Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23896 del 25/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 23896 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Spanò Stefano, nato a Fabrizia (VV) il 30/01/1954

avverso la sentenza del 26/03/2013 della Corte d’appello di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giuseppe Volpe, che ha concluso chiedendo l’annullamento, senza rinvio, per
prescrizione, per quanto riguarda i reati commessi nell’anno 2004, con rinvio per
la rideterminazione della pena; rigetto, nel resto, del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Elena Negri, che ha concluso chiedendo l’accoglimento
del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.11 26 marzo 2013 la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza
del 19/04/2009 con la quale il Tribunale di Monza aveva dichiarato il sig. Stefano
Spanò colpevole dei reati di cui agli artt. 5 e 10 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 per

Data Udienza: 25/02/2014

aver, quale amministratore unico della “THA.MA . Sri” (la cui denominazione era
successivamente modificata in “Line Comp Sri”), dapprima omesso di presentare
le dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto per i
periodi di imposta 2004 e 2005, quindi per aver occultato, o comunque distrutto
in tutto o in parte, le scritture contabili relative alla società; e lo aveva
condannato alla pena di anni 2 di reclusione, oltre statuizioni accessorie.

2. Ricorre per Cassazione lo Spanò eccependo, per il tramite del difensore di
fiducia, quattro motivi di doglianza.

l’inosservanza di norme processuali.
Al fine di meglio comprendere il tenore dell’eccezione è necessario
premettere, in fatto, che dinanzi al Tribunale di Monza, a seguito di decreto
emesso all’esito dell’udienza preliminare, era stato incardinato un processo (che
per comodità espositiva sarà d’ora in poi denominato “A”) che vedeva lo Spanò
imputato dei reati di cui agli artt. 5 e 10 d.lgs. 74/2000 commessi quale legale
rappresentante della “THA.MA .” Sri..
Con separato e diverso decreto di citazione diretta a giudizio, lo Spanò era
stato tratto a giudizio dinanzi allo stesso Tribunale per rispondere dei medesimi
reati commessi quale legale rappresentante della “Line Comp Sri” (nell’ambito di
un processo che sarà d’ora in poi chiamato “B”).
All’esito di eccezione sollevata dal difensore dell’imputato nel processo “B”, il
Tribunale aveva disposto, ai sensi dell’art. 550, comma 3 0 , c.p.p., la trasmissione
degli atti al Pubblico Ministero per il solo reato di cui all’art. 10 d.lgs. 74/2000
cit.; per il residuo delitto di cui all’art. 5 d.lgs. 74/2000 era stata disposta la
riunione del processo “B” a quello “A”.
Tanto premesso, lamenta oggi il ricorrente che il giudice di cui al processo
“B” avrebbe dovuto disporre la restituzione degli atti al PM per tutte le
imputazioni perché tra loro connesse (art. 551 c.p.p.), sicché il giudice di cui al
processo “A” non avrebbe potuto processarlo e tanto meno condannarlo per il
reato di cui all’art. 5 d.lgs. 74/2000, cit. proveniente dal processo “B”.
La Corte d’appello ha errato, sostiene il ricorrente, allorquando ha ritenuto di
superare l’eccezione, tempestivamente riproposta, sul rilievo che, a seguito di
separazione del reato di cui all’art. 10 d.lgs. 74/2000, il processo “B” riguardava
solo la condotta di cui all’art. 5 d.lgs. 74/2000, circostanza, questa, che
escludeva l’applicabilità dell’art. 551 cod. proc. pen. Nè, prosegue lo Spanò, può
ritenersi corretto il ragionamento della Corte territoriale che ha conclusivamente
ritenuto di superare, in fatto, l’eccezione affermando la sostanziale identità dei
fatti oggetto di entrambi i processi, sul rilievo – dedotto come erroneo dallo

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2.1. Con il primo denunzia l’abnormità della sentenza o comunque

Spanò – che le le due società (la “THA.MA .” e la “Line Comp”) fossero la stessa
entità solo indicata con i diversi nomi assunti nel tempo.
Tale affermazione, afferma il ricorrente, non sarebbe sorretta che da una
motivazione apparente.
La sentenza sarebbe dunque nulla sia per violazione sia dell’art. 546, lett.
c), cod. proc. pen., che per violazione del diritto di difesa ai sensi dell’art. 178,
lett. c), c.p.p., in relazione agli artt. 550 e 551 c.p.p..
Rileva infine il ricorrente che, benché la notifica del decreto che dispone il
giudizio fosse stata effettuata per compiuta giacenza, la Corte territoriale non

conoscenza della lettera raccomandata di comunicazione della giacenza.
2.2.Con il secondo motivo, lo Spanò eccepisce la mancanza ed illogicità della
motivazione e mancata assunzione di una prova decisiva in relazione al proprio
ruolo.
A fronte della dedotta fittizietà del ruolo di amministratore, concretamente
svolto da altre persone, deduzione fondata sulla propria incapacità lavorativa e
supportata dalla sua invalidità nella misura del 50%, non contrastata dal fatto
che egli fosse il reale firmatario di ordini, modulistica bancaria e assegni, la Corte
d’appello, che pure aveva affermato l’inesistenza della sede della “THA.MA .” Srl
(poi “Line Corp” Sri) e aveva accertato come l’imputato non avesse mai
personalmente curaro il ritiro della merce acquistata e mai rivenuta, aveva
ritenuto tali elementi insufficienti ad escludere il suo ruolo di amministratore
attivo ed effettivo e non aveva inteso accogliere la richiesta di assunzione della
testimonianza delle due persone che, a suo giudizio, avrebbero potuto essere
decisive nel senso da lui auspicato. Nè la Corte aveva ritenuto di assumere la
testimonianza resa in altro processo da tal M.Ilo Pepe (della quale il ricorrente
allega il verbale) che, sia pure in relazione ad altre società, aveva affermato il
ruolo di “testa di legno” in esso svolto dallo Spanò.
2.3.Con il terzo motivo denunzia mancanza ed illogicità di motivazione ed
erronea applicazione della legge penale in ordine alla propria responsabilità sotto
il profilo dell’elemento soggettivo, posto che, alla luce del suo ruolo di
prestanome, alcun automatismo era consentito in termini di contributo
soggettivo al reato materialmente commesso da altri, nemmeno sotto il profilo
del dolo eventuale
2.4.Con il quarto ed ultimo motivo di ricorso il ricorrente eccepisce che il
momento consumativo del reato di cui all’art. 10 d.lgs. 74/2000 andava fissato al
più tardi al 31 dicembre 2005 con conseguente necessità di dichiararne
l’estinzione per intervenuta prescrizione, richiesta che sollecitava anche in
relazione al reato di cui al capo A.

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aveva compiutamente valutato la probabilità che egli potesse non aver avuto

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile perché palesemente infondato.
3.1. Il primo motivo è del tutto infondato.
I passaggi procedurali sono stati sopra ricostruiti.
Si deve convenire con il Procuratore Generale d’udienza che non è affatto
chiaro sotto quale profilo la sentenza impugnata sarebbe nulla o abnorme.
Nel ricorso è eccepita la violazione dell’art. 546, comma 1, lett. c), cod.
proc. pen.; la mancata indicazione dell’imputazione, però, non provoca la nullità

Ove poi il ricorrente adombri d’esser stato condannato per un reato non
contestato, la censura riguarderebbe in realtà questioni di fatto e non aderenti
alla realtà processuale, avendo la Corte territoriale condiviso, con motivazione
congrua ed immune da vizi logici e giuridici, quanto affermato dal giudice di
prime cure, secondo il quale le società indicate nei capi di imputazione dei due
processi riuniti (la “THA.MA Srl”, di cui al processo “A”, e la “Line Comp Srl”, di
cui al processo “B”) erano in realtà la stessa entità, solo diversamente
denominata nel tempo, posto che lo Spanò il 15/01/2004 era divenuto
amministratore unico della THA.MA Srl che, il 23/02/2014, aveva modificato la
denominazione in Line Comp Sri. La Corte, inoltre, ha correttamente spiegato,
con «la diversità degli organi procedenti (…) lo scostamento, peraltro minimo,
delle somme contestate» nei due diversi processi in relazione al medesimo
reato di cui all’art. 5, d.lgs. 74/2000.
Non si comprende, dunque, alla luce della identità dei fatti oggetto dei due
diversi processi, sotto quale profilo (e perché) violi gli artt. 178, lett.

c), 550 e

551 cod. proc. pen., l’ordinanza con la quale il giudice del processo “B” abbia
ritenuto di disporre la restituzione degli atti al PM in relazione alla sola
imputazione relativa all’art. 10, d.lgs. 74/2000 cit., già oggetto del processo “A”,
nel quale era stata regolarmente tenuta l’udienza preliminare.
Inammissibile, perché del tutto generica e perché ripropone, in questa sede,
senza null’altro aggiungere, le medesime questioni già sottoposte alla Corte
territoriale, è la eccezione di nullità della dichiarazione di contumacia relativa al
processo “A”, già correttamente rigettata dalla Corte d’appello sul rilievo che la
notifica dell’atto introduttivo del processo era avvenuta per compiuta giacenza a
seguito di due accessi infruttuosi presso l’abitazione del ricorrente, e qui
riproposta sul rilievo che la Corte non avrebbe valutato «compiutamente la
probabilità che l’imputato non abbia mai effettivamente avuto notizia della
citazione nonostante l’invio della prevista lettera raccomandata, per il mancato
rinvenimento nella buca delle lettere di qualsivoglia comunicazione di giacenza
della citazione presso gli uffici postali».
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della sentenza.

3.2.11 secondo motivo ripropone inammissibili questioni di fatto già
affrontate ed esaminate dalla Corte territoriale con motivazione coerente ed
immune da vizi logici e giuridici.
La Corte d’appello ha, infatti, correttamente dedotto da circostanze di fatto
non oggetto di contestazione (l’aver effettuato gli ordini della merce, l’aver
gestito conti correnti della società, l’aver sottoscritto dichiarazioni periodiche a
fini IVA, l’aver emesso e sottoscritto assegni di pagamento della merce stessa
giunta a sua disposizione), il ruolo attivo del ricorrente nella gestione della
THA.MA/Line Corp; ruolo non contrastato – ha spiegato la Corte territoriale –

generica, quanto aspecifica, indicazione di una persona che gli aveva proposto il
ruolo di prestanome, né superabile dall’invocata (e non decisiva) testimonianza
resa da tal M.Ilo Pepe nell’ambito di processo avente ad oggetto altre realtà
societarie, né dall’assunzione della testimonianza di tali Matteo Damiano e
Matteo Cattaneo, incaricati del ritiro delle merci comunque ordinate dallo Spanò.
Nel caso in esame, ferma la non pertinenza della testimonianza del M.Ilo Pepe
rispetto ai fatti oggetto del presente processo, la Corte territoriale ha
correttamente evidenziato come nemmeno la difesa abbia mai specificamente
dedotto in che modo le testimonianze del Cattaneo e del Damiano, meri
esecutori di ordini, avrebbero potuto escludere il ruolo attivo dello Spanò.
Si tratta di affermazione che si pone in linea con il principio, costantemente
affermato da questa Suprema Corte, secondo il quale <

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