a sostegno della
solidità del quadro di riferimento indiziario (non senza rilevare che gli elementi
necessari per l’adozione di una misura di prevenzione hanno uno spessore probatorio
ben inferiore a quello necessario per l’applicazione di una misura cautelare), che
l’ordinanza cautelare del g.i.p. ha ricevuto piena conferma sia dal Tribunale del riesame
di Napoli sia dalla Corte di Cassazione, che ha confermato la gravità degli indizi raccolti
nei confronti del D’Alessio (Sez. 1, 21.12.2010 n. 4732: la S.C. ha annullato con rinvio il
provvedimento del riesame cautelare con riguardo alle sole esigenze cautelari). Di tal che
il quadro degli elementi indiziari involgenti la posizione del prevenuto è attinto da
giudicato cautelare.
2.2. Quanto al profilo valutativo della pericolosità sociale del proposto, la Corte

territoriale ha rimarcato l’assenza di dati sopravvenuti ai fatti evidenziati dall’ordinanza
cautelare e, quindi, la persistenza delle ragioni socialpreventive giustificanti l’applicata
misura della sorveglianza speciale aggravata, non potendosi obliterare che per la
giurisprudenza di legittimità l’adesione ad organizzazioni di matrice mafiosa o
camorristica può considerarsi -a nulla valendo il semplice decorso del tempo- per sua
stessa natura perdurante, salva la prova contraria di un concreto recesso dalla intraneità
e contiguità associativa del proposto. Evenienza, questa, di cui non v’è traccia alcuna per
il D’Alessio.
3. Avverso il decreto della Corte territoriale ha proposto ricorso per cassazione, il

difensore di Raffaele D’Alessio, che denuncia l’erronea applicazione degli artt. 192 c.p.p.
e 416 bis c.p. in riferimento sia alla mancanza di indizi della partecipazione camorristica
del D’Alessio, sia -in subordine- al carattere attuale della sua pericolosità sociale.
3.1. Errato deve ritenersi l’approccio metodologico della Corte di Appello alla

motivazione, nella parte in cui la Corte precisa di dover prendere in esame i soli specifici
motivi di gravame avverso il decreto impugnato e non i motivi che costituiscano mera
riproposizione di rilievi già esposti innanzi al Tribunale, salvi i casi in cui essi siano stati
totalmente trascurati in motivazione. Così ragionando, la Corte territoriale nega la stessa
natura ontologica del giudizio di impugnazione, finendo per escludere ogni
rivalutazione della decisione adottata dal giudice di primo grado.
i
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misura preventiva personale della sorveglianza speciale aggravata disposta nei confronti
dell’appellante, riducendone tuttavia la durata ad un periodo di due anni.

3.2. Per effetto di tale travisante metodologia, il decreto della Corte di Appello si

3.3. Erroneamente la Corte di Appello ha reputato persistente una attuale
pericolosità sociale del D’Alessio, pur avendo apprezzato come rappresentativi della sua
appartenenza camorristica degli indicatori di pericolosità che si esauriscono nel’ormai
remoto 2006, atteso che agli stessi non si sono giustapposti eventuali ulteriori contegni
sintomatici di concreta pericolosità.
4. I rilievi critici mossi con il ricorso sono palesemente destituiti di fondamento ed

in parte indeducibili, laddove postulano una rilettura o reinterpretazione dei dati di fatto
apprezzati dai giudici di merito della procedura di prevenzione, incompatibili con il
giudizio di legittimità e comunque non consentite dall’art. 4 co. 11 L. 1423/56 (il decreto
applicativo di misura di prevenzione della Corte di Appello essendo ricorribile per
cassazione unicamente per violazione di legge e non anche per vizi motivazionali). Le
ipotizzate violazioni di legge sono, d’altro canto, prive di ogni giuridico spessore,
giacché -ad onta della critica di metodo mossa alla decisione di appello- l’odierno ricorso
ripropone temi idoneamente affrontati dai giudici del gravame (e dallo stesso primo
giudice della prevenzione).
4.1. La Corte di Appello ha fornito una corretta risposta ai rilievi dell’appellante

