Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23839 del 15/05/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 6 Num. 23839 Anno 2013
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LANZA LUIGI

SENTENZA
decidendo sui ricorsi proposti da Mino Paolo, nato il 22 giugno 1950,
Cozzolino Vincenzo, nato il giorno 24 aprile 1955, Scognamiglio Dardi°,
nato il giorno 24 marzo 1978, avverso la sentenza 25 settembre 2012 della
Corte di appello di Napoli.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore
Generale Nicola Lettieri che ha concluso per la declaratoria di
inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Biino Paolo, Cozzolino Vincenzo, Scognamiglio Danilo ricorrono, a
mezzo dei loro difensori avverso la sentenza 25 settembre 2012 della
Corte di appello di Napoli, la quale, decidendo in sede di rinvio, giusta
annullamento della I sezione della Corte di Cassazione in data 8 marzo

Data Udienza: 15/05/2013

2

2011, in punto di statuizioni di confisca, ha confermato le dette decisioni,
quali assunte dal G.I.P. presso il Tribunale di Napoli, con provvedimento 31
luglio 2006.
l.) la successione delle decisioni e la motivazione della
sentenza impugnata.

presso il Tribunale di Napoli in data 31.7.2006 gli imputati Paolo Biino,
Vincenzo Cozzolino e Danilo Scognamiglio venivano ritenuti colpevoli
(unitamente ad altri imputati): il Biino dei reati di cui ai capi 13 e 15
dell’imputazione (artt. 474, 648 c.p.); il Cozzolino dei reati di cui ai capi
1/bis, 13 e 15 dell’imputazione (artt. 416, 474, 648 c.p.); lo Scognamiglio
dei reati di cui ai capi 1/bis, 12 e 14 dell’imputazione (artt. 416, 474, 648
c.p.; 282/295 del D.P.R. n° 43/73). Come conseguenza della condanna i
predetti subivano anche la confisca dei beni sottoposti a sequestro,
pronunciata ai sensi dell’art. 12/sexies L. n° 356/92, con l’eccezione per il
Biino della somma di euro 65.313,84, depositata sul conto corrente n°
1000/1302, che veniva restituita.
La Corte di Appello di Napoli, a seguito del gravame proposto dagli
imputati, con sentenza 26 febbraio 2008, ratificava gli accordi intervenuti tra
P.G. ed imputati ai sensi dell’allora vigente comma 4 dell’art. 599 c.p.p., e
riduceva le pene inflitte nel giudizio di primo grado. Il Biino veniva così
condannato alla pena di anni uno di reclusione ed euro 600 di multa; il
Cozzolino e lo Scognamiglio venivano condannati alla pena di anni uno e
mesi sei di reclusione ciascuno. La Corte napoletana disattendeva, tuttavia,
la richiesta avanzata dai tre imputati, di restituzione di tutti quei beni,
oggetto di confisca in primo grado, diversi dal materiale contraffatto:
riteneva, infatti che l’accordo intervenuto ai sensi dell’art. 599 c.p.p. comma
4 cod proc. pen. implicasse automaticamente la rinuncia anche a tale
motivo di appello.
La Corte di Cassazione, però, con sentenza dell’8.3.2011, in
accoglimento dei ricorsi degli imputati, ha ritenuto che “…La sentenza
impugnata ha omesso la motivazione in merito all’applicazione della confisca;
la motivazione sommaria propria del rito speciale non può estendersi alla
misura di sicurezza patrimoniale della confisca, la cui applicazione richiede

Con sentenza emessa a seguito di giudizio abbreviato dal G.U.P.

3

invece una specifica motivazione in merito ai presupposti e alle condizioni di
applicabilità”; ed ha pertanto annullato la predetta decisione limitatamente
alla statuizione di confisca, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello
di Napoli per nuovo giudizio sul punto.
Il giudice di rinvio, con la gravata sentenza 25 settembre 2012 della
congiuntamente le posizioni di Vincenzo Cozzolino e del suo gruppo familiare,
da un lato, e quella di Danilo Scognamiglio (che è genero del Cozzolino) e del
suo gruppo familiare, dall’altro, essendo state esse insieme esaminate dalla
difesa, con prospettazione dei medesimi elementi giustificativi della titolarità
dei beni confiscati.
Risulta agli atti che la tesi difensiva, con la documentazione depositata
a supporto volta a giustificare la titolarità dei predetti beni, è stata
argomentata e basata sui seguenti quattro punti: 1) il Cozzolino, ed ancora
prima il padre, ha sempre svolto attività commerciale; 2) il Cozzolino e la
sua famiglia percepiscono canoni mensili relativi alla locazione a terzi di
abitazioni di loro proprietà; 3) in data 14.4.2000 il Cozzolino ha venduto
un’abitazione al prezzo di 272 milioni di lire; 4) l’attuale attività commerciale
del Cozzolino è intestata alla figlia Carmela Cozzolino ed ha un ampissimo
movimento di vendite.
La Corte di appello ha invece ritenuto che le giustificazioni difensive e
la documentazione posta a sostegno di esse siano assolutamente carenti,
fornendo in proposito, come si vedrà, una congrua e corretta
argomentazione. Quanto all’altro imputato Danilo Scognamiglio, la gravata
sentenza ha rilevato come nulla sia stato allegato e/o provato riguardo ad
eventuali redditi da lui percepiti.
La difesa (che ha trattato congiuntamente le posizioni del Cozzolino e
dello Scognamiglio) ha inteso infatti accomunare l’attività lavorativa del
Cozzolino a quella dello Scognamiglio, parlando, nell’ultima pagina della sua
memoria, di attività lavorativa dei Cozzolino-Scognamiglio: in tal modo
intendendo che la documentazione posta a supporto dei presunti redditi del
Cozzolino dovesse e potesse valere anche per lo Scognamiglio.
Per la corte distrettuale si tratta di asserzione difensiva assolutamente
immotivata, sfornita di qualsiasi elemento di supporto che possa far pensare

Corte di appello di Napoli, definito l’ambito della decisione, ha analizzato

4

ad un’attività lecita in comune tra i due (nel ricorso per cassazione si
sostiene che lo Scognamiglio era dipendente del Cozzòlino: ma non vi è
alcuna documentazione del reddito da lavoro dipendente da lui percepito).
In conclusione, la gravata sentenza, preso anche atto che i redditi
leciti del Cozzolino sono stati documentati in maniera assolutamente

allo Scognamiglio, ribadendo la medesima statuizione anche per i beni
formalmente intestati alla moglie ed ai genitori (ma trovati nella disponibilità
dell’imputato) nulla essendo stato infatti allegato eio provato riguardo ad
eventuali redditi da costoro percepiti e valendo quindi quanto detto circa i
beni intestati ai familiari del Cozzolino.
2.) I motivi di impugnazione e le ragioni della decisione della
Corte di legittimità.
La difesa di Biino con un unico motivo di impugnazione prospetta
violazione di legge, in relazione all’art. art.12 sexies del decreto legge 8
giugno 1992 n. 306, convertito nella legge 356 del 7 agosto 1992, e vizio di
motivazione per mancanza ed illogicità.
Il difensore di Cozzolino e Scognamiglio, con un primo ed unico motivo
di impugnazione deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge,
con riferimento all’art.12 sexies legge 356 del 7 agosto 1992, in relazione
alla totale sproporzione tra “confisca” e “danno da reato”.
Si osserva, nello specifico, che la sproporzione rilevante è quella che
determina non una qualsiasi difformità tra guadagni e capitali, ma quella che
si qualifica per un incongruo squilibrio tra i due valori, apprezzabile secondo
le comuni regole di esperienza, e riferita, non già al patrimonio come
complesso unitario, ma alla somma dei singoli beni nei momenti delle singole
acquisizioni.
Infine ed in conclusione, entrambi i difensori sostengono che la
disponibilità dei beni da parte dei ricorrenti è stata “ampiamente giustificata
attraverso produzioni documentali provanti la possibilità economica loro e dei
propri familiari, riconducibile al lavoro da questi svolto per anni e non già ad
attività illecite (pag.3 ricorso Cozzolino e Scognamiglio e pag. 3 ricorso
Biino).

insoddisfacente, ha confermato la confisca dei beni intestati direttamente

Ritiene il Collegio che, ferma restando la regola di diritto dianzi citata
sulla “sproporzione rilevante” e le “modalità di stima” del valore economico
dei beni (cfr. in termini Cass. Pen. Sez. 6, 721/2007 Rv. 235607), nessuna
violazione di norme sia ravvisabile nella motivazione della decisione
impugnata, avuto riguardo alle plurime e convergenti argomentazioni

ineccepibili alle osservazioni critiche dei ricorrenti, evidenziando nell’ordine:
a) che il Cozzolino ha sempre svolto attività commerciale e che dalla
lettura dei dati, risultanti presso la C.C.I.A.A. di Napoli è agevole rilevare che
tutte le imprese individuali e societarie facenti capo al Cozzolino risultano
cessate da lungo tempo: la ditta individuale e Vincenzo Cozzolino risulta
cancellata 1110.5.1990 per cessione di azienda; la società O.R.A. risulta in
liquidazione dal 3.1.1985; la società LAN risulta dichiarata fallita in data
30.4.1991; la partecipazione del Cozzolino alla WORL IMP.EX risulta cessata
il 30.7.1997 (tra l’altro, tale società è stata poi dichiarata fallita in data
7.11.2001); la partecipazione del Cozzolino alla B.C.F. Immobiliare risulta
cessata al 24.6.2003, e comunque la società risulta in liquidazione ancora da
prima, e cioè dai 18.3.2002; la partecipazione del Cozzolino alla ONLY
WATCHES risulta cessata all’11.6.1997;
b) che pertanto si tratta di attività di gran lunga risalenti nel tempo,
salvo che per la partecipazione alla B.C.F. Immobiliare;
c) che, in ogni caso, la difesa non ha in alcun modo documentato i
redditi percepiti negli anni dal Cozzolino in virtù delle sue predette attività
imprenditoriali, recenti (partecipazione alla B.C.F. Immobiliare) o più risalenti
nel tempo (tutte le altre attività sopra indicate), nè ha tanto meno
documentato la floridità economica ditali attività (due delle società, come sì è
detto, sono state addirittura dichiarate fallite),
d) che per superare il dato della risalenza nel tempo delle attività
commerciali dei Cozzolino, la difesa ha sostenuto che l’attuale attività
commerciale del Cozzolino è intestata alla figlia Carmela Cozzolino ed ha un
amplissimo movimento di vendite (vedi il sopra indicato punto 4);
e)

che, peraltro, va a contrario replicato che la fittizietà

dell’intestazione a Carmela Cozzolino (la quale è persona diversa da Floriana,
la figlia del Cozzolino, nonché moglie dello Scognamiglio, alla quale sono

utilizzate dalla corte distrettuale, la quale, ha dato risposte puntuali ed

6

stati sequestrati í beni) dell’attività commerciale, che sarebbe in realtà del
padre Vincenzo Cozzolino, risulta essere una mera asserzione difensiva,
sfornita di qualsivoglia prova;
f) che la produzione difensiva degli estratti delle dichiarazioni dei
redditi della società della Cozzolino Carmela dall’anno 2.000 all’anno 2004, è
evidenziare i modesti redditi lordi di impresa che si possono leggere sui
medesimi estratti;
g) che, quanto ai canoni percepiti per la locazione a terzi di abitazioni
(vedi il sopra indicato punto 2), la difesa sostiene che i relativi contratti si
trovano tra la stessa documentazione sequestrata, documentazione che
peraltro risulta restituita con provvedimento della Corte di Appello, sezione
II, dell’ 11.2.2009
h) che, considerata la circostanza che dal verbale di sequestro non è
dato evincere tali contratti di locazione da parte di chi sono stati stipulati ad
a favore di chi, la difesa non ha prodotto alcuna visura ipocatastale, volta a
comprovare la titolarità, da parte del Cozzolino e famiglia, dei beni immobili
che sarebbero stati locati e, soprattutto, non ha in alcun modo comprovato
l’effettiva percezione di canoni;
i) che per la vendita di un’abitazione effettuata in data 14.4.2000 dal
Cozzolino per il prezzo di 272 milioni di lire (vedi il sopra indicato punto 3),
non è stata documentata e non emerge in altro modo una contestualità
temporale o, quanto meno, una congruità temporale, tra la vendita e
l’acquisizione della titolarità di quanto sequestrato: non vi sono, quindi,
elementi per ritenere che il ricavato della vendita, tra l’altro nemmeno
particolarmente elevato, sia stato utilizzato per l’acquisto/sottoscrizione di
quanto in sequestro e non, invece, per altri fini ed in altro modo.
Tanto premesso ritiene questa Corte che su tali articolate
argomentazioni, prive di incoerenze o salti logici, nonché conformi ai principi
che regolano la materia, bene la corte distrettuale ha confermato