Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23861 del 28/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 23861 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CASUCCI GIULIANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ILARDI MASSIMO N. IL 29/11/1968
avverso la sentenza n. 1359/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
26/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIULIANO CASUCCI
,
Udito il Procuratore Gpnerale in persqnqAel Dott. Po.4 (1Me
che ha concluso per A l im imuo…..SY;SA: 41 *1:4401» ;

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 28/05/2014

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 26 giugno 2012, la Corte di appello di Napoli, 5^ sezione
penale, in parziale riforma del la sentenza del GUP del Tribunale in sede appellata
dagli imputati e dal P.M, con la quale (per quello che in questa sede rileva) Ilardi
Massimo era stato dichiarato colpevole dei reati di partecipazione (con il ruolo di
intermediario) ad associazione per delinquere, aggravata ex art. 7 d.l. 152/91,
finalizzata alla commissione di reati di usura ed estorsione (capo A) nonché di

di Tarallo Giuseppe (capi C e C1) di Liguoro Tobia (capi H ed H1), di Pignatiello
Vincenzo (capo I), ritenuto il tentativo per l’ ipotesi di cui al capo Bl, riduceva la
pena inflitta, fermo restando il giudizio di prevalenza delle riconosciute attenuanti
generiche e ritenuta la continuazione, a tre anni otto mesi di reclusione e seicento
euro di multa.
La Corte territoriale, rammentato che le indagini avevano preso le mosse da un’
intercettazione ambientale all’ interno del carcere di Poggioreale e si erano poi
sviluppate arricchendosi del contenuto di altre intercettazioni e dichiarazioni che
consentivano di ricostruire l’ esistenza di articolata associazione per delinquere
collegata all’ organizzazione camorristica denominata “clan Sarno”, relativamente
alla posizione di Ilardi Massimo (pervenuta all’ odierna udienza a seguito di stralcio)
riteneva di confermare la decisione del primo Giudice anche sulla base delle
dichiarazioni rese in fase di collaborazione da parte dello stesso Ilardi. Quanto all’
estorsione di cui al capo B1 la sua responsabilità tuttavia si era arrestata alla soglia
del tentativo
Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso l’ imputato, che ne ha chiesto
I’ annullamento per i seguenti motivi:- violazione e falsa applicazione dell’ art. 606
c. 1 lett. c) cod. proc. pen. in relazione all’ art. 644 cod. pen. per essersi la
motivazione della sentenza impugnata limitata a trascrivere le dichiarazioni delle
persone offese senza adeguata e logica giustificazione delle ragioni della decisione;
– violazione e falsa applicazione dell’ art. 606 c. 1 lett.

c) cod. proc. pen. in

relazione agli artt. 56, 629 cod. pen. per difetto del presupposto del reato ovvero
della minaccia, con omissione di valutazione critica delle fonti di prova;
– violazione di legge ai sensi dell’ art. 606 c. 1 lett. b) cod. proc. pen. in relazione
all’ art. 62-bis cod. pen. perché la Corte di appello nel negare la concessione delle
attenuanti generiche non ha analizzato il contributo effettivo che il ricorrente ha
offerto con le sue dichiarazioni auto ed etero accusatorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I primi due motivi di ricorso sono inammissibili per genericità, perché a fronte
della motivazione della sentenza impugnata che ha posto a base della conferma

concorso nei delitti di usura ed estorsione ai danni di Ragozzino Mario (capi B e B1)

della valutazione di responsabilità in ordine al suo concorso nei delitti di cui ai capi
B e B1 ai danni di Ragozzino Mario proprio le dichiarazioni dell’ Ilardi, si limita a
lamentare omessa considerazione delle prove a favore ovvero semplice ed asettica
trascrizione delle dichiarazioni rese dalle persone offese.
2. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile per carenza di interesse. Già il primo
Giudice aveva ritenuto meritevole il ricorrente delle attenuanti generiche con
giudizio di prevalenza, decisione che sul punto è rimasta ferma, perché il Pubblico

3. IL ricorrente deve in conseguenza essere condannato al pagamento delle spese
processuali e di somma in favore della Cassa della ammende che, in ragione dei
profili di colpa rinvenibili nelle rilevate cause di inammissibilità, si quantifica in
mille/00 euro.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1000,00 alla Cassa delle ammende.

Ministero con il suo appello non aveva sollevato alcuna censura sul punto.

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