(rectius “ricorrente”: art. 4 co. 9 L. 1423/56), più che adeguata alla sommarietà ed
evanescenza dei profili di censura dedotti (il lucro personale perseguito dal D’Alessio
asseritamente incompatibile con la sua ipotizzata appartenenza camorristica). Nel
decreto impugnato si evidenzia, infatti, non esservi dubbio alcuno che il D’Alessio,
operando in materia di appalti di lavori pubblici unitamente a Nicola Schiavone e a suoi
emissari, abbia perseguito un proprio personale tornaconto economico. Ma tale
evenienza (ulteriore “fine egoistico” dell’agente), per dir così fisiologica, non può far velo
all’altrettanto oggettivo dato per cui il D’Alessio, attraverso gli accordi societari con gli
Schiavone e sfruttandone i metodi camorristici nell’aggiudicazione di appalti anche a
proprio vantaggio, ha consapevolmente realizzato sì un illecito utile per sé stesso, ma
anche certamente un rilevante beneficio pecuniario per il clan camorristico (“era
perfettamente consapevole che l’illecito utile proprio passava attraverso i metodi spiccatamente
camorristici conducenti all’utile proprio del pericolosissimo sodalizio imperante nel Casertano”).
4.2. Diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, poi, correttamente la Corte di

Appello ha formulato un giudizio prognostico di pericolosità attuale del D’Alessio sia
alla stregua dell’irrefutabile gravità dei fatti criminosi di matrice camorristica attribuitigli
(artt. 353, 7 L. 203/91) nel contesto della sua ritenuta partecipazione camorristica al clan
dei Casalesi, sia in ragione -come osserva il concludente P.G. in sede- del non esteso arco
di tempo (inferiore ai quattro ami) intercorrente tra le accertate manifestazioni di
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mostra dotato di una motivazione soltanto apparente, perché formata dalla acritica
riproduzione del contenuto decisorio del primo provvedimento, tralasciando (con totale
mancanza di motivazione) di soffermarsi sulle specifiche doglianze difensive espresse
con l’appello e in particolare su quella evidenziante come l’interesse economico
personale avuto di mira dal D’Alessio nei rapporti con gli Schiavone si ponga in termini
antagonistici rispetto all’affidabile adesione ad una consorteria mafiosa-camorristica
mera cointeressenza economica con un soggetto intraneo ad un clan camorristico non può
esplicare efficacia dimostrativa rispetto al ruolo di partecipe, ove non sia in grado di integrare un
contributo causale alla vita dell’associazione: ex pluri bus, sentenza Mannino”).

Alla inammissibilità dell’impugnazione segue per legge la condanna del D’Alessio
al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa
delle ammende, che stimasi equo fissare in misura di euro 1.000 (mille).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
Roma, 28 gennaio 2014

appartenenza camorristica del D’Alessio e la data di esecuzione della misura cautelare
coercitiva applicatagli. Di tal che la decisione della Corte di Appello è perfettamente in
linea con l’indirizzo ermeneutico di questa Corte regolatrice, secondo cui in tema di
misure di prevenzione nei confronti di persone indiziate di appartenere ad associazioni
mafiose, quando tale appartenenza risulti sorretta da idonei indici rappresentativi, non si
rende necessaria alcuna particolare motivazione del giudice in punto di attuale
pericolosità, questa potendo essere esclusa solo nel caso di positiva prova dell’avvenuto
recesso dell’interessato dall’associazione, “non bastando a tal fine eventuali riferimenti al
tempo trascorso dall’adesione o dalla concreta partecipazione ad attività associative” (cfr., ex
plurimis: Sez. 6, 21.11.2008 n. 499/09, Conversano, rv. 242379; Sez. 2, 15.1.2013 n. 3809,
Castello, rv. 254512; Sez. 5, 22.3.2013 n. 3538/14, Zagaria, rv. 258658).

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