Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23923 del 16/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 23923 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

Data Udienza: 16/05/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Dematté Claudio, nato a Trento il 31.3.1958, avverso la sentenza
pronunciata in data 17.5.2013 dalla corte di appello di Trento;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Giuseppe Volpe, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso.

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza pronunciata il 17.5.2013 la corte di appello di Trento, in
parziale riforma della sentenza con cui, in data 23.12.2011, il tribunale
di Trento aveva condannato Demattè Claudio, imputato del delitto di cui
agli artt. 81, cpv., 610, c.p., commesso in danno di Hauser Francesco,
alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento del danno derivante

»

I

da reato in favore della costituita parte civile, rideterminava in senso più
favorevole al reo il trattamento sanzionatorio, confermando, nel resto,
l’impugnata sentenza.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto tempestivo
ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia,

quanto la corte territoriale, nel ritenere fondato l’assunto accusatorio
secondo cui l’imputato avrebbe parcheggiato i propri veicoli nel cortile di
sua proprietà, costituente l’unico accesso al garage di Hauser Francesco,
privando così quest’ultimo della libertà di utilizzo di detto garage per il
ricovero delle proprie autovetture, ha erroneamente ritenuto che la
condanna dell’imputato pronunciata in primo grado, pur non contenendo
nessun aumento di pena per la continuazione, riguardasse anche
ulteriori e pregressi episodi di violenza privata, diversi da quello
consumatosi il 24 dicembre del 2006, in realtà mai verificatisi,
circostanza che, ad avviso del ricorrente, avrebbe impedito al giudice di
appello di esaminare esclusivamente la condotta tenuta dl Demattè il 24
dicembre 2006 e, quindi, di valutarla senza la “contaminazione”
derivante dalla considerazione di condotte precedenti; 2) violazione di
legge, in relazione al mancato riconoscimento della esimente putativa
della legittima difesa di cui all’art. 52, c.p., avendo il Demattè agito nella
convinzione di difendere l’uso esclusivo del cortile dove transitavano i
veicoli dell’Hauser, il quale ha operato una serie di vessazioni in danno
dell’imputato, da un lato occupando tutto il garage, che, per metà,
appartiene al ricorrente, dall’altro non utilizzando per l’uscita dei suoi
veicoli l’altro accesso alla pubblica via, che gli consentirebbe di evitare il
passaggio attraverso il cortile del Demattè; 3) violazione di legge e vizio
di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla mancata
derubricazione del reato per il quale è intervenuta condanna in quello di
cui all’art. 392, c.p., avendo l’imputato agito, contrariamente a quanto
affermato dalla corte territoriale, non a scopo ritorsivo, ma per esercitare
un proprio diritto, potendo, la sua pretesa di godimento della proprietà
esclusiva del cortile, formare oggetto di tutela giurisdizionale; 4)

2

lamentando: 1) vizio di motivazione della sentenza impugnata, in

violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata in
relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche.
3. Il ricorso va accolto per le seguenti ragioni.
4.

Come è noto, secondo un consolidato orientamento della

arbitrario delle proprie ragioni si differenzia da quello di cui all’art. 610
c.p., che contiene egualmente l’elemento della violenza o della minaccia
alla persona, non nella materialità del fatto che può essere identica in
entrambe le fattispecie, bensì nell’elemento intenzionale. Nel reato di
ragion fattasi l’agente deve essere animato dal fine di esercitare un
diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa
giuridicamente, pur non richiedendosi che tale pretesa sia realmente
fondata, ma bastando che di ciò egli abbia ragionevole opinione. Il reato
di violenza privata, invece, che tutela la libertà morale, è titolo generico
e sussidiario rispetto al reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni)
e rispetto ad altre ipotesi delittuose che contengono come elemento
essenziale la violenza alle persone. Esso si risolve nell’uso della violenza
– fisica o morale – per costringere taluno ad un comportamento
commissivo od omissivo ed atteso il suo carattere generico e sussidiario
resta escluso, in base al principio di specialità, allorché la violenza sia
stata usata per uno dei fini particolari previsti per la ” ragion fattasi”
(cfr., ex plurimis, Cass., sez. I, 22/03/1988, rv. 179558; Cass., sez. VI,
23/01/2013, n. 13046).
Si è, altresì, precisato (dr. Cass., sez. V, 26.10.2006, n 38820, rv.
235765), che in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni la
pretesa arbitrariamente attuata dall’agente deve corrispondere
perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto
dall’ordinamento giuridico di guisa che ciò che caratterizza il reato in
questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di
tutela pubblico con quello privato; è, inoltre, necessario che la condotta
illegittima non ecceda macroscopicamente i limiti insiti nel fine di
esercitare, anche arbitrariamente, un proprio diritto, ponendo in essere

