Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23881 del 27/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 23881 Anno 2014
Presidente: CASUCCI GIULIANO
Relatore: MACCHIA ALBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PAGNANINI GIULIANO N. IL 03/08/1954
avverso l’ordinanza n. 1005/2013 CORTE APPELLO di ANCONA, del
19/11/2013
sentita la r lazione fatta dal Consigliere Dott. ALBERTO MACCHIA;
lette/se9,tife le conclusioni del PG Dott. r. C -50.2aZ pfu,j,i (44,4444,

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 27/05/2014

Con ordinanza del 19 novembre 2013, la Corte di appello di Ancona ha respinto
la richiesta di restituzione nel termine per proporre impugnazione avanzata dal
difensore di PAGNANINI Giuliano in riferimento alla sentenza di condanna
pronunciata nei confronti del predetto dal Giudice per le indagini preliminari del nei
quali si duole Tribunale di Fermo il 1 aprile 2011 e motivata sul presupposto che il
difensore dell’epoca malgrado le assicurazioni fornite all’imputato non aveva
proposto impugnazione avverso la sentenza predetta.
Propone ricorso per cassazione personalmente il PAGNANINI il quale
prospetta due motivi nei quali lamenta violazione di legge e vizio di motivazione
nella parte in cui si fa ricadere sul condannato la colpevole inerzia del difensore il
quale, pur avendo garantito all’assistito la tempestiva presentazione dell’atto di
impugnazione, si era successivamente disinteressato omettendo di presentare
impugnazione nell’interesse del proprio assistito.
Il ricorso è palesemente inammissibile, in quanto l’inerzia del difensore,
ancorchè colpevole, non costituisce ipotesi di forza maggiore o caso fortuito ai fini
della sollecitata applicazione dell’istituto eccezionale della restituzione nel termine,
dal momento che la forza maggiore impeditiva dell’esercizio del diritto non può che
riconnettersi a eventi esterni imprevedibili ed imprevedibili rispetto ad una condotta
che si sarebbe voluto svolgere ma che il fattore esterno alla sfera delle scelte
consapevoli ha — proprio sul piano volontaristico — obiettivamente precluso. Le
Sezioni unite di questa Corte hanno infatti avuto modo di chiarire che in materia di
restituzione nel termine, la condotta del difensore d’ufficio che, in violazione degli
obblighi di diligenza, abbia omesso di informare il difensore di fiducia circa il
mancato accoglimento dell’istanza di rinvio dell’udienza e non abbia presentato
tempestiva impugnazione in qualità di sostituto ex art. 102 cod. proc. pen., non può
essere considerata, per gli effetti dell’art. 175, comma primo, cod. proc. pen., ipotesi
di caso fortuito, né di forza maggiore. (Nella specie, la Corte ha ritenuto che il
difensore di fiducia, con un comportamento improntato a normale diligenza, come
quello di recarsi presso la cancelleria del giudice per chiedere informazioni, avrebbe
potuto conoscere per tempo che era stata pronunciata sentenza di condanna e
presentare impugnazione). (Sez. U, n. 14991 del 11/04/2006 – dep. 28/04/2006, De
Pascalis, Rv. 233419) D’altra parte, ove così non fosse, si aprirebbero spazi
incontrollabili rispetto a manovre abusive, tali da compromettere la stessa legalità del
sistema. Questa Corte non ha infatti mancato di puntualizzare, al riguardo, che
l’abuso del processo consiste in un vizio, per sviamento, della funzione, ovvero in una
frode alla funzione, e si realizza allorchè un diritto o una facoltà processuali sono
esercitati per scopi diversi da quelli per i quali l’ordinamento processuale
astrattamente li riconosce all’imputato, il quale non può in tale caso invocare la tutela
di interessi che non sono stati lesi e che non erano in realtà effettivamente perseguiti.
(In applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso nel caso di specie qualsiasi
1

OSSERVA

P. Q. M.
2

violazione del diritto alla difesa, ravvisando un concreto pregiudizio dell’interesse
obiettivo dell’ordinamento, e di ciascuna delle parti, alla celebrazione di un giudizio
equo in tempi ragionevoli, atteso che lo svolgimento e la definizione del processo di
primo grado erano stati ostacolati da un numero esagerato di iniziative difensive attraverso il reiterato avvicendamento di difensori in chiusura del dibattimento, la
proposizione di eccezioni di nullità manifestamente infondate e di istanze di
ricusazione inammissibili – con il solo obiettivo di ottenere una reiterazione
tendenzialmente infinita delle attività processuali). (Sez. U, n. 155 del 29/09/2011 dep. 10/01/2012, Rossi e altri, Rv. 251496). Per altro verso, la giurisprudenza di
questa Corte ha in varie occasioni avuto modo di sottolineare come la incuria
difensiva non possa legittimare “recuperi” in capo al rappresentato, posto che è onere
della parte — specie in un rapporto che presupponga un mandato fiduciario — non
soltanto prescegliere il difensore secondo meccanismi selettivi che postulino un
controllo di adeguata professionalità, ma anche di vigilare sulla attività svolta,
gravando sulla parte rappresentata i rischi connessi ad una condotta improntata al
sostanziale disinteresse. Si è infatti ritenuto che non integra il caso fortuito o la forza
maggiore, che possono legittimare la restituzione nel termine, l’errore del difensore di
fiducia nell’individuazione dei termini di impugnazione della sentenza, causato da
ignoranza della legge processuale. (Nella specie, era stata dedotta la mancata
conoscenza, da parte del difensore, dell’interpretazione della 1. n. 742 del 1969,
assolutamente consolidata in giurisprudenza, che esclude l’applicabilità della
sospensione dei termini feriali a quelli di redazione della motivazione della sentenza).
(Sez. 1, n. 1801 del 30/11/2012 – dep. 15/01/2013, Masini, Rv. 254211. Sul tema v.,
anche Cass., Sez. III, n. 39437 del 5 giugno 2013, Leka, non massimata ).
Del tutto incongrui si rivelano, poi, i richiami alla giurisprudenza della CEDU,
volgendosi la stessa a salvaguardare i diritti dell’imputato a fronte di situazioni del
tutto patologiche ed eccezionali di responsabilità professionale, ed essendo le
pronunce attente a distinguere le situazioni in cui venga in discorso un mandato
fiduciario, che per sua natura impone di prendere in esame anche i profili
riconducibili ad ipotesi di culpa in eligendo.
Non senza sottolineare, infine, come gravi sull’imputato anche l’onere di
provare — a norma dell’art. 187, comma 2, cod. proc. pen. — l’eventuale sussistenza di
condizioni e circostanze di fatto che abbiano concretamente “impedito” l’esercizio
dei diritti e delle facoltà processuali per le quali è previsto un termine di decadenza,
dal momento che la semplice, labiale affermazione di una “colpa” del difensore, non
può certo valere ad attestare l’esistenza del presupposto per richiedere la restituzione
nel termine al fine di proporre impugnazione.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di
una somma che si stima equo determinare in euro 1.000,00 alla luce dei principi
affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 27maggio 2014
estensore

Il ConsigJi

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