Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23882 del 27/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 23882 Anno 2014
Presidente: CASUCCI GIULIANO
Relatore: MACCHIA ALBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ASAN ROBERT NICOLAE N. IL 17/12/1988
avverso l’ordinanza n. 3654/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
12/12/2012
sentita la r lazione fatta dal Consigliere Doti. ALBERTO MACCHIA;
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lette/sent e le conclusioni del PG Dott.

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Uditi difensor Avv.;

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146t cputioo

Data Udienza: 27/05/2014

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Con ordinanza del 12 dicembre 2012, la Corte di appello di Nspoli respingeva
la richiesta di restituzione nel termine per proporre impugnazione formulata
nell’interesse di ASAN Roberto Nicolae, sul rilievo che non aveva ricevuto la
notifica dell’estratto contumaciale in quanto notificato al difensore. Rilevava la
Corte che la notifica doveva reputarsi regolare in quanto l’imputato aveva indicato un
domicilio in forma inidonea perché privo della indicazione di civico, con la
conseguenza che la notifica dell’estratto contumaciale era stato effettuato a mani
dell’avv. Maria Gianna Ponticello, che era stata nominata difensore di fiducia in sede
di fermo.
Propone ricorso per cassazione l’avv. Salvatore Ponticiello, nominato difensore
dall’imputato, il quale, dopo aver trascritto il contenuto della richiesta avanzata alla
Corte territoriale, lamenta che la Corte stessa si sia limitata a motivare in ordine alla
regolarità della notifica dell’estratto contumaciale senza pronunciarsi sulla richiesta
di restituzione nel termine fondata sul fatto che l’imputato non aveva avuto notizia
della sentenza emessa nei suoi confronti. D’altra parte, la richiesta di cui all’art. 175,
comma 2, presuppone proprio la regolarità della notifica, mentre la richiesta
riguardava il diverso profilo della ignoranza del procedimento; donde il vizio, non
soltanto di violazione di legge, ma anche di carenza di motivazione.
Il ricorso è fondato. A fronte, infatti, della univoca richiesta avanzata
nell’interesse dell’ASAN intesa a sollecitare l’applicazione dell’art. 175, comma 2,
cod. proc. pen., sul rilievo della dedotta incolpevole mancata conoscenza del
procedimento celebratosi in sua contumacia e della sentenza di condanna pronunciata
a suo carico ed il cui estratto contumaciale era stato notificato al difensore, a norma
dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen. senza aver mai rinunciato a comparire in
giudizio o a formulare impugnazione, né essersi volontariamente sottratto alla
conoscenza degli atti del procedimento, la Corte territoriale, investita della richiesta,
si è limitata a motivare in ordine alla regolarità della notificazione dell’estratto
contumaciale senza pronunciarsi in alcun modo sulla richiesta di restituzione nel
termine per proporre impugnazione: richiesta che, evidentemente, in sé presuppone la
regolarità della notificazione dell’estratto e la conseguente intervenuta irrevocabilità
della pronuncia cui la richiesta stessa si riferisce. D’altra parte, questa Corte ha avuto
modo di puntualizzare, in varie circostanze, che è illegittimo il provvedimento di
rigetto di una istanza di restituzione nel termine per proporre opposizione a decreto
penale di condanna fondato sul mero rilievo della regolarità formale della notifica, in
quanto quest’ultima, se non effettuata a mani dell’interessato, non può essere da sola
considerata dimostrativa dell’effettiva conoscenza dell’atto da parte del destinatario.
(Fattispecie relativa alla notifica a mezzo del servizio postale). (Sez. 1, n. 16523 del
16/03/2011 – dep. 27/04/2011, Scialla, Rv. 250437).
Occorre peraltro rilevare che l’istituto della restituzione nel termine per
proporre impugnazione avverso le sentenze contumaciali, introdotto sotto l’art. 175,
1

