Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23848 del 27/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 23848 Anno 2014
Presidente: CASUCCI GIULIANO
Relatore: MACCHIA ALBERTO

Data Udienza: 27/05/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MENNELLA SALVATORE N. IL 15/05/1972
ALI’ SALVATORE N. IL 02/08/1977
avverso la sentenza n. 4054/2011 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 20/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALBERTO MACCHIA
Udito il Procuratore G nerale in persona del Dott.
che ha concluso per
‘t°A.Ai”44477;

I

i;c9740

Udito, per la parte civile, l’Avv (2/W40 /1144144
Udit i difensor Avv. i(-1Ar

14.40 ovf:

h dmslí; 1/
1\194yf 4. 1,4

ktilair;

Con sentenza del 20 marzo 2013. La Corte di appello di Palermo ha
confermato la sentenza emessa, all’esito del giudizio abbreviato, dal Giudice per le
indagini preliminari del locale Tribunale in data 21 luglio 2011, con la quale
MENNELLA Salvatore e ALI’ Salvatore erano stati condannati alla pena di anni due
e mesi quattro di reclusione ed euro 600 ciascuno quali imputati del delitto di
estorsione perché nella rispettiva qualità di socio di fatti e di amministratore della
Kosmetica s.r.1., minacciavano due dipendenti di licenziamento ove non avessero
accettato di firmare delle buste paga per importi superiori alla retribuzione che veniva
effettivamente corrisposta quale remunerazione delle prestazioni dalle medesime
svolte. L’affermazione di responsabilità si era sostanzialmente basata sulle
dichiarazioni rese dalle persone offese, sulla documentazione acquisita, nonché
sull’esito di alcuni accertamenti relativi alla posizione degli imputati in seno alla ditta
presso la quale si erano svolti i fatti.
Propone ricorso per cassazione il difensore, il quale rinnovando censure già
dedotte e disattese in appello, lamenta che i giudici del gravame non abbiano tenuto
conto del fatto che le accuse della Vivoli Ivana in altro procedimento a carico del
MENNELLA in riferimento ad altre persone non avevano condotto alla condanna
dell’imputato, come da sentenza che era stata prodotta ed acquisita in appello. Le
dichiarazioni della Vivoli, d’altra parte, non erano state valutate nella loro globalità, il
che avrebbe permesso di valorizzarne le discordanze e la presenza di elementi agli
atti che ne smentivano l’attendibilità. Si prospetta, poi, il travisamento della prova in
riferimento alle dichiarazioni rese dalla Guadagno, altra parte offesa, e la scarsa
valorizzazione di quelle rese dalla teste Di Paola, mentre nessun apporto poteva
desumersi dalle dichiarazioni del marito della Vivoli, in quanto fonte del tutto
indiretta. Non sarebbero poi emersi comportamenti prevaricatori tali da legittimare la
condanna per estorsione e si censura, infine, la motivazione in ordine alla richiesta di
riesame della dosimetria della pena.
Il ricorso è palesemente inammissibile, in quanto, per un verso, si formulano
censure che coinvolgono aspetti di valutazione nel merito in ordine allo scrutinio
delle varie acquisizioni probatorie, a fronte delle motivate e congruenti
considerazioni svolte dai giudici a quibus per corroborare lo statuto decisorio già
enunciato sul punto in primo grado, mentre — sotto altro e concorrente profilo — le
censure stesse appaiono nella sostanza riprodurre le stesse doglianze già poste a base
dei motivi di appello e disattese dai giudici del grado, senza che le relative
argomentate repliche abbiano poi formato oggetto di una autonoma ed articolata
critica impugnatoria. La giurisprudenza di questa Corte è infatti ormai da tempo
consolidata nell’affermare che deve essere ritenuto inammissibile il ricorso per
cassazione fondato su motivi che riproducono le stesse ragioni già discusse e ritenute
infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La
mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua
1

OSSERVA

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Condanna altresì i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese sostenute nel grado
dalle parti civili Vivoli Ivana e Guadagno Francesca che liquida in complessivi euro
4.800 oltre accessori di legge, dei quali euro 2.400 a favore dello Stato essendo la
Guadagno ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
Così deciso in Roma, il 27 maggio 2014
Il Consigl è estensore

genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione
tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicazioni
del giudice censurato senza cadere nel vizio di specificità che conduce, a norma
dell’art. 591, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., alla inammissibilità della
impugnazione (Cass., Sez. I, 30 settembre 2004, Burzotta; Cass., Sez. VI, 8 ottobre
2002, Notaristefano; Cass., Sez. IV, 11 aprile 2001,; Cass., Sez. IV, 29 marzo 2000,
Barone; Cass., Sez. IV, 18 settembre 1997, Ahmetovic).
L’attendibilità delle fonti di accusa, infatti, ha formato oggetto di un attenti
sindacato da parte dei giudici del merito, attenti a verificare la congruenza intrinseca
dei narrati, a confrontarla con gli elementi di prova documentale acquisiti — cui
nessun apporto risulta essere stato fornito ex adverso dagli imputati — ed a smentire
la valenza di dichiarazioni di opposto segno, provenienti da soggetti non certo
qualificabili come “estranei” e “disinteressati” rispetto alla posizione degli imputati.
Quanto, poi, alle dichiarazioni della Di Paola ed al confronto fra le
dichiarazioni rese dalle due persone offese, la motivazione esibita nella sentenza
impugnata si presenta del tutto adeguata e logicamente ineccepibile, mentre la
asserita assoluzione del MENNELLA in altra vicenda processuale ove la Vivoli
avrebbe assunto la posizione di teste di accusa, non risulta in alcun modo
conducente, non essendo stato neppure dedotto che il proscioglimento dell’imputato
si fosse fondato sulla ritenuta inattendibilità della teste. Del pari incensurabile è la
motivazione offerta in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna dei ricorrenti
al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di
una somma che si stima equo determinare in euro 1.000,00 ciascuno alla luce dei
principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000. Gli
imputati andranno anche condannati in solido fra loro alla rifusione delle spese
sostenute nel grado dalle parti civili che si liquidano come da dispositivo.

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