3

giurisprudenza di legittimità, condiviso dal Collegio, il reato di esercizio

un comportamento costrittivo dell’altrui libertà di determinazione,
giacché, in tal caso, ricorrono gli estremi della diversa ipotesi criminosa
di cui all’art. 610, c.p. (nel caso in questione la Suprema Corte ha
censurato la decisione del giudice di appello che aveva affermato la
sussistenza del reato di cui all’art. 610, c.p., invece di quello di cui

Consorzio, che avevano bloccato l’entrata e l’uscita degli automezzi di
uno stabilimento appartenente ad una società, contrattualmente
vincolata al detto Consorzio e rimasta inadempiente, rilevando, per
converso, da un lato, l’esistenza dell’accordo che avrebbe legittimato il
ricorso dei consorziati in giudizio anche al fine di ottenere un
provvedimento d’urgenza volto ad inibire comportamenti in contrasto
con gli obblighi contrattuali e, dall’altro, il protrarsi della violazione e
dell’entità della stessa).
Tanto premesso, il percorso motivazionale seguito dal giudice di secondo
grado nel rigettare la richiesta di diversa qualificazione giuridica del fatto
contestato al Demattè nella fattispecie di cui all’art. 392, c.p. (“Esercizio
arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose”), si presenta
caratterizzato da una evidente carenza argomentativa.
Se effettivamente il vialetto di accesso il cui transito da parte dell’Hauser
è stato impedito dall’imputato, parcheggiando la propria autovettura in
modo tale da non consentire alla persona offesa di attraversarlo con il
proprio veicolo, è di proprietà esclusiva del Demattè (in questo senso si
esprime la formulazione del capo d’imputazione), appare arduo
sostenere, come ha fatto la corte territoriale (cfr. p. 6), che quest’ultimo
non “avrebbe potuto invocare una qualsiasi tutela giurisdizionale per
raggiungere la finalità perseguita (ossia quella di impedire alla parte
offesa l’uscita con il proprio mezzo)”.
Ed invero è insito nel diritto di godimento esclusivo della

res, che

costituisce il nucleo essenziale del diritto di proprietà, il potere del
proprietario di vietare l’accesso alla sua proprietà, e, quindi, di
impedirne il transito ai terzi, quando non sia gravata da una servitù
pubblica o privata, ed a tale diritto l’ordinamento giuridico fornisce, in

4

all’art. 393, c.p., nella condotta di alcuni soggetti, aderenti ad un

tutta evidenza, adeguata tutela giurisdizionale ove ne sia turbato il
pacifico esercizio.
Il giudizio espresso al riguardo dalla corte territoriale, secondo cui il
Demattè avrebbe agito non per garantirsi il libero transito, ma per una
finalità “chiaramente ritorsiva e punitiva per le scorrettezze

risposta soddisfacente all’invocata derubricazione, in quanto non coglie il
profilo, innanzi evidenziato, del diritto di impedire ad omnes alios il
diritto di transito sul proprio fondo, che rappresenta una delle tipiche
manifestazioni del diritto di proprietà.
Né va taciuto, sotto una diversa prospettiva, che, ove si ritenesse la
condotta del Demattè astrattamente riconducibile al paradigma
normativo di cui all’art. 392, c.p., andrebbe pur sempre verificato se tale
condotta, in concreto, sia stata o meno arbitraria.
Come chiarito dalla Suprema Corte, infatti, l’arbitrarietà della condotta
non può ritenersi sussistente qualora la violenza sulle cose venga
esercitata al fine di difendere il diritto di possesso in presenza di un atto
di spoglio o di turbativa nel godimento della res, sempre che l’azione
reattiva avvenga nell’immediatezza di quella lesiva del diritto, non si
tratti di ipotesi di compossesso e sia impossibile il ricorso immediato al
giudice, sussistendo la necessità impellente di ripristinare il possesso
perduto o il pacifico esercizio del diritto di godimento del bene (cfr., in
questo senso, Cass., sez. VI, 8.1.2010, n. 2548, rv. 245854; Cass., sez.
VI, 27.11.2012, n. 49760, rv. 254185; Cass., sez. VI, 10.2.2010, n.
10602, n/. 246409).
Siffatti profili non sono stati minimamente presi in considerazione dalla
corte territoriale e tale omissione, giustificando l’annullamento con rinvio
della sentenza oggetto di ricorso per nuovo esame, dovrà essere colmata
dal giudice del rinvio, al quale spetterà verificare se sussistono o meno
le condizioni per potere qualificare la condotta del ricorrente in termini di
esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose, ai sensi
dell’art. 392, c.p., uniformandosi ai principi di diritto innanzi indicati.

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asseritamente commesse dall’Hauser” (cfr. p. 6), non può ritenersi una

5. La fondatezza del motivo di ricorso sinteticamente indicato nelle
pagine che precedono sub n. 3), assorbe in sé gli ulteriori motivi,
dovendosi, peraltro, rilevare l’inammissibilità di quello sub. n. 1), per
assoluta genericità.
P.Q.M.

appello di Trento per nuovo esame.
Così deciso in Roma il 16.5.2014

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte di

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