Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23912 del 14/05/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 23912 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto da : Gaia Daniela, n. a Alba il 20/10/1963;

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Torino in data 15/05/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale G. Mazzotta, che ha concluso per l’annullamento con rinvio;
udite le conclusioni del Difensore di fiducia, Avv. M. Ponzio, in sostituzione
dell’Avv. R. Ponzio, che ha chiesto l’annullamento;

RITENUTO IN FATTO

1.Gaia Daniela ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della
Corte d’Appello di Torino che ha confermato la sentenza del Tribunale di Alba di
condanna per il reato di cui all’art. 10 ter del d. Igs. n. 74 del 2000 per avere
omesso di versare l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione
annuale e, segnatamente, la somma di euro 104.343 nel periodo di imposta
2005.

Data Udienza: 14/05/2014

2. Deduce, con un primo motivo, la illegittimità costituzionale dell’art. 10 ter per
contrasto con l’art. 3 Cost. limitatamente agli omessi versamenti Iva relativi al
periodo di imposta 2005 e la contraddittorietà e la mancanza della motivazione
della sentenza impugnata in ordine alla manifesta infondatezza di tale eccezione.
Premesso che l’omesso versamento dell’Iva per il periodo di imposta 2005 è

debitore sia stato posto in condizione, anteriormente ad esso, di regolare il
proprio volume d’affari in modo da evitare il superamento della soglia di
punibilità di euro 50.000, prospetta la questione di illegittimità costituzionale
dell’art. 10 ter in relazione alla disparità di trattamento in tal modo configurabile
con riguardo ai contribuenti tenuti per i periodi di imposta successivi al 5 luglio
2006, invece in grado di programmare anticipatamente la condotta da tenere in
modo da prevenire le possibili conseguenze penali.

3. Con un secondo motivo deduce l’inosservanza od erronea applicazione della
legge penale posto che l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 10
ter dovrebbe portare ad escludere l’applicazione della norma agli omessi
versamenti per il periodo di imposta 2005 essendo la condotta stata posta in
essere quando il contribuente non aveva la possibilità di prevedere le
conseguenze penali del proprio comportamento.
In particolare l’applicazione della norma penale anche ai fatti di omesso
versamento per il 2005 contrasterebbe con il principio di colpevolezza di cui
all’art. 27, comma 1, Cost., esigendosi che nel momento in cui il soggetto agisce
sia conosciuto non soltanto il precetto ma anche la sanzione; nella specie tale
conoscenza non vi sarebbe stata essendo la norma incriminatrice entrata in
vigore solo nel luglio del 2006.

4. Con un terzo motivo deduce la erronea applicazione della legge penale posto
che l’imputata avrebbe dovuto essere assolta per insussistenza dell’elemento
soggettivo essendo stato l’omesso versamento Iva dovuto a illiquidità di
impresa. Rileva come l’omissione possa essere ricondotta alla volontà dell’agente
solo allorquando lo stesso sia stato, nel momento in cui è scaduto il termine per
l’adempimento, in grado di versare quanto dovuto; al contrario, ove invece
l’imprenditore si sia trovato in crisi di liquidità insuperabile, l’omissione non può
in alcun modo essergli imputata, difettando il dolo richiesto dalla norma o
vertendosi in ipotesi di mancanza di

suitas della condotta. Nella specie il

mancato versamento è stato determinato da una assoluta indisponibilità di
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divenuto penalmente rilevante per effetto del d.l. n. 223 del 2006 senza che il

risorse finanziarie in capo alla società al momento della scadenza del termine per
il versamento, essendo emerso dalla stessa sentenza impugnata che l’imputata
si era trovata in difficoltà nell’incasso di fatture.

5.

Con un quarto motivo lamenta la contraddittorietà e illogicità della

motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo.

omesso versamento è stata assolutamente volontaria senza dare conto delle
prove su cui risulta fondato tale convincimento senza considerare le risultanze
probatorie in senso contrario; segnatamente i testi escussi nel dibattimento di
primo grado hanno tutti dato atto che stante la difficile congiuntura economica vi
erano molte difficoltà nell’incasso delle fatture; inoltre è risultato avere
l’appellante versato, nel corso del 2005, l’importo dell’Iva che aveva incassato,
corrispondenti a euro 46.982, essendosi dunque trattato di un problema di
solvibilità da parte dei propri clienti; ed ancora, il 20 giugno 2006 era stato
effettuato un pagamento del debito Iva del 2003 per l’importo di euro 50.830,
saldato in virtù di un mutuo richiesto appositamente dall’imputata, in tal modo
non essendo possibili ulteriori pagamenti e al contempo risultando la buona fede
della stessa. È altresì emerso che l’imputata ha sanato, nel corso degli anni 2007
e 2008 il proprio debito Iva e che la situazione contributiva successiva è stata
perfettamente regolare.

