Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23876 del 27/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 23876 Anno 2014
Presidente: CASUCCI GIULIANO
Relatore: MACCHIA ALBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SICILIA IGNAZIO N. IL 01/10/1975
avverso il decreto n. 130/2012 CORTE APPELLO di PALERMO, del
08/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALBERTO MACCHIA;
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lette/se e le conclusioni del PG Dott.

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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 27/05/2014

Con provvedimento dell’8 aprile 2013 la Corte di appello di Palermo ha
respinto l’impugnazione proposta nell’interesse di SICILIA Ignazio avverso il
decreto del Tribunale di Agrigento del 21 maggio 2012, con il quale era stata disposta
nei confronti del predetto la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di
pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di
anni due. I giudici della impugnazione ritenevano infatti provata la pericolosità
sociale del proposto in considerazione della sua qualità di condannato in via
definitiva per la partecipazione alla associazione mafiosa Cosa Nostra, quale braccio
operativo del cugino Massimino Antonio, apportando un contributo rilevante
all’attività estorsiva della famiglia mafiosa di Agrigento-Villaseta. Il giudice del
gravame reputava sussistente il requisito della attualità della pericolosità, in quanto
non erano emersi elementi alla stregua dei quali il prevenuto si fosse distaccato dal
sodalizio, esibendo una radicale modifica del sistema di vita e la concreta
dissociazione dal contesto mafioso in cui aveva aderito e per il quale aveva operato.
Propone ricorso per cassazione il difensore il quale contesta la sussistenza della
attualità della pericolosità, in quanto i fatti cui si riferisce la condanna per
associazione mafiosa si arrestano al 2004 e il prevenuto avrebbe da allora rescisso i
legami col sodalizio. Si deduce, poi, che, attesa l’autonomia del procedimento di
prevenzione da quello penale, gli indizi di pericolosità attuale dovevano essere
valorizzati senza fare riferimento generico alle risultanze del procedimento penale.
Il ricorso è palesemente destituito di fondamento, in quanto i giudici del merito
hanno puntualmente messo in luce le circostanze specifiche alla stregua delle quali le
emergenze di fatto, processualmente accertate con sentenza irrevocabile,
rappresentassero altrettanti elementi di prova atti a corroborare il giudizio di
pericolosità specifica richiesto per l’applicazione della misura di prevenzione,
essendosi sul punto scandagliato non soltanto la generica appartenenza del prevenuto
al sodalizio mafioso, ma anche il suo ruolo specifico e il livello del relativo
inserimento. Quanto, poi, alla attualità della pericolosità, va rammentato che la
giurisprudenza di questa Corte è da tempo consolidata nel ritenere che, ai fini
dell’applicazione di misure di prevenzione nei confronti di appartenenti ad
associazioni di tipo mafioso, non è necessaria alcuna particolare motivazione in punto
di attuale pericolosità, una volta che l’appartenenza risulti adeguatamente dimostrata e
non sussistano elementi dai quali ragionevolmente desumere che essa sia venuta
meno per effetto del recesso personale, non essendo in questo senso dirimente né il
decorso del tempo né l’eventuale restrizione carceraria, in presenza della quale, però,
il giudice deve specificamente motivare sull’assenza di comportamenti indicativi di
un effettivo recesso. (Sez. 2, n. 29478 del 05/07/2013 – dep. 10/07/2013,
Badalamenti e altro, Rv. 256178). La mancata allegazione di elementi univoci dai
quali dedurre, in positivo, la intervenuta rescissione di legami rispetto al sodalizio
mafioso, specie ove si versi in ipotesi — come nella specie – di associazione
1

OSSERVA

I

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 27 maggio 2014
Il Cons gre estensore

Il esid nte

rigidamente strutturata e come tale difficilmente permeabile a libere ed autonome
iniziative dissociative, rende logicamente e giuridicamente incensurabile la decisione
dei giudici del merito, tenuto anche conto della reputata genericità delle contrarie e
assertive deduzioni difensive.
D’altra parte, a fronte delle censure non poco generiche prospettate dal
ricorrente e fortemente orientate verso un riesame nel merito dell’apporto
argomentativo esibito dai giudici
a quibus , va pure rammentato che nel
procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso solo per violazione
di legge, con la conseguenza che il vizio della motivazione del decreto può essere
dedotto solo qualora se ne contesti l’inesistenza o la mera apparenza. (Fattispecie in
cui la Corte ha ritenuto immune da censure un decreto che aveva dato conto di un
consolidato quadro indiziario, utile a giustificare la pericolosità del ricorrente in
termini di coerenza anche riguardo al requisito dell’attualità). (Sez. 6, n. 35240 del
27/06/2013 – dep. 21/08/2013, Cardone e altri, Rv. 256263).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di
una somma che si stima equo determinare in euro 1.000,00 alla luce dei principi
affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.

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