OSSERVA

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comma 2, cod. proc. pen. dal d.l. n. 17 del 2005, convertito dalla legge n. 60 del
2005, in ottemperanza ai “moniti” ed alle note condanne pronunciate dalla CEDU nei
confronti dell’Italia in rapporto al difetto di garanzie che regolavano, per l’appunto, il
processo in absentia (v., in particolare, le note sentenze Sejdovic c. Italia e Somogyi
c. Italia), è stato da ultimo radicalmente modificato dall’art. 11, comma 6, della legge
28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie
e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del
procedimento con messa alla prova nei confronti degli irreperibili), in quanto — nel
quadro ed in rapporto alla intervenuta eliminazione dell’istituto della contumacia ed
alla previsione di un apposito rimedio straordinario revocatorio del giudicato,
previsto sotto il nuovo art. 625-ter cod. proc. pen. e denominato “rescissione del
giudicato” (attivabile nel caso in cui l’interessato abbia avuto conoscenza del
processo solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza, provando che l’assenza è
stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza del processo) — l’ambito
applicativo del “vecchio” art. 175, comma 2, del codice di rito è stato limitato alla
ipotesi del decreto penale di condanna divenuto esecutivo senza che il condannato ne
abbia avuto tempestiva ed effettiva conoscenza, sempre che non vi sia stata rinuncia
espressa alla opposizione.
Viene dunque a porsi il problema se tale novellazione, che corrisponde, nella
sostanza, ad una intervenuta abrogazione, in parte qua, dell’istituto oggetto del
presente ricorso, trovi applicazione nei procedimenti in corso, in ragione del noto
brocardo tempus regit actum, che regola la successione nel tempo delle norme
processuali, in mancanza — come davvero deprecabilmente è avvenuto nel caso di
specie — di una specifica disciplina transitoria.
E’ infatti noto, al riguardo, che nel campo del diritto processuale, in ipotesi di
successione nel tempo delle norme che regolano tale settore dell’ordinamento, ove
difetti la previsione di un apposito diritto transitorio, il regime intertemporale degli
atti processuali è assoggettato al principio generale enunciato nell’art. 11 delle
preleggi, in base al quale è sancita la regola per la quale «La legge non dispone che
per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo». Da ciò il duplice e concorrente
corollario per il quale, dalla irretroattività della nuova legge deriva la
“conservazione” degli effetti degli atti compiuti nella vigenza della disciplina
novellata, mentre, dalla immediata operatività delle nuove regole scaturisce che gli
atti successivi alla novella soggiacciono alla relativa disciplina.
Lo schematismo del principio deve però fare i conti, come la più avveduta
dottrina ha puntualmente messo in luce, con l’esigenza che i concetti di actus e
tempus vadano analizzati nel contesto, non soltanto strutturale, ma anche “dinamico”
della specifica disciplina in cui si trovano ad essere inseriti, posto che è insito nello
stesso concetto di “processo” la evocazione di specifiche serie concatenate di atti,
ciascuno dei quali non necessariamente vive “di luce propria”, ma ne può presupporre
altri dai quali trae la propria ratio essendi e, viceversa, condizionare a sua volta
ulteriori atti, rispetto ad esso consecutivi, fungendo da relativo presupposto. Non è un
caso, d’altra parte, che è proprio a tale fenomenologia di “sistema” che si ispira la più

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che tradizionale regola delle nullità conseguenziali, sancita, per il processo penale,
dall’art. 185 del codice di rito.
Se, dunque, la correlazione che viene a stabilirsi tra il “tempo” e “l’atto” è
agevolmente percepibile laddove la fattispecie processuale cui la norma si riferisce si
circoscrive, quanto ad effetti e natura, al compimento di uno specifico atto in un
medesimo “tempo”, il problema si complica ove in discorso vengano atti o attività
che si iscrivono in un contesto strutturalmente e funzionalmente articolato e che
ammette, dunque, uno sviluppo diacronico e articolato per fasi o segmenti procedurali
concatenati fra loro (v. al riguardo Cass., Sez. un., n. 10086 del 13 luglio 1998,
Citaristi). Più di recente, le Sezioni unite di questa Corte non hanno infatti mancato di
rimarcare come i problemi che vengono a porsi in sede di disamina del regime
intertemporale in materia di norme processuali tendono ad acuirsi proprio «quando il
compimento dell’atto o lo spatium deliberandi o ancora gli effetti si protraggono, si
estendono nel tempo: un tempo durante il quale la norma regolatrice muta». Vengono
dunque a porsi «problemi diversi l’uno dall’altro, ben presenti nell’esperienza
giuridica, rispetto ai quali la logica atomistica (un atto, una norma) può in alcuni casi
risultare di difficile applicazione o apparire insufficiente, inappagante», dal momento
che «alle tradizionali logiche di carattere tecnico-formale si sovrappongono tematiche
valoriali, assiologiche». «Dunque — hanno sottolineato le Sezioni unite — piuttosto che
cercare soluzioni di carattere generale, conviene considerare che il superamento di
alcuni problemi può essere favorito da una attenta disamina della complessiva
disciplina legale della materia di cui ci si interessa e dall’individuazione del concreto,
reale ruolo che la nuova norma è chiamata a svolgervi alla luce delle diverse possibili
soluzioni dei problemi di diritto intertemporale» (Cass., Sez. un., n. 27919 del 31
marzo 2011, P.M. in proc. Ambrogio).
Per altro verso, la soppressione dell’istituto della contumacia e la correlativa
modifica dell’art. 175, comma 2, cod. proc. pen. — come si è accennato,
sostanzialmente abrogatrice del rimedio della restituzione nel termine per la
impugnazione della sentenza contumaciale — risolvendosi — per quanti siano stati
dichiarati già contumaci in virtù del pregresso regime – in una sorta di reformatio in
peius che priverebbe, ove “immediatamente” applicato, gli interessati di una garanzia
fondamentale, che ha posto l’Italia in linea con le pronunce della Corte europea dei
diritti dell’uomo (v. al riguardo la sentenza della CEDU Cat Berro c. Italia), deve
necessariamente fare i conti con il principio generale della irretroattività della legge,
derogabile solo in presenza di adeguate “giustificazioni normative”, in linea con il
canone della ragionevolezza e uguaglianza.
La Corte costituzionale ha infatti, come è noto, ripetutamente avuto modo di
sottolineare che il divieto di retroattività della legge, previsto dall’art. 11 delle
disposizioni sulla legge in generale, pur costituendo valore fondamentale di civiltà
giuridica, non riceve nell’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art..25 Cost.
(sentenze n. 78 e n. 15 del 2012, n. 236 del 2011, e n. 393 del 2006), e che «il
legislatore – nel rispetto di tale previsione – può emanare norme retroattive, anche di
interpretazione autentica, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione

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nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che
costituiscono altrettanti «motivi imperativi di interesse generale», ai sensi della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).
Da ciò, la Corte ha tratto spunto per affermare, ad esempio, che anche la norma
che deriva dalla legge di interpretazione autentica non può dirsi, in sé,
costituzionalmente illegittima, qualora si limiti ad assegnare alla disposizione
interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle
possibili letture del testo originario (ex plurimis: sentenze n. 271 e n. 257 del 2011, n.
209 del 2010 e n. 24 del 2009). In tal caso, infatti, la legge interpretativa ha lo scopo
di chiarire «situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo», in ragione di «un
dibattito giurisprudenziale irrisolto» (sentenza n. 311 del 2009), o di «ristabilire
un’interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore» (ancora
sentenza n. 311 del 2009), a tutela della certezza del diritto e dell’eguaglianza dei
cittadini, cioè di principi di preminente interesse costituzionale.
Accanto a tale caratteristica, il Giudice delle leggi ha individuato una serie di
limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi, attinenti alla salvaguardia, oltre che
dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civiltà giuridica, posti a
tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno
ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel
divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell’affidamento
legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la
coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni
costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 209 del 2010, citata,
punto 5.1, del Considerato in diritto) (v. fra le tante e da ultimo, la sentenza n. 103 del
2013). Il canone della irretroattività, dunque, e con esso il valore paradigmatico da
assegnare alla regola dettata dall’art. 11 delle preleggi, lungi dal rappresentare —
come pure si è in passato sostenuto — un parametro meramente declamatorio,
ampiamente derogabile da parte del legislatore ordinario, finisce per atteggiarsi a
sicuro principio generale dell’ordinamento, sulla cui falsariga deve essere
necessariamente declinata la disamina delle problematiche, non di rado acute, che
possono presentarsi nel campo della successione nel tempo delle disposizioni
processuali.
Ebbene, se si ha riguardo al contenuto della disciplina che la legge n. 67 del
2014 ha dettato nel capo terzo, ove — negli artt. da 9 a 15 — sono state introdotte
disposizioni profondamente innovative in tema di procedimento in assenza, attraverso
una rimodulazione delle sequenze e degli istituti tesi ad assicurare la partecipazione
dell’imputato al processo, e se si considera la intima correlazione che lega fra loro
l’intera gamma delle previsioni che scandiscono la nuova “dinamica” ed i relativi
presupposti, non potrà che concludersi nel senso che ti -0a “vecchia” disiplina del
procedimento in contumacia e degli istituti ad essa coesi — tra cui la notifica
dell’estratto contumaciale e la restituzione nel termine per proporre impugnazione —
non possano ammettere “contaminazioni” parziali ad opera delle nuove previsioni,

P. Q. M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Napoli.
Così deciso in Rima, il 27 maggio 2014
Il Consigl

estensore

residente

pena, altrimenti, l’innesto di un tetium genus processuale, privo di qualsiasi coerenza,
giustificazione sistematica e base normativa.
Da ciò la conclusione per la quale la modifica subita dal secondo comma
dell’art. 175 cod. proc. pen. ad opera della legge n. 67 del 2014 non può ritenersi
produttiva di conseguenze agli effetti dell’odierno scrutinio e del successivo giudizio
di rinvio.
Alla stregua dei rilievi svolti il provvedimento impugnato deve
conseguentemente essere annullato con rinvio alla Corte di appello di Napoli, per
nuovo giudizio in relazione al contenuto della richiesta formulata nell’interesse del
condannato.

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