Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23870 del 26/04/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 23870 Anno 2013
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: SARNO GIULIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LAKSER RACH1D N. IL 18/05/1984
avverso la sentenza n. 5883/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
09/01/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIULIO SARNO
/f/’
Udito il Procuratore Gerierale in persona del Dott.
che ha concluso per e
ci>

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 26/04/2013

1. Lakser Rachid propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in
epigrafe con la quale la corte di appello di Milano ha confermato quella emessa
in data 29 marzo 2011 del tribunale di Como, sezione distaccata di Cantù con
cui era stato condannato alla pena di giustizia per il reato di cui all’articolo 73
comma 1 bis d.p.r. 309/90 per la detenzione di involucri di hashish rinvenuti
sotto le tegole dell’abbaino adibito a sua camera da letto.
2. Deduce in questa sede il ricorrente:
2.1 la nullità dell’elezione di domicilio presso lo studio del difensore di ufficio
redatta dai carabinieri della stazione di Lomazzo in data 26 novembre 2009,
all’atto della sua identificazione, in quanto non sottoscritta dallo stesso.
Rappresenta di non parlare la lingua italiana e che, per effetto di quanto
denunciato, sarebbero stati erroneamente notificati dal tribunale di Como tutti
gli atti ai sensi dell’articolo 161 del codice di rito laddove si sarebbe dovuto
procedere nelle forme degli articoli 157 e 159 cpp. Aggiunge inoltre di essere
stato sempre reperibile sul territorio nazionale avendo presentato domanda di
regolarizzazione;
2.2 mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione non
essendovi alcun elemento certo sulla riferibilità alla sua persona della droga
rinvenuta sul tetto su cui si affaccia l’abbaino, avendo quest’ultimo accesso
esterno autonomo.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
Occorre premettere che il ricorrente non fornisce alcun elemento dimostrativo
della sua ignoranza della lingua italiana al momento in cui i carabinieri hanno
proceduto nei suoi confronti per lo stupefacente rinvenuto.
Ciò posto, in relazione al primo motivo di ricorso, si deve rilevare che la
sentenza di appello ha correttamente posto in evidenza che agli atti vi è un
verbale di elezione di domicilio che, in quanto sottoscritto dall’ufficiale di polizia
giudiziaria, fa fede quanto alla veridicità di ciò che accaduto, da cui si rileva
che effettivamente il 26 novembre 2009 l’imputato ha eletto domicilio presso lo
studio del difensore di ufficio.
La circostanza che l’imputato si sia rifiutato di firmare il verbale, come
attestato dallo stesso ufficiale di pg, correttamente è stata ritenuta inidonea ad
inficiare la fidefacienza dell’atto di PG che non può essere, quindi, ritenuto
nullo.
Al riguardo occorre anzitutto rilevare che l’orientamento prevalente di questa
Corte è nel senso che la mancata sottoscrizione da parte dell’indagato del
verbale che raccoglie la dichiarazione o l’elezione di domicilio ne determina
l’invalidità solo se dal verbale risulti che l’indagato abbia rifiutato di
sottoscriverlo non riconoscendo il contenuto conforme a quanto da lui
dichiarato o non intendendo più eleggere domicilio (da ultimo Sez. 1,
Sentenza n. 46886 del 22/10/2009 Rv. 245676), il che non risulta.
In ogni caso, anche l’orientamento contrario secondo cui l’elezione di domicilio
contenuta nel verbale di polizia giudiziaria che il dichiarante rifiuti di

Ritenuto in fatto

sottoscrivere – mancando il dato della formale e concreta riferibilità della
dichiarazione al soggetto dichiarante – deve essere considerata “tamquam non
esset”, in quanto il rifiuto della sottoscrizione implica il rifiuto di eleggere il
domicilio, giunge comunque alla conclusione che, per effetto del rifiuto si
verifica la conseguenza che legittimamente gli atti devono essere notificati, ex
art. 161, comma quarto, cod. proc. pen., presso il difensore (Sez. 5,
Sentenza n. 28618 del 28/05/2008 Rv. 240430).
Il che è comunque avvenuto nella specie.
Si sostanziano invece di merito le considerazioni sviluppate nel secondo motivo
di ricorso in relazione al quale la corte di appello ha correttamente motivato la
riferibilità della detenzione dello stupefacente imputato evidenziando con
argomentazione ineccepibile sul piano logico che all’abbaino si poteva accedere
solo attraverso la camera dell’imputato.
Né vengono in questa sede indicati elementi trascurati dal giudice di appello
nella valutazione.
Al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 26.4.2013

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