Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23904 del 13/03/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 23904 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

MARIOTTI ROBERTO, n. 10/02/1961 a TORGIANO

CECCARELLI CRISTINA, n. 11/10/1968 ad ARBON (SVIZZERA)

avverso la sentenza della Corte d’appello di PERUGIA in data 14/12/2012;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udite per il ricorrente le conclusioni dell’Avv. G. Spina – non comparso;

Data Udienza: 13/03/2014

RITENUTO IN FATTO

1. MARIOTTI ROBERTO e CECCARELLI CRISTINA hanno proposto ricorso avverso
la sentenza della Corte d’appello di PERUGIA, emessa in data 14/12/2012,
depositata in data 8/02/2013, con cui, in parziale riforma della sentenza emessa
dal tribunale di PERUGIA in data 17/06/2003, i medesimi imputati sono stati

condannati – previa declaratoria di proscioglimento dal reato di cessione
continuata di eroina a Pannacci Michele commesso fino al 13/12/1997, per
intervenuta estinzione dello stesso per prescrizione nonché previa declaratoria di
assoluzione per avere detenuto per la vendita l’ingente quantità di gr. 36,795 di
stupefacente del tipo “eroina cloridrato”, corrispondente a 268 dosi droganti -,
alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed C 5000,00 di multa quanto al
MARIOTTI, in comprensiva di quella inflitta con sentenza del GUP presso il
tribunale di Perugia del 9/03/1999 per la già ritenuta continuazione, e, la
CECCARELLI, alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione ed C 2800,00 di
multa, condonata la pena inflitta a quest’ultima; in particolare, gli imputati sono
stati condannati per aver, in concorso tra loro e con più azione esecutive di un
medesimo disegno criminoso, venduto in più occasione sostanza stupefacente
del tipo eroina a Pannacci Michele; in Ponte Pattoli, il 21/03/1999, con la recidiva
per entrambi, specifica infraquinquennale per il solo MARIOTTI.

2.

Con il ricorso, tempestivamente proposto dal difensore fiduciario

cassazionista, vengono dedotti tre motivi, di seguito enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con il primo motivo, la nullità e/o inesistenza della notificazione del
decreto di citazione a giudizio davanti alla Corte d’appello.
In sintesi, eccepisce il difensore che il decreto di citazione per il giudizio d’appello
non è stato notificato ai ricorrenti; il decreto, in particolare, è stato notificato a
mezzo fax ai sensi dell’art. 148, comma 2 bis, c.p.p. al solo difensore, ma non
agli imputati; la notificazione del decreto, in particolare, è stata eseguita ai
sensi dell’art. 601, comma 5, c.p.p. al solo difensore, mentre nulla, ai sensi
dell’art. 601, comma 1, c.p.p. è stato notificato agli imputati; la stessa epigrafe
del decreto di citazione recita “partecipazione ai difensori del giorno fissato per il
dibattimento”, sicchè tale atto non poteva valere a rituale citazione degli
imputati, mai avvisato; trattandosi di nullità assoluta, travolge il giudizio
d’appello.
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2.2. Deduce, con il secondo motivo, l’inosservanza dell’art. 161 c.p.p.
Rileva il difensore che i due ricorrenti, contestualmente alla nomina del difensore
di fiducia, dichiararono il proprio domicilio in Torgiano, via Bontempi, n. 12; in
tale domicilio, secondo il difensore, la notifica del decreto di citazione per il
giudizio d’appello non sarebbe stata nemmeno tentata, essendo erroneamente
stata eseguita nelle forme di cui all’art. 157, ultimo comma, c.p.p., inapplicabile

violazione dell’art. 161 c.p.p.

2.2. Deduce, infine, con il terzo motivo, la contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione.
Si duole la difesa dei ricorrenti per avere la Corte d’appello fondato il proprio
convincimento sull’asserita attendibilità del teste della pubblica accusa, imputato
in altro procedimento per reato connesso; nessun riscontro esterno alle
dichiarazioni di quest’ultimo risulta in atti, dichiarazioni assolutamente generiche
per la Ceccarelli e insufficienti per il Mariotti; infine, non vi sarebbe adeguata
motivazione in ordine alla collocazione temporale degli ulteriori episodi di
cessione di stupefacente successivi alla cessione del 13/12/97 dichiarata
prescritta, non essendovi prova che tali ulteriori condotte si siano perfezionate in
epoca successiva a tale data.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso dev’essere accolto sebbene per ragioni diverse da quelle esposte.

4. Ed invero, rileva il Collegio come ad entrambi gli imputati è stata contestata
l’ipotesi dell’art. 73, comma quinto, T.U. Stup. per fatti commessi sino al 21
marzo 1999.
Com’è noto, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 2, comma 1, lett. a), D.L. 23
dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge 21 febbraio 2014, n. 10, la pena prevista per i fatti di cui al comma quinto
è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 3.000 a euro
26.000; la giurisprudenza di questa Corte ha già affermato che l’art. 73, comma
5, d.P.R. 309/90, come modificato dall’art. 2 d.l. 23 dicembre 2013, n. 146,
convertito con modificazioni nella legge 2014, n. 10 disciplina un’autonoma
fattispecie di reato concernente i “fatti di lieve entità”, il cui trattamento
sanzionatorio si rivela di maggior favore rispetto a quello previgente (Sez. IV, n.
11525 dell’Il febbraio 2014 – dep. 10 marzo 2014, non massimata).
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nel caso di domicilio dichiarato; sussisterebbe, pertanto, anche la nullità per

