Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23843 del 15/05/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 23843 Anno 2013
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LANZA LUIGI

SENTENZA
decidendo sul ricorso proposto da Mappa Francesco, nato il 21 settembre
1972, avverso la sentenza 6 dicembre 2011 della Corte di appello di Lecce
sezione distaccata di Taranto.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore
Generale Nicola Lettieri, che ha concluso per la declaratoria di
inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Mappa Francesco ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso la
sentenza 6 dicembre 2011 della Corte di appello di Lecce, sezione
distaccata di Taranto, che su appello del Procuratore generale, in riforma
della sentenza di assoluzione 17 luglio 2007 del G.U.P. presso il Tribunale di
Taranto, ha dichiarato la sussistenza del “delitto di esercizio abusivo della
professione di medico psichiatra, essendo egli sprovvisto dell’apposita

Data Udienza: 15/05/2013

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abilitazione dello Stato e finanche di laurea valida in Italia” (capo di
imputazione sub A).
1.) la motivazione della sentenza impugnata.

La decisione della Corte di appello, contrariamente all’assunto del
G.U.P., che aveva assolto il Mappa, ritenendo che le attività dallo stesso
condotta del Mappa, nella sua interazione con i “pazienti” D’Onghia Pietro,
Ristani Domenico, Laghezza Sibilia, Di Caponio Giovanna, Darseno
Antonietta, Utano Fernando, Lucarelli Cosimo, si è concretizzata in atti tipici
della professione di medico psichiatra.*
Conclusione questa, della corte distrettuale, sostenuta: a) dalle
parziali ammissioni dell’accusato; b) dalle dichiarazioni dei “pazienti” e dei
testi; c) dalla presenza, nella cancellata di ingresso dell’immobile, nel quale
l’imputato riceveva le persone per le sue “sedute”, di una tabella con la
scritta “Dr. in medicina e chirurgia. Psichiatria, Bioingegneria. Professore in
scienze criminologiche. Buxton University London”; d) dal versamento di
denaro, quale corrispettivo per la prestazione professionale svolta; e) dal
“diretto contatto con la psiche delle persone per la soluzione di problemi
psichici o psicologici”, nella specie depressione od altri disturbi o malattie
psichiche; f) dalla irrilevanza, attese le patologie curate, dell’asserzione
difensiva che nella specie si è trattato di “rapporti terapeutici di tipo
sociologico” ; g) dall’utilizzo della “psicanalisi” per la cura della balbuzie del
Ristani; h) dalla mancata prova dell’iscrizione nell’Albo dei medici nel Regno
Unito a seguito di laurea in medicina ivi conseguita.
I motivi di impugnazione e le ragioni della decisione di questa
Corte.

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza
ed erronea applicazione della legge, in relazione allo schema repressivo
dell’art. 348 cod. pen.
L’assunto difensivo è che il Mappa, come evidenziato dal G.U.P. non
avrebbe agito come “medico”, bensì come “sociologo clinico specializzato in
socioanalisi”, branchia specialistica della sociologia, considerato che lo stesso
risulta essere iscritto all’Associazione Nazionale Sociologi (ANS), al n. 700,
Dipartimento Puglia, sin da 2001.

realizzate non rientrassero nelle “pratiche mediche”, ha affermato che la

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A tal proposito, il ricorso rileva:
I) che l’accusato, il quale aveva conseguito la laurea in Psicologia negli
Stati Uniti (disciplina afferente il campo Sociologico) presso la Yorker
University nel 2001, si era appunto iscritto alla suddetta Associazione in
attuazione dell’art. 10 dello statuto dell’ANS il quale recita

“Possono

laureati in Sociologia o in discipline afferenti il campo sociologico, presso
Università italiane o straniere’:

Ed ancora, nel 2004 il Mappa aveva altresì

frequentato il corso di formazione in sociologia clinica conseguendo la
relativa attestazione rilasciatagli dall’Associazione di Sociologia Clinica
Italiana (n° 058/03).
II)

che la figura professionale del sociologo non è prevista o

disciplinata dal legislatore italiano e, proprio per tale motivo, non fa parte
delle professioni protette, per il cui espletamento è richiesta l’iscrizione ad
apposito albo così come previsto dalla norma, albo che, oltretutto, risulta
essere inesistente nel nostro Paese.
III) che l’obiettivo principale del sociologo clinico consiste nell’analisi
della personalità umana, intesa come unità sociale, tenendo conto
dell’interazione con altre strutture ambientali come eventi storici, relazioni
interpersonali e modelli culturali.
IV)

che il termine “clinico” non deve deviare l’attenzione su

problematiche di tipo medico o psicologico-professionale: al sociologo non
può che competere il ruolo di determinare il grado in cui contesto culturale
ed esperienza umana sono collegati al caos, alla devianza, all’emarginazione,
alle discontinuità di status, ai conflitti, all’imperfetta socializzazione ed alle
concezioni di sé atipiche;
V) che l’utilità dell’intervento di sociologia clinica consiste, pertanto,
nel cambiare, rimodellare e rieducare la personalità umana, ma anche nel
formare e plasmare quelle politiche sociali necessarie per trattare i problemi
di qualunque individuo.
Con un secondo motivo si lamenta vizio di motivazione per la
presenza di forzature e supposizioni a base del giudizio di colpevolezza.

richiedere l’iscrizione all ‘ANS i cittadini italiani o stranieri residenti in Italia,

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Nessuno dei due motivi merita accoglimento.
Innanzitutto, in punto di diritto, va rammentato che il disposto
normativo dell’art. 348 cod. pen. tutela gli interessi della collettività al
regolare svolgimento delle professioni (cfr. S.U. 11545/2011 Cani; cass. pen.

1999 Pastore) e che il delitto, è integrato – per quanto qui interessa- dallo
svolgimento delle attività di medico psichiatra, oppure di psicologo,
osicoteraDeuta, e osicoanalista in assenza del riconoscimento dei titoli
conseguiti in altri Paesi membri dell’Unione europea e della conseguente
iscrizione nei relativi albi professionali. (cass. pen. sez. 6, 46067/2007 Rv.
238326 Legge 18/02/1989 num. 56 art. 2 e 3; cass. pen. sez. 2,
43328/2011 Rv. 251375 ricorrente Giorgini; cass. pen. sez. 6, 14408/2011
Rv. 249895. Massime precedenti Vedi: N. 5838 del 1995 Rv. 201513, N.
22274 del 2006 Rv. 234727, N. 46067 del 2007 Rv. 238326, N. 22268 del
2008 Rv. 240257).
Inoltre nel nostro sistema didattico, universitario e formativo, va
operato un chiaro “discrimen” scientifico tra “sociologia” e “psicologia” che
risultano essere “discipline” diversificate nei contenuti, nelle attività e nelle
finalità, considerato che la sociologia si interessa e si occupa di “fenomeni
sociali” (politici, economici, giuridici) e della loro interdipendenza, attraverso
particolari tecniche di analisi e rilevamento statistico, mentre la psicologia
studia interpreta e valuta i “processi mentali del singolo individuo”, come
persona, ed i comportamenti che ne derivano.
Non a caso la I sezione civile di questa Corte regolatrice, in tema di
iscrizione all’albo degli psicologi, ha stabilito che la disposizione dell’art. 32
della legge n. 56 del 1989 – che, in sede di prima istituzione dell’albo,
consentiva allora, anche in mancanza dei titoli, l’iscrizione all’albo stesso a
chi avesse prestato attività di servizio “attinente” alla psicologia, ha ritenuto
che in tale attività non potesse intendersi compreso il servizio di ruolo
prestato da un soggetto quale “sociologo collaboratore presso una U.S.L.”,
riguardando tale disciplina un’attività ben diversa dalla psicologia (cfr.: cass.
civ. sez. 1, Sentenza n. 10551/1996 Rv. 500842 Min. Grazia e giustizia
contro Orefice).

sez 6, U.P.16 gennaio 1998, Striani; cass. pen. sezione 6, U.P.4 gennaio

Conclusione questa alla quale comunque si perviene a seguito
dell’esame comparato del corso di studi delle facoltà di sociologia italiane,
dal quale si evince la ricorrenza, quale comune denominatore, di tre
integrate finalità:
a)

individuare il mutamento in atto nelle società moderne,

lo sviluppo di schemi interpretativi capaci di leggere, analizzare e affrontare
tale cambiamento, in una logica interdisciplinare;
b) comprendere i fenomeni sociali, mediante l’uso di strumenti teorici
e di ricerca, che valgano ad interpretare la realtà che viviamo mediante
l’analisi delle relazioni sociali e delle regole che interpretano la convivenza
sociale, i rapporti tra gli individui e i gruppi;
c) formare competenze finalizzate alla identificazione e comprensione
degli eventi e dei processi della società contemporanea, attraverso
l’esercizio di ruoli di ricerca, progettazione, formazione, gestione e
valutazione di importanti interventi nell’ambito e per conto di diversi tipi di
organizzazioni economiche e culturali, nonché di istituzioni politiche e
sociali.
Non a caso, gli sbocchi professionali ed i contesti lavorativi per il
sociologo, suggeriti dagli atenei italiani, sono quelli di specialista in scienze
sociali e politiche sociali; specialista del personale e dell’organizzazione del
lavoro; operatore della ricerca sociale.
Da ultimo va ricordato che la legge 18 febbraio 1989, n. 56, che ha
disciplinato l’ordinamento della professione di psicologo (GU n.46 del 24-21989 ), all’art. 1, nel definire la professione di psicologo, ha stabilito che
essa comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la
prevenzione, la diagnosi, le attivita’ di abilitazione-riabilitazione e di
sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli
organismi sociali e alle comunità, comprendendo altresi’ le attivita’ di
sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito.
La stessa legge, all’art. 3, ha disposto, al comma 1: che l’esercizio
dell’attivita’ psicoterapeutica e’ subordinato ad una specifica formazione
professionale, da acquisirsi, dopo il conseguimento della laurea in
psicologia o in medicina e chirurgia, mediante corsi di specializzazione

inserendolo nei processi più ampi e globalizzati di trasformazione sociale, e

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almeno quadriennali che prevedano adeguata formazione e addestramento
in psicoterapia, attivati ai sensi del decreto del Presidente della
Repubblica 10 marzo 1982, n.162, presso scuole di specializzazione
universitaria o presso istituti a tal fine riconosciuti con le procedure di cui
all’art. 3 del citato decreto del Presidente della Repubblica; al comma 2:
competenza esclusiva della professione medica.
Orbene, in tale quadro, le conclusioni assunte dalla corte distrettuale
risultano corrette, aderenti alle emergenze processuali, in linea con gli
standard interpretativi fissati dalla giurisprudenza di questa Corte e,
pertanto, incensurabili in questa sede.
Invero il tentativo della difesa, di far leva in sede di impugnazione
(memoria depositata in appello, all’udienza del 14 giugno 2011, e odierno
ricorso) sulla non ascrivibilità delle condotte accertate a quelle “di esclusiva
pertinenza e competenza del medico” escludendo dal novero delle
“malattie”, sia la balbuzie che la depressione, ha trovato ineccepibile
risposta da parte del giudice di merito, qui solo osservandosi che, senza
ricorrere a raffinate analisi semantiche e tecniche, sia la balbuzie che la
depressione, in quanto annoverabili tra le sindromi che connotano i disturbi
della personalità, costituiscono patologie individuali che non rientrano nel
campo tipico delle competenze del sociologo.
Infatti la balbuzie (che lo stesso difensore a pag.1 della memoria
14 giugno 2011 definisce come disturbo multifattoriale della personalità) è
notoriamente connotata da un eloquio con frequenti ripetizioni o
prolungamento di suoni o sillabe o parole, oppure da frequenti esitazioni o
pause, essa determina disagio nella fluidità della coordinazione del
linguaggio, colpisce l’insieme dell’apparato vocale con spasmi tonici e clonici
e la sua causa, da analizzarsi -preliminarmente- rispetto a qualsiasi
trattamento terapeutico e di cura, è fatta dipendere sia da lesioni cerebrali
della prima infanzia, sia da particolari disposizioni psichiche corrispondenti a
fattori ed influssi esogeni.
Inoltre la balbuzie, se persistente -come nella specie- in persona
adulta, e, ove associata ad un disturbo evolutivo dell’eloquio o del
linguaggio, deve essere qualificata e trattata come una sindrome e disturbo

che agli psicoterapeuti non medici e’ vietato ogni intervento di

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da alterato sviluppo psicologico (cfr. Organizzazione mondiale della sanità.
ICD-10- Decima revisione della classificazione internazionale delle sindromi
e dei disturbi psichici comportamentali).
Appare quindi evidente la correttezza della decisione della Corte di
appello che ha negato al “sociologo” Mappa le competenze funzionali per il
A identiche conclusioni devesi pervenire per la cura della
depressione (caso D’Onghia ed altri), classificata nei manuali psichiatrici

come “disturbo dell’umore” con scale di gravità che possono giungere sino a
manifestazioni psicotiche (cfr. American Psychiatric Association, DSM 4,
Quarta edizione del Dia gnostic and Statistica/ Manual of Mental Disorder).
Anche in questo caso, ci si trova di fronte ad un disagio della persona
che esige competenze specifiche (non solo di tipo diagnostica), tipiche della
scienza medica-psichiatrica e non realizzabili da chi, come il sociologo,
dispone di una cultura universitaria e di una corrispondente preparazione
tecnica, non sperimentata, nel settore delle condizioni morbose della
persona, sindromi e/o dei disturbi psichici.
Né a diverse conclusioni è possibile pervenire alla stregua
dell’ostentata appartenenza dell’imputato alla categoria dei “sociologi
clinici”, disciplina nata negli USA, in contesti di ricerca sulla criminalità e la
delinquenza giovanile, ed applicata successivamente in Italia, in particolare
per la soluzione di tematiche concernenti l’educazione alla salute, l’
organizzazione dì comunità, la socializzazione, la realizzazione e gestione di
politiche sociali, considerato che, nel caso di specie, nessuna di tali puntuali
competenze può legittimare interventi diagnostici e di cura di patologie
quali la balbuzie e la depressione, interventi e trattamenti, lo si ripete, tipici
del medico psichiatra, dello psicologo o dello psicoterapeuta.
In proposito, le S.U. di questa Corte (sentenza 11545 del 15 dicembre
2011, Cani) hanno stabilito che concreta l’esercizio abusivo della professione,
non solo il compimento senza titolo, anche se posto in essere
occasionalmente e gratuitamente, di atti da ritenere attribuiti in via esclusiva
a una determinata categoria professionale, ma anche il compimento senza
titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva, siano
univocamente individuati come di competenza specifica di una data

trattamento di tale patologia di cui era affetto l’adulto Domenico Restani.

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professione, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità
tali, per continuità, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di
chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale
svolta da un soggetto regolarmente abilitato.
Nella vicenda, come opportunamente rilevato dalla Corte di appello, il

dello psicologo o dello psicoterapeuta si è accompagnato .41( con modalità
tali, per continuità (D’Onghia, Alfarano, Laghezza, Caponio, Darseno, Utano,
Luccarelli) onerosità (8 mila C. richiesti al d’Onghia per la cura della
depressione) organizzazione (apposizione all’esterno dello studio della tabella
con la scritta “Dr. in medicina e chirurgia. Psichiatria, Bioingegneria.
Professore in scienze criminologiche. Buxton University London”) da creare,
l’oggettiva ed invincibile apparenza di un’attività professionale svolta da
persona, con competenze specifiche, e regolarmente abilitata.
Il tutto senza dimenticare, come riferito in sentenza, che è stato
acquisito agli atti un biglietto da visita, dato dal Mappa al paziente Utano, dal
quale risultano i seguenti titoli: “Dott. in Medicina e Chirurgia; Psichiatra,
Psicologo e Sociologo clinico. Specialista in Ipnosi ed Ipnosi clinica. Esperto
in comunicazione”.
Il

ricorso pertanto risulta infondato, valutata la conformità del

provvedimento alle norme stabilite, nonché apprezzata la tenuta logica e
coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il giorno 15 maggio 2013
Il cons. est.

compimento, da parte dell’imputato, degli atti di competenza dello psichiatra,

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