CONSIDERATO IN DIRITTO

6. I primi due motivi di ricorso sono infondati.
I profili sollevati sono stati già affrontati e risolti dalla sentenza di questa Corte a
Sezioni Unite, pronunciata e pubblicata ancor prima della data della sentenza
impugnata, che infatti vi ha fatto espresso riferimento (Sez. U., n. 37424 del
28/03/2013, Romano, Rv. 255758).
Detta pronuncia ha infatti statuito, risolvendo il contrasto che in effetti era
venuto formandosi in precedenza sul punto, che il reato di cui all’art. 10 ter del
d. Igs. n. 74 del 2000, entrato in vigore il 4 luglio 2006, che punisce il mancato
versamento dell’Iva dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine
per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, è
applicabile anche alle omissioni dei versamenti relativi all’anno 2005, senza che
ciò comporti alcuna violazione del principio di irretroattività della norma penale.
3

In particolare la sentenza impugnata si è limitata ad affermare che la condotta di

Ricostruito il rapporto fra l’illecito amministrativo di cui all’art. 13, comma 1,
d.lgs. n. 471 del 1997 e l’illecito penale in oggetto come introdotto dall’art.35,
comma 7, del d.l. n. 223 del 2006, la Corte ha rilevato che i fatti oggetto di
sanzione sono diversi sotto molteplici profili : mentre l’illecito penale richiede,
quale presupposto, l’avvenuta presentazione della dichiarazione annuale Iva, ciò
non è necessario per l’integrazione dell’illecito amministrativo; inoltre, solo

integra la fattispecie; infine, diverso è il termine per effettuare il versamento, la
cui inosservanza determina l’integrazione dell’illecito, che viene a cadere per il
reato di omesso versamento dell’Iva molti mesi dopo il termine previsto per i
versamenti periodici presidiati dalla sanzione amministrativa.
A tale diversità del fatto consegue, dunque, da un lato, che la concorrente
applicazione di entrambi gli illeciti non possa porsi in contrasto col principio
del ne bis in idem in materia penale e dall’altro, l’esclusione, ove la nuova norma
incriminatrice sia applicata al fatto omissivo del versamento dell’Iva del 2005, di
qualsivoglia violazione del principio del divieto di retroattività della norma
penale; in particolare, si è detto che, se è vero che, al momento della scadenza
del “termine fiscale” per il versamento periodico dei debiti Iva relativi al 2005, il
relativo reato non era ancora stato introdotto, è però altrettanto vero che la
condotta penalmente rilevante non è l’omesso versamento dell’Iva nel termine
previsto dalla normativa tributaria ma il mancato versamento sulla base della
dichiarazione annuale nel maggior termine stabilito dalla norma incriminatrice e
coincidente col termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di
imposta successivo.
Di qui la conclusione secondo cui il soggetto che aveva omesso il versamento
dell’Iva per il 2005 nel termine previsto per la normativa tributaria avrebbe
avuto ancora, fino al 27 dicembre del 2006, la possibilità di assumere le proprie
determinazioni in ordine all’effettuazione di un versamento che, in relazione al
quantum di Iva mantenesse l’omissione non oltre la soglia di punibilità. La
decisione di non provvedere in tal senso, come tale integrativa del reato, deve
dunque, secondo la Corte, essere collocata in un momento ampiamente
successivo alla introduzione della nuova fattispecie incriminatrice, alla quale non
può, pertanto, attribuirsi alcun effetto retroattivo, ciò trovando indiretta
conferma anche nelle ordinanze della Corte costituzionale n. 224 del 2011 e 25
del 2012 con cui è stata dichiarata manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale, sollevata in relazione all’art. 3 Cost., dell’art. 10 ter
del d.lgs. 74 del 2000, limitatamente alle omissioni relative all’anno 2005,
ritenendosi non lesivo del parametro costituzionale evocato il fatto che il debitore
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l’illecito penale prevede una soglia di rilevanza, al di sotto della quale il fatto non

Iva per l’anno 2005 disponesse di un termine minore, dall’introduzione della
norma, a luglio 2006, al 27 dicembre 2006, di quello accordato ai contribuenti
per gli anni successivi.
Va aggiunto, proprio con precipuo riguardo al primo motivo di ricorso, che, come
sottolineato già dalla Corte costituzionale, per un verso, il termine di oltre cinque
mesi e mezzo riconosciuto al contribuente per il periodo di imposta in oggetto (in

incongruo, ossia talmente breve da pregiudicare o da rappresentare, di per sé,
un serio ostacolo all’adempimento; per altro verso, secondo la costante
giurisprudenza costituzionale, non contrasta, di per sé, con il principio di
eguaglianza un trattamento differenziato applicato alla stessa categoria di
soggetti, ma in momenti diversi nel tempo, poiché il fluire del tempo costituisce
un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche.

7. Sono invece fondati il terzo e quarto motivo.
La già richiamata sopra pronuncia delle Sezioni Unite ha, sempre con riguardo al
reato di omesso versamento posto in essere sempre in relazione al periodo
d’imposta 2005, precisato che non può essere invocata, per escludere la
colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza
del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta,
protrattasi, in sede di prima applicazione della norma, nella seconda metà del
2006, di non far debitamente fronte alla esigenza predetta.
E, sull’onda di tale assunto, questa sezione ha successivamente precisato (Sez.,
3, 05/12/2013, n. 5467/14, Mercutello, Rv. 258055) come ben si possano dare
casi, il cui apprezzamento è devoluto al giudice del merito e come tale
insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, nei quali possa
invocarsi l’assenza del dolo o l’assoluta impossibilità di adempiere l’obbligazione
tributaria.
E’ necessario, però, a tal riguardo, che siano assolti gli oneri di allegazione e di
prova che, per quanto attiene alla crisi di liquidità, debbono investire non solo
l’aspetto circa la non imputabilità al soggetto tenuto al pagamento dell’imposta
della crisi economica che avrebbe improvvisamente investito l’azienda, ma,
anche, il fatto che l’interessato non sia riuscito a fronteggiare lo stato di crisi
tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto.
Si è detto, cioè, essere necessaria la prova che non sia stato altrimenti possibile,
per il contribuente, reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e
puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo egli posto in
essere tutte le possibili azioni, se del caso anche sfavorevoli per il suo patrimonio
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luogo dei quasi dodici mesi “ordinari”), non può ritenersi intrinsecamente

personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa
crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza
esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili
(vedi anche, da ultimo, sempre in tal senso, Sez. 3, n. 15176 del 06/02/2014,
Iaquinangelo, non massimata).

appello con cui si lamentava la mancanza di elemento soggettivo del reato alla
luce, essenzialmente, del mancato incasso della maggior parte delle fatture
relative all’anno 2005, del versamento, di contro, dell’importo Iva incassata
sempre nel 2005 e corrispondente ad euro 46.982,00, del versamento, il
20/06/2006, ovvero pochi giorni prima dell’entrata in vigore dell’art. 10 ter cit.,
di Iva relativa al 2003 e corrispondente a 50.830 euro in forza di un mutuo
bancario all’uopo ottenuto (circostanze tutte che, secondo l’appellante,
avrebbero dovuto segnalare la assenza del proposito di non adempiere
all’obbligazione tributaria), ha concluso per la insussistenza dell’impossibilità di
fare fronte alla predetta obbligazione argomentando nel senso che unica
circostanza a poter rilevare a tal fine sarebbe “lo stato di insolvenza…che abbia
portato al fallimento dell’impresa”.
Un tale assunto, così radicale da individuare nel solo fallimento dell’imprenditore
la possibile ragione giustificatrice del mancato versamento dell’imposta, non
appare, però, tenere conto dei criteri appena sopra richiamati e viene in
definitiva a risolversi in una sostanziale mancata risposta alle censure sollevate
dall’appellante.
La sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio ad altra sezione della
Corte d’appello di Torino che valuterà lo specifico punto di gravame in
applicazione dei principi di diritto qui richiamati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di
Torino

Così deciso in Roma il 14 maggio 2014

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7.1. Ciò posto, nella specie, la Corte territoriale, chiamata a valutare il motivo di

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