Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23857 del 14/05/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 23857 Anno 2013
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LANZA LUIGI

SENTENZA
decidendo sul ricorso proposto da Bortoluzzi Patrizia, nata il giorno 24
gennaio 1967, avverso il decreto di archiviazione, 2 ottobre 2012 del G.I.P.
presso il Tribunale di Belluno, nei confronti di Moreschi Carlo, nato il
giorno 6 giugno 1959, consulente tecnico d’ufficio in procedimento civile,
indagato per la contravvenzione di cui all’art. 64 comma 2 c.p.c..
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.
Vista la requisitoria del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto
Procuratore Generale Elisabetta Cesoui, che ha concluso per la declaratoria
di inammissibilità del ricorso, nonché la memoria del difensore di Moreschi
che ha chiesto la pronuncia di inammissibilità dell’impugnazione.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Data Udienza: 14/05/2013

Bortoluzzi Patrizia, persona offesa e non solo danneggiata secondo
l’assunto del suo difensore, ricorre avverso il decreto di archiviazione 2
ottobre 2012 del G.I.P. presso il Tribunale di Belluno, emesso nei confronti
di Moreschi Carlo, consulente tecnico d’ufficio in un procedimento civile (cui
la Bortoluzzi era interessata), indagato per la contravvenzione di cui all’art.

I motivi di impugnazione e le ragioni della decisione di questa
Corte.
I motivi di ricorso sono due, tra loro intrinsecamente collegati.
Con l’impugnazione viene dedotta: inosservanza ed erronea
applicazione della legge, sotto il profilo della mancata fissazione dell’udienza
camerale, in presenza di un tempestivo atto di opposizione della definita
“persona offesa”, e vizio di motivazione sull’asserita infondatezza della
“notitia criminis”.
In particolare e preliminarmente si contesta la negazione della
qualità di persona offesa alla Bortoluzzi, considerate le notazioni differenziali
tra il delitto di cui all’art.373 cod. pen. (falsa perizia o interpretazione) e la
contravvenzione ex art. 64 comma 2 c.p.c., qui contestata, tenuto conto
che:
a) nel primo caso, il codice penale sanziona la condotta del perito od
interprete, nominato dall’autorità giudiziaria, che abbia dato pareri o
interpretazioni mendaci, oppure abbia affermato fatti non conformi al vero;
b) nel secondo caso il codice di rito civile sanziona penalmente la
colpa grave del consulente tecnico d’ufficio

nell’esecuzione degli atti che

gli sono stati richiesti .
Il motivo è palesemente infondato.
In materia di procedimento civile, la “consulenza tecnica d’ufficio”
non costituisce un mezzo di prova, ma è finalizzata all’acquisizione, da parte
del giudice, di un parere tecnico necessario, o quanto meno utile, per la
valutazione di elementi probatori già acquisiti o per la soluzione di questioni
che comportino specifiche conoscenze (cfr. ex plurimis: Cass. civ. Sez.
Lavoro, Sentenza n. 9461/2010 Rv. 613512).
In altre parole, la consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio
in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione

64 comma 2 c.p.c..

di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di
specifiche conoscenze (Cass.civ. Sez. 6 – L, ordinanza n. 3130/2011 Rv.
615888).
Peraltro, come avviene per il delitto di falsa testimonianza, anche per
la contravvenzione in questione, il titolare esclusivo dell’interesse protetto

eventualmente danneggiato (cass. pen. sezione. 6, C.C. 15 novembre 2012,
Costantini, conforme, sezione 6, C.C. 22 novembre 2012, Testa), tant’è
vero che il bene oggetto di tutela non è solo la veridicità e completezza del
mezzo (sia esso una testimonianza oppure una consulenza tecnica d’ufficio
nel procedimento civile), ma anche l’obiettivo del giusto processo, inteso
anche come corretta e tempestiva risposta del sistema giudiziario ad una
richiesta di giustizia, in sede penale o civile.
Ne consegue che, nella contravvenzione sanzionata dal comma
secondo dell’art. 64 c.p.c., l’unica entità offesa è lo Stato-collettività e non
anche il soggetto privato, persona eventualmente danneggiata.
Da ciò la carente legittimazione della persona danneggiata a proporre
opposizione alla richiesta d’archiviazione, spettando questa facoltà
unicamente alla persona offesa, la quale deve essere identificata nel titolare
del bene giuridico immediatamente leso dal reato (cass.

pen. sez. 3,

6229/2009 Rv. 242532)
Va quindi ribadita la regola per cui non è legittimato a proporre
opposizione alla richiesta di archiviazione il privato danneggiato dal reato
commesso dal consulente tecnico d’ufficio, che sia incorso in colpa grave
nell’espletamento dell’incarico (art. 64, comma secondo, cod. proc. civ.),
trattandosi di fattispecie incriminatrice lesiva solo dell’interesse della
collettività al corretto funzionamento dell’attività giudiziaria (cass. pen. sez.
3, Ordinanza 43139/2012 Rv. 253600).
Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.
Alla decisa inammissibilità consegue, ex art. 616 C.P.P., la condanna
della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, in
favore della Cassa delle ammende, che si stima equo determinare in C.
500,00 (cinquecento).

dalla norma è lo Stato-collettività, e non anche il soggetto privato

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C. –S00,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il giorno 14 maggio 2013

consigliere estensore

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