Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23929 del 11/04/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 23929 Anno 2014
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: VILLONI ORLANDO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

MARINO Antonio, n. Marsala (Tp) 7.3.1965

avverso la sentenza n. 14930/2012 Corte d’Appello di Palermo del 12/12/2012
esaminati gli atti e letti il ricorso ed il provvedimento decisorio impugnato;
udita in camera di consiglio la relazione del consigliere dott. Orlando Villoni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto PG, dott. Giulio Romano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
sentito il difensore della parte civile Savalli Vito, avv. Salvatore Fratelli, che ha chiesto il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali della presente fase processuale;
sentito il difensore del ricorrente, avv. Giovanni Gaudino, che ha insistito per l’accoglimento
del ricorso

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte d’Appello di Palermo, in parziale riforma di quella
resa in data 6/03/2012 dal Tribunale di Marsala, ribadiva la condanna di Marino Antonio alla
pena di un anno di reclusione, interamente condonata, per il reato di esercizio abusivo della
professione di odontoiatra (art. 348 cod. pen.), riducendo però l’importo della provvisionale liquidata in primo grado in favore della parte civile costituita Savalli Vito e confermando nel
resto la decisione appellata.

Data Udienza: 11/04/2014

Confermando le valutazioni del giudice di primo grado in ordine all’affermata responsabilità del
Marino, la Corte rilevava tuttavia che la parte civile aveva già conseguito parte del risarcimento, stimato dal CTU nel parallelo giudizio civile in C 15.000,00, sotto forma di C 8.000,00
versate a titolo transattivo dalla dott.ssa Luppino, titolare dello studio medico odontoiatrico con
cui l’imputato aveva per qualche tempo collaborato, circostanza che imponeva una riduzione
ad C 7.000,00 dell’importo della provvisionale fissata invece in primo grado in quello C
8.000,00, al fine di rendere coerente la misura complessiva del risarcimento a quella ritenuta
congrua dal CTU nel giudizio civile.

rietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza, per avere la Corte territoriale
erroneamente valutato il comportamento della dott.ssa Luppino, di fatto ritenendola concorrente per il danno provocato alla parte civile; violazione di legge in relazione all’art. 185 cod.
pen., avendo la Corte, nel confermare la decisione di primo grado, ritenuto sussistente il diritto
al risarcimento del danno pur essendo egli stato prosciolto dal reato di lesioni colpose originariamente contestatogli e potendo la violazione dell’art. 348 cod. pen. dare luogo unicamente
alla liquidazione di un danno morale ma non materiale, connesso al paterna d’animo derivante
alla parte lesa dall’avere appreso che il professionista cui si era rivolto non era abilitato per
quella attività professionale e nel doversi rivolgere ad altro professionista per completare le
cure.

L’art. 348 cod. pen. è, infatti, reato di pericolo che sussiste indipendentemente dall’evento
dannoso che la sua commissione può provocare e l’evento dannoso, ove determinatosi, risulta
punibile nell’ambito della distinta fattispecie delittuosa che con il primo eventualmente concorra, dando luogo in caso di acclarata responsabilità a conseguente diritto al risarcimento del
danno a favore della parte lesa.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta manifestamente infondato e come tale deve essere dichiarato inammissibile.

3.1 In tema di esercizio arbitrario di una professione, benché il bene tutelato dall’art. 348 cod.
pen. sia costituito dall’interesse generale a che determinate professioni, richiedenti tra l’altro
particolari competenze tecniche, vengano esercitate soltanto da soggetti che abbiano conseguito una speciale abilitazione amministrativa e debba quindi ritenersi che l’eventuale lesione
del bene anzidetto riguardi in via diretta ed immediata la P.A., ciò non toglie che possano assumere veste di danneggiati quei soggetti che, in via mediata e di riflesso, abbiano subito un
pregiudizio dalla violazione della norma penale in questione (Cass. sez. 5 sent. n. 3996 del
18/111/2004, Gagliano’ ed altri, Rv. 230430).

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Marino, deducendo contradditto-

Non v’è dubbio, dunque, che la costituita parte civile, che ha documentato di avere subito un
pregiudizio dall’imperita prestazione (estrazione di un dente) svolta dal ricorrente nella sua
abusiva veste di medico odontoiatra, ha assunto la veste di danneggiato del reato di cui all’art.
348 cod. pen. e come tale ne è stato riconosciuto il diritto al risarcimento del danno, liquidato
e regolato dalla Corte territoriale nei termini sopra indicati.

3.2 Nell’ambito della complessiva ricostruzione della vicenda materiale sottesa al procedi-

mento, risulta inoltre del tutto carente d’interesse il ricorrente nel censurare la decisione

monizzare le statuizioni civili della decisione con il concomitante giudizio civile intentato dalla
parte civile nei confronti della dott.ssa Luppino, medico odontoiatra che aveva ovviato alle
complicanze derivanti dalla prestazione svolta dal Marino, dichiarando di essersi attivata su
richiesta di quest’ultimo poiché in passato suo collaboratore.

La carenza d’interesse (art. 591 lett. a] cod. proc. pen.) appare in tutta la sua evidenza, poiché
la statuizione censurata incide addirittura in senso migliorativo sulla posizione del ricorrente,
con riduzione dell’importo della provvisionale impostagli da 8.000,00 a 7.000,00 Euro e tiene
conto del diverso atteggiamento tenuto nel concomitante giudizio civile dalla dott.ssa Luppino,
la quale appare la sola legittimata a dolersi del concreto atteggiarsi delle statuizioni civili della
sentenza, la quale non ha mai affermato – né avrebbe potuto evidentemente affermare in assenza di contestazione ed ancor più alla luce delle concrete risultanze probatorie – l’esistenza di
una responsabilità a titolo di concorso di detta professionista con il ricorrente.

4. Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pa-

gamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che si
stima equo determinare nella misura di 1.000,00 (mille) Euro; alla costituita parte civile vanno
liquidate le spese sostenute per la presente fase del giudizio, nella misura equitativa di C
3.000,00 oltre accessori di legge.

P. Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di C 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle
spese sostenute dalla parte civile nella presente fase che liquida in complessivi C 3.000,00
oltre IVA e CPA.

Roma, 11/04/ 014

impugnata nella parte in cui ha rimodulato le modalità di risarcimento del danno, al fine di ar-

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