4.1. Il reato è estinto per prescrizione.
Pur trattandosi di fatti commessi sino al 21 marzo 1999 – e pur essendo stata
emessa la sentenza di primo grado prima dell’entrata in vigore della legge n.
251/2005 -, non può trovare più applicazione quella giurisprudenza di legittimità
secondo la quale i reati previsti dal d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, relativi a
sostanze stupefacenti inserite nelle vecchie tabelle 1 e 3 allegate al citato

o per i quali a tale data risulta emessa la sentenza di condanna in primo grado,
si prescrivono, ove sia stata ritenuta la circostanza attenuante di cui all’art. 73
comma quinto d.P.R. n. 309 del 1990, nel termine ordinario di dieci anni ed in
quello massimo di quindici anni (Sez. 3, n. 444 del 28/09/2011 – dep.
11/01/2012, P.G. in proc. Fauizi, Rv. 251872).
Ed invero, il regime più favorevole da applicarsi secondo i principi generali di
successione delle leggi nel tempo dev’essere individuato in concreto comparando
le discipline sostanziali succedutesi.
Ciò vale anche in ambito di verifica dei termini prescrizionali.
Nel caso in esame, trattandosi di condotta di “lieve entità” commessa con
riferimento alle “droghe pesanti” sono più favorevoli le disposizioni conseguenti
all’applicazione della combinazione di norme “prescrizione-fattispecie di reato
autonoma ex d.l. 146/2013 e successiva legge di conversione”, che prevedono
un massimo edittale parametrabile al tempo di prescrizione stabilito in 5 anni per
l’ipotesi consumata (e dunque sei anni ai fini della prescrizione ex art. 157 cod.
pen.), piuttosto che entrambe le precedenti discipline che configuravano la
fattispecie in termini di ipotesi non autonoma ma solo attenuata, dunque non
valutabile ai fini del computo della prescrizione ai sensi del comma 2 dell’art. 157
cod. pen.
La valutazione del maggior favore dell’uno o dell’altro regime applicabile va
effettuata anche avendo presente che, a norma del vigente art. 157 comma 2,
cod. pen., la diminuzione della pena per effetto della concessione delle
circostanze attenuanti ad effetto speciale non rileva ai fini del computo del
termine di prescrizione. Pertanto, considerando la pena massima pari a cinque
anni di reclusione prevista sia per le droghe leggere sia per le droghe pesanti
dalla nuova fattispecie autonoma di reato introdotta dal citato d.I., quest’ultima
disposizione sembra maggiormente favorevole in tale prospettiva rispetto alle
due precedenti discipline contenute nel comma 5 dell’art.73 d.P.R. 309/90, le
quali, pur comportando una diminuzione di pena, non avrebbero potuto incidere
sul calcolo del termine di prescrizione.
Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto:
4

decreto, commessi prima dell’entrata in vigore della I. 5 dicembre 2005, n. 251,

«I reati previsti dal d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, relativi a sostanze
stupefacenti inserite nelle vecchie tabelle 1 e 3 allegate al citato decreto,
commessi prima dell’entrata in vigore della I. 5 dicembre 2005, n. 251, o per i
quali a tale data risulta emessa la sentenza di condanna in primo grado, si
prescrivono, ove sia stata ritenuta l’ipotesi di cui all’art. 73, comma quinto,
d.P.R. n. 309 del 1990 – come modificato dall’art. 2 d.l. 23 dicembre 2013, n.

di sei anni ed in quello massimo di anni sette e mesi sei».

4.2. Acclarato, dunque, che norma più favorevole è quella, anche agli effetti
prescrizionali, indicata dal nuovo comma quinto dell’art. 73, T.U. Stup., ne
discende che il reato in esame si prescrive in anni 6; la sentenza ha ritenuto
prevalente il comma quinto dell’art. 73 T.U. Stup. sulla contestata recidiva (v.
Corte Cost., n. 251/2012) né risulta alcuna sospensione del termine
prescrizionale.
Da ciò consegue, dunque, che per quanto concerne la Mariotti, il termine di anni
6, aumentato di 1/3 per la recidiva semplice contestata, determina
l’individuazione del termine di prescrizione massima in anni otto, sicché, avuto
riguardo alla data del commesso reato, lo stesso – a seguito della novella
operata sul comma quinto – si è estinto per prescrizione alla data del 21 marzo
2007.
Per quanto, invece, concerne il Ceccarelli, il termine di anni 6, aumentato di 1/ 2
per la recidiva ex art. 99, comma terzo, c.p., determina l’individuazione del
termine di prescrizione massima in anni nove, sicché, avuto riguardo alla data
del commesso reato, lo stesso – a seguito della novella operata sul comma
quinto – si è estinto per prescrizione alla data del 21 marzo 2008.

4.3. Per entrambi gli imputati, pertanto, la prescrizione – causa la novella
normativa – è maturata in data antecedente alla sentenza d’appello, sicchè la
contestuale ricorrenza nel giudizio di cassazione di una causa estintiva del reato
e di un’eventuale nullità processuale (invocata dai ricorrenti nel primo e nel
secondo motivo di ricorso) anche assoluta e insanabile, determina la prevalenza
della prima, per effetto del principio della immediata declaratoria di determinate
cause di non punibilità, sancito dall’art. 129 cod. proc. pen., salvo che
l’operatività della causa estintiva – circostanza che non ricorre nel caso in esame
– non presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservati al giudice di
merito, prevalendo in tal caso la nullità, in quanto funzionale alla necessaria

5

146, convertito con modificazioni nella legge 2014, n. 10 – nel termine ordinario

rinnovazione del relativo giudizio (Sez. 3, n. 1550 del 01/12/2010 – dep.
19/01/2011, Pg in proc. Gazzerotti e altri, Rv. 249428).

5. L’impugnata sentenza dev’essere, conclusivamente, annullata senza rinvio per
essere il reato estinto per prescrizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per
prescrizione.
Così deciso in Roma, il 13 marzo 2014

Il Co

re est.

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