Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23863 del 14/05/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 23863 Anno 2013
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LANZA LUIGI

SENTENZA

decidendo sul ricorso proposto da Mazzarella Annunziata, nata il giorno
28 agosto 1977, avverso l’ordinanza 13 febbraio 2013 del Tribunale di
Napoli, il quale, decidendo sul riesame contro l’ordinanza 29 gennaio 2013
del G.I.P. presso il Tribunale di Napoli, ha annullato detto provvedimento
limitatamente all’accusa del capo “13”, mantenendo l’applicazione della
custodia cautelare in carcere per il delitto del capo “5”.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore
Generale Vincenzo Geraci che ha concluso per la declaratoria di
inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Mazzarella Annunziata, ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso
l’ordinanza 13 febbraio 2013 del Tribunale di Napoli, che, decidendo sul
riesame contro l’ordinanza 29 gennaio 2013 del G.I.P. presso il Tribunale di
Napoli, ha annullato detto provvedimento limitatamente all’accusa del capo

Data Udienza: 14/05/2013

”13″, mantenendo l’applicazione della custodia cautelare in carcere per il
delitto del capo “5”, concernente la tentata estorsione aggravata ex art. 7
legge 203/91 in danno di Prezioso Emiliano.
La vicenda ha avuto la sua “premessa” nell’incontro del 19 gennaio
2012 tra il Prezioso, (commerciante di fuochi di artificio), e Ardis Natale
finanziatore, peraltro con tassi usurari I dell’impresa (in difficoltà) del
Prezioso, ed il suo “sviluppo” nel successivo incontro, all’interno del negozio
del commerciante, con più persone, tra cui l’Ardis e Mazzarella Annunziata,
moglie di Criscuolo Alfonso, genero di Mazzarella Gennaro.
Nel corso di tale incontro la ricorrente, con modi fermi ed alterati,
chiedeva al Prezioso la restituzione dei 120 mila C. – che gli erano stati
prestati dall’Ardis ma che ora erano “dovuti” al di lei marito Criscuolo
Alfonso- trattandosi di denaro necessario per pagare avvocati e carcerati,
alcuni dei quali stavano per uscire e, quindi, dovevano sapere che il
commerciante si era comportato bene.
I motivi di impugnazione e le ragioni della decisione di questa
Corte.

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza
ed erronea applicazione della legge, nonché vizio di motivazione sotto il
profilo che il delitto può considerarsi tentato solo se gli atti compiuti siano
“idonei” a commettere un reato e cioè siano in grado di creare un pericolo
per il bene tutelato dalla norma incriminatrice.
Per la difesa, la condotta della ricorrente,

presso l’esercizio

commerciale del Prezioso non poteva essere considerata “oggettivamente
tale” considerato che “probabilmente la frase pronunciata con toni
perentori e minacciosi aveva potuto incutere timore nella vittima” ma non
era certo idonea a dare corpo ad una pretesa estorsiva, potendo al massimo
realizzarsi una condotta ascrivibile nello schema dogmatico dell’art.115 cod.
pen.
Con un

secondo motivo si lamenta la ritenuta sussistenza

dell’aggravante ex art. 7 legge 203/91 (finalità e metodo) posto che nella
vicenda non era arguibile alcuna evocazione di matrice mafiosa.

(pregiudicato legato al clan Mazzarella), che si era proposto come

Con un terzo motivo si prospetta vizio di motivazione in punto di
affermate esigenze cautelari, considerata l’incensuratezza della donna ed il
ruolo marginale svolto.
Nessuno dei tre motivi è idoneo a superare la soglia
dell’ammissibilità.
mezzo di impugnazione, sia pure atipico, di sottoporre a controllo la validità
dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati nell’art.
292 cod. proc. pen. e ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del
provvedimento coercitivo: ne consegue che la motivazione della decisione
del tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere
conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui
all’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi necessari dal particolare
contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e
tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata
probabilità di colpevolezza (cfr. in termini: Sez. U, 11/2000 Rv. 215828 in
ricorso Audino).
Il controllo di legittimità è quindi preordinato nel nostro sistema ad
una doppia verifica: da un lato, quella della congruenza e della
coordinazione logica dell’apparato argomentativo, che collega gli indizi di
colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro,
quello della valenza sintomatica degli indizi.
Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, nel caso in cui,
come nella specie, la motivazione risulti adeguata, coerente ed esente da
errori logici e giuridici, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli
apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la
rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio.
Inoltre ed in particolare, il vizio di mancanza della motivazione
dell’ordinanza del riesame, in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non
risulti “prima facie” dal testo del provvedimento impugnato, restando
estranea alla valutazione di legittimità la verifica della sufficienza e della
razionalità della motivazione sulle questioni di fatto.

E’ noto che la richiesta di riesame ha la specifica funzione, come

Orbene applicati tali parametri di valutazione all’odierna fattispecie,
risulta incensurabile il coerente e persuasivo giudizio di merito del riesame
sulla funzionalità dei toni, perentori e minacciosi, che hanno connotato la
condotta dell’indagata nei contesti relazionali della tentata estorsione, la cui
finalità espressa è risultata essere quella di disporre del “denaro necessario

quindi, dovevano sapere che il commerciante, Emiliano Prezioso,

si era

comportato bene”.
Finalità così evidenziata che palesava, al di là di ogni ragionevole
dubbio e secondo massime di comune esperienza, la manifesta sussistenza
dell’aggravante di cui all’art. 7 del decreto legge 13 maggio 1991, n. 152,
convertito dalla L. 12 luglio 1991, n. 203.
Altrettanto adeguatamente motivato risulta il ricorso alla misura
cautelare in atto, attesa la persistenza delle condizioni di legge, non
invalidata dalle diverse argomentazioni della difesa della ricorrente.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Alla decisa inammissibilità consegue, ex art. 616 C.P.P., la condanna
della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, in
favore della Cassa delle ammende, che si stima equo determinare in C.
1000,00 (mille).

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di C. 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma il giorno 14 maggio 2013
r Il consigliere estensore

per pagare avvocati e carcerati”, “alcuni dei quali stavano per uscire e che,

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