Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23890 del 08/05/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 23890 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VRANCIANU GHEORGHE N. IL 19/03/1970
avverso la sentenza n. 256/2012 CORTE APPELLO di CATANIA, del
08/03/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO B NJTO
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e
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
tche ha concluso per ,e 01,_ ki33-4-&–t e-e-4
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 08/05/2013

1. Con sentenza del giorno 8 marzo 2012 la Corte di appello di
Catania confermava quella pronunciata dal Tribunale di Caltagirone
1’8 gennaio 2011 e con essa la condanna alla pena di anni cinque di
reclusione a carico di Vrancianu Gheorghe, imputato del reato di
cui agli artt. 81, 56 e 575 c.p., aggravato da futili motivi di gelosia e
dalla qualità della vittima, coniuge dell’imputato, per aver tentato di
uccidere la moglie, Vrancianu Ion Ileana, colpendola ripetutamente
con un coltello a serramanico. Nelle campagne di Licodia Eubea, il
30 marzo 2010.
A sostegno della condanna i giudici territoriali valorizzavano la
confessione resa dall’imputato in occasione del suo primo
interrogatorio di garanzia, la documentazione sanitaria relativa al
ricovero della vittima ed all’intervento chirurgico eseguito in tale
occasione, la testimonianza resa nel corso delle indagini preliminari
dalla vittima e dal cugino Acasandre Emaricel, acquisite agli atti del
dibattimento ai sensi dell’art. 511 c.p.p. in quanto resisi irreperibili
gli interessati, la testimonianza dibattimentale del CT medico legale
nominato nel corso delle indagini preliminari in ordine agli
accertamenti eseguiti sul corpo della vittima, giacchè espunta dagli
atti la relativa relazione in quanto eseguita la consulenza in assenza
degli avvisi di rito ai difensori; la testimonianza di Modica
Giuseppe che, in presenza dell’imputato, chiamò al telefono il 118
udendolo in tale occasione accusarsi dell’accoltellamento della
moglie; gli accertamenti di polizia sul luogo teatro del delitto.
Dal complessivo quadro probatorio appena delineato i giudicanti
deducevano la ricostruzione della vicenda di causa nei termini
seguenti: verso le ore 14,00 circa del 30 marzo 2010 tra l’imputato
e la moglie scoppiava un violento litigio causato dai sospetti di
tradimento coniugale nutriti dal marito verso la vittima, accusata di
intrattenere rapporti intimi con il cugino, e nel corso di esso
l’imputato picchiava violentemente la vittima raggiungendola poi
con numerosi fendenti al volto, al collo, alle braccia, alle mani,
protese a difesa, ed al torace, con versamento pleurico ed ematico
che rendeva necessario un immediato intervento chirurgico di
toracotomia per il drenaggio ematico e la fuoriuscita delle bolle di
aria che si erano formate. La vittima riusciva a sottrarsi alla furia
dell’imputato scappando via e chiedendo l’aiuto del cugino presso il
quale riusciva a rifugiarsi.

//

La Corte, ritenuto in fatto e considerato in diritto

2. Avverso la sentenza di appello ricorre per cassazione il predetto
Vrancianu Gheorghe, con l’assistenza del difensore di fiducia, che
ne denuncia la illegittimità sviluppando tre motivi di impugnazione.
2.1 Col primo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente
inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità ed
inutilizzabilità, in particolare osservando: in appello è stata eccepita
la nullità della consulenza medico-legale eseguita nelle forme
dell’accertamento tecnico preventivo giacchè omessi gli avvisi di
rito ai difensori; la corte distrettuale ha infatti ritenuto esaustiva la
materiale esclusione degli atti relativi alla consulenza e la
declaratoria della loro inutilizzabilità; la corte di merito non ha però
considerato che la mancata notificazione al difensore dell’imputato
degli accertamenti tecnici irripetibili ha pregiudicato i diritti
difensivi del ricorrente, il quale non ha potuto nominare un
consulente di parte, né promuovere, a sua volta, un incidente
probatorio; la Corte infine non ha adeguatamente replicato alla
eccezione difensiva relativa alla opposizione all’esame
dibattimentale del consulente di ufficio dott. Politi, testimonianza
inammissibile per le stesse ragioni che indussero il tribunale a
ritenere inutilizzabili gli atti della consulenza tecnica.
2.2 Col secondo motivo di ricorso denuncia invece la difesa
ricorrente difetto di motivazione in ordine alle censure difensive
articolate in sede di appello in relazione alla eccepita irritualità
dell’acquisizione mediante lettura delle sommarie informazioni rese
dalla parte offesa e dal cugino, giacchè nulla al riguardo è stato
replicato.
2.3 Col terzo ed ultimo motivo di impugnazione denuncia, infine, la
difesa ricorrente violazione di legge e difetto di motivazione in
ordine alla qualificazione della condotta accertata in termini di
tentato omicidio, anche a tal riguardo perché del tutto ignorate le
deduzioni difensive. Nel caso in esame, ad avviso del difensore,
può tutt’al più parlarsi di dolo eventuale ma giammai di dolo
alternativo e la corte non ha motivato sul punto le conclusioni
impugnate, posto che le modalità del fatto, l’arma usata, il
comportamento post factum consentono di escludere la volontà
omicida dell’imputato.
3. Il ricorso è infondato.
3.1 Infondato è in particolare il primo motivo di impugnazione
posto che alla fattispecie della perizia medico legale eseguita in

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sede di incidente probatorio non risulta fatta alcuna utilizzazione
processuale, e che i relativi atti sono stati espunti dal fascicolo del
dibattimento.
Né può condividersi la tesi difensiva secondo cui la nullità
dell’accertamento peritale renderebbe non eseguibile la
testimonianza dibattimentale del perito nominato dal GIP, il quale
sotto giuramento e quale teste ha riferito nel contraddittorio
dibattimentale pieno quanto aveva lo stesso accertato esaminando i
postumi delle lesioni accertate su corpo della vittima e quanto aveva
rilevato dalla documentazione sanitaria acquisita dal nosocomio
dove la vittima era stata ricoverata subito dopo i fatti per essere
operata. La difesa infatti non argomenta giuridicamente l’assunto,
limitando la motivazione della sua tesi al rilievo che non avrebbe
potuto la difesa, per la maturata nullità dell’incidente probatorio,
nominare un consulente di parte e provvedere essa stessa a
promuovere un incidente probatorio, tesi palesemente prive di
pregio giacché nulla impediva nel corso del processo sia la nomina
di un consulente di parte, sia, nei tempi e nei modi di legge, la
richiesta di acquisizioni processuali nelle forme dell’incidente
probatorio.
3.2 Manifestamente infondato si appalesa il secondo motivo di
censura.
Lamenta in particolare con esso la difesa ricorrente l’assenza di
replica da parte della Corte di appello alle doglianze illustrate a
sostegno della tesi della irrituale acquisizione delle dichiarazioni
rese alla P.G. dalla vittima e dal cugino.
Palese la totale genericità della doglianza, con la quale non si
indicano affatto quali deduzioni difensive d’appello sarebbero state
ignorate nella motivazione, che diffusamente affronta la questione
processuale appena evocata, e soprattutto nulla dice circa la
decisività dell’utilizzo fatto dai giudicanti di quelle dichiarazioni,
ad un esame coerente niente affatto essenziali, sull’accertamento
dei fatti e della colpevolezza dell’imputato.
Giova inoltre osservare la non decisività, ai fini della prova della
colpevolezza dell’imputato, sia dell’esame testimoniale del dott.
Politi, in presenza della documentazione sanitaria rilasciata
dall’ospedale descrittiva della degenza e dell’intervento chirurgico
subito d’urgenza dalla vittima, sia delle dichiarazioni rese alla P.G.
dalla vittima e dal cugino, in presenza degli accertamenti di polizia
sul luogo del delitto, della sostanziale confessione dell’imputato,

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della testimonianza di Modica Giuseppe, della documentazione
sanitaria ospedaliera, di per sé sufficiente sostegno probatorio del
fatto e della colpevolezza, oltre che presupposto processuale
rilevante ai fini di ritenere correttamente applicati alla fattispecie le
statuizioni di cui all’art. 512 c.p.p., in ordine alla lettura in
dibattimento delle dichiarazioni rese alla P.G. dalla vittima e dal
cugino.
3.3 Manifestamente infondata si appalesa, infine, la terza censura
della difesa istante, anch’essa del tutto generica nel sostenere la tesi
della errata qualificazione giuridica della condotta accertata a carico
dell’imputato alla stregua del tentato omicidio e non del reato di
lesioni gravi.
A fronte infatti di una diffusa e corretta disanima in fatto ed in
diritto della fattispecie concreta dedotta in giudizio, la difesa istante
si limita ad affermare, apoditticamente, che la corte distrettuale
avrebbe insufficientemente motivato e che le modalità del fatto,
l’arma utilizzata, il comportamento poste-factum dell’imputato
imporrebbero una conclusione interpretativa dei fatti di causa
diversa da quella accreditata dai giudicanti, quando, proprio
criticamente esaminando le circostanze difensivamente evocate, il
giudice territoriale, puntualmente applicando la lezione
giurisprudenziale di questa Corte di legittimità, è pervenuta alle
conclusioni censurate.
In tema di omicidio volontario, infatti, in mancanza di circostanze
che evidenzino “ictu oculi l’animus necandi”, la valutazione
dell’esistenza del dolo omicidiario può essere raggiunta attraverso
un procedimento logico d’induzione da altri fatti certi, quali i mezzi
usati, la direzione e l’intensità dei colpi, la distanza del bersaglio, la
parte del corpo attinta, le situazioni di tempo e di luogo che
favoriscano l’azione cruenta (Cass., Sez. I, 08/06/2007, n. 28175;
Cass., Sez. I, 16/12/2008, n. 5029; Cass., Sez. I, 14/02/2006, n.
15023).
Con riferimento specifico poi all’ipotesi dell’omicidio solo tentato,
ai fini dell’accertamento della volontà omicidiaria assume valore
determinante l’idoneità dell’azione, che va apprezzata in concreto,
senza essere condizionata dagli effetti realmente raggiunti,
dovendosi diversamente l’azione ritenersi sempre inidonea, per non
aver conseguito l’evento, sicché il giudizio di idoneità è una
prognosi, formulata “ex post”, con riferimento alla situazione così
come presentatasi al colpevole al momento dell’azione, in base alle

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condizioni umanamente prevedibili del caso particolare( Cass., Sez.
I, 23/09/2008, n. 39293). Di guisa che ricorre la fattispecie di
tentato omicidio, e non quella di lesioni personali, se —come nel
caso in esame- il tipo di arma impiegata e specificamente l’idoneità
offensiva della stessa, la sede corporea della vittima raggiunta dal
colpo di arma, il numero dei colpi e la natura delle ferite cagionate
inducano a ritenere la sussistenza in capo al soggetto agente del
cosiddetto “animus necandi”. (Cass., Sez. I, 22/09/2010, n. 37516).
Gli esposti principi risultano puntualmente applicati, giova
ribadirlo, dalla corte territoriale con argomentazioni alle quali la
difesa ricorrente oppone, come detto, nulla più che alternative ed
apodittiche conclusioni.

4. La doglianza va pertanto rigettata ed il ricorrente condannato, ai
sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
P. T. M.
la Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
Così deciso in Roma, addì 8 maggio 2013
Il cons. est.,
Il Presidente

VIng

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