Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23910 del 18/04/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 23910 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SESSA MARINO N. IL 04/08/1971
avverso l’ordinanza n. 4731/2012 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
27/06/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOMO ROCCHI;
j /sentite le conclusioni del PG Dott. PS-b h j/Wer)
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Uditi difensor

nr’

;

Data Udienza: 18/04/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 27/6/2012, il Tribunale del riesame di Napoli
confermava l’ordinanza del G.I.P. dello stesso Tribunale di applicazione della
misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di Marino Sessa in
relazione al reato di partecipazione ad associazione criminosa di stampo mafioso,
specificamente al clan Mallardo.
Secondo il Tribunale, l’esistenza del clan Mallardo era pienamente provata e,
difesa si erano limitati al tema della specifica responsabilità del Sessa.
Sessa era indicato come collaboratore di Napolitano Francesco e Amicone
Giuliano nella attività di raccolta e di gestione delle somme di denaro di
pertinenza del clan. Insieme ad Amicone Giuliano, era l’unica persona che
accedeva giornalmente all’appartamento dove Napolitano Francesco, che temeva
di essere arrestato, si era nascosto; inoltre conduceva a detto appartamento le
poche persone con cui Napolitano aveva necessità di parlare e custodiva ingenti
somme di denaro da mettere a disposizione dei suoi familiari in caso di sua
detenzione: godeva, quindi, di notevole fiducia dal Napolitano (uno dei capi del
clan) e dall’Amicone.
Sulla partecipazione di Sessa al clan Mallardo aveva riferito il collaboratore
di giustizia Amatrudi Massimo, che lo indicava far parte del gruppo facente capo
ad Amicone Giuliano. Inoltre Sessa era stato ascoltato in una intercettazione
ambientale parlare con Amicone di iniziative economiche da intraprendere
sfruttando informazioni riservate fornite da dipendenti pubblici.
La frequentazione dell’abitazione in cui Francesco Napolitano si nascondeva
e la motivazione di tali visite, legata al funzionamento del clan, risultavano dalla
videosorveglianza posta in essere dai carabinieri e da intercettazioni ambientali.
Egli era presente quando altri appartenenti del clan facevano visita all’abitazione.
Dopo l’arresto di Napolitano, Sessa aveva dato 5.000 euro a sua moglie e si
era messo a sua disposizione. Dopo la scarcerazione del Napolitano, in un
colloquio Sessa e Amicone avevano fatto riferimento ad una notevole somma di
denaro che il primo custodiva per conto del clan.
In un altro episodio, era emerso che egli avesse trasmesso un messaggio di
Feliciano Mallardo (l’altro capo del clan) ad un associato in relazione ad
un’estorsione compiuta.
Il Tribunale concludeva per la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza e
per la sussistenza delle esigenze cautelari, sottolineando che, per di più, Sessa
era latitante.

comunque, non era stata oggetto di contestazione, atteso che gli argomenti della

2. Ricorrono per cassazione i difensori di Sessa Marino, deducendo la
contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza impugnata, ai sensi dell’art.
606, comma 1, lett. e) cod. proc. .pen..
Lo stesso Tribunale del riesame aveva dato atto che le dichiarazioni di
Amatrudi Massimo erano irrilevanti quanto alla posizione di Sessa, sottolineando
che il bar che egli, ed altri associati, frequentavano era vicino alla sua
abitazione; ciò nonostante l’ordinanza aveva utilizzato tali dichiarazioni per
ricercare riscontri alla partecipazione di Sessa all’associazione.
ambientale intercettato con Amicone non aveva niente a che vedere con
l’associazione; le ulteriori intercettazioni non dimostravano il suo ruolo di
contabile del clan: se questo fosse stato il ruolo, le persone si sarebbero rivolte a
lui per richieste di carattere economico, ma Amicone, nel riferire a Feliciano
Mallardo la richiesta di una persona, aveva aggiunto che l’uomo non gli aveva
detto nulla perché era presente Sessa.
In definitiva, il Tribunale aveva valutato gli atti in maniera preconcetta, così
cadendo nel vizio denunciato.
I ricorrenti concludono per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere respinto.

Le censure mosse dal ricorrente non dimostrano affatto la contraddittorietà
della motivazione che, si deve ricordare, per integrare il vizio di cui all’art. 606,
comma 1, lett. e) cod. proc. pen., richiede la presenza di insormontabili
incongruenze tra le sue diverse parti o di inconciliabilità logiche tra le
affermazioni in essa contenute, oppure l’incompatibilità con atti del processo
specificamente indicati in misura tale da fa risultare la motivazione vanificata o
radicalmente inficiata sotto il profilo logico. In effetti, gli atti del processo
invocati dal ricorrente a sostegno del dedotto vizio di motivazione non devono
semplicemente porsi in contrasto con particolari accertamenti e valutazioni del
giudicante, ma devono essere autonomamente dotati di una forza esplicativa o
dimostrativa tale che la loro rappresentazione risulti in grado di disarticolare
l’intero ragionamento svolto dal giudicante, determinando al suo interno radicali
incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o
contraddittoria la motivazione. (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011 – dep.
15/11/2011, Pnnt in proc. Longo, Rv. 251516)

3

Peraltro, gli ulteriori elementi non avevano tale natura: il colloquio

Nel caso di specie, il ricorrente censura l’ordinanza per avere valorizzato le
dichiarazioni del collaboratore di giustizia Amatrudi Massimo, benché lo stesso
avesse riferito esclusivamente della frequentazione da parte del Sessa di un bar
vicino alla sua abitazione.
Il Tribunale, coerentemente con la portata delle dichiarazioni del
collaboratore, le valorizza per quello che dicono: che cioè quel bar era
frequentato dagli appartenenti del clan, tra cui Sessa, anche perché era vicino,

L’ordinanza, poi, elenca una serie di intercettazioni ambientali e di esiti di
videosorveglianza assai ampia, per far emergere le attività del ricorrente nel clan
e a favore dei suoi capi e degli associati elencate in precedenza; il ricorrente si
limita a selezionare due tra le numerose conversazioni per evidenziare che la
prima non aveva niente a che vedere con la vita del clan, senza avvedersi che il
Tribunale la utilizza esclusivamente per indicare la sua vicinanza con Giuliano
Amicone e non per riferire il colloquio agli affari del clan Mallardo; e che la
seconda conteneva un passo del colloquio tra Amicone e Feliciano Mallardo in cui
il primo riferiva al secondo che una determinata richiesta non era stata
approfondita perché Sessa era presente; ciò dimostrerebbe che il ricorrente non
era il contabile del gruppo: ma lo stesso ricorrente ammette che il passo
“potrebbe intendersi” riferito ad una richiesta di denaro, quindi nemmeno
dimostrando la certezza dell’interpretazione proposta.
In ogni caso, buona parte degli indizi esposti nell’ordinanza impugnata sono
del tutto ignorati nel ricorso, cosicché risulta evidente che esso non è in grado di
disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al
direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att.
cod. proc. pen.
Così deciso il 18 aprile 2013
Il Consigliere estensore

NCIELLERIA

Il Presidente

non solo all’abitazione di Sessa, ma anche a quella di Amicone Giuliano.

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