Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23885 del 27/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 23885 Anno 2014
Presidente: CASUCCI GIULIANO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Aiello Adriano nato il 10 giugno 1961 avverso
l’ordinanza del Tribunale del riesame di Roma del 30 dicembre 2013. Sentita
la relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio; udite le
conclusioni del sostituto procuratore generale Luigi Riello, che ha chiesto
dichiararsi il ricorso inammissibile; udito il difensore dell’imputato, avv. Walter
De Agostino, che ha chiesto accogliersi il ricorso.
OSSERVA
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Roma ha confermato l’ordinanza del
gip del medesimo tribunale in data 17 dicembre 2013 applicativa della misura
cautelare della custodia carceraria nei confronti di Aiello Adriano.
Nel ricorso presentato nell’interesse dell’imputato si lamentano violazione di
legge e vizio di motivazione per avere il tribunale fondato la propria decisione
su di un ragionamento illogico e lacunoso, ritenendo la sussistenza di un
sufficiente quadro di gravità indiziaria in ordine a talune rapine attribuite
all’indagato pur non rinvenendosi agli atti nessun serio elemento a conforto
(come dettagliatamente esposto nell’intero svolgimento del ricorso); e inoltre

Data Udienza: 27/05/2014

per aver ritenuto sussistenti le esigenze cautelari di massimo rigore sempre
con motivazione lacunosa e giuridicamente errata senza considerare il tempo
decorso dal fatto, il sofferto stato di detenzione domiciliare e le precarie
condizioni di salute dell’indagato.
Il ricorso è manifestamente infondato.
Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide,
l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione

spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche
soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze
cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti
rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta
l’applicazione della misura cautelare, nonché del tribunale del riesame. Il
controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo
esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia
rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui
presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) – l’esposizione
delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto
al fine giustificativo del provvedimento. (cfr. Cass. Sez. 6^ sent. n. 2146 del
25.05.1995 dep. 16.06.1995 rv 201840 e, tra le più recenti, Cass. Sez. III,
28.2.2012, n. 12763).
Nella sentenza impugnata, il quadro di gravità indiziaria è dettagliatamente
ricostruito da pagina 6 a pagina 9, in cui si dà conto di una pluralità
significativa di elementi univocamente convergenti nel senso della ritenuta
penale responsabilità dell’imputato. Del resto, nel ricorso, si espone una
diversa ricostruzione dei fatti; si contesta la interpretazione del materiale
indiziario, ma in nessun modo si evidenziano effettive illogicità motivazionali.
Ciò vale anche per il giudizio sulle esigenze cautelari, avendo osservato il
tribunale che, in considerazione della condotta tenuta dall’indagato e in
considerazione della gravità del fatto, valutata altresì la personalità del
soggetto (già più volte condannato per il delitto di rapina), e rilevato che i
fatti in oggetto sarebbero stati commessi nel corso di un regime di
autodetenzione, la misura cautelare di massimo rigore si mostra l’unica
soluzione adeguata nel caso di specie.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della

degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo

Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle
ammende. Si provveda ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att. e cod.
proc. pen.

Il Consigliere estensore
Fabrizio Di Marzio

Presidente

Roma, 27.5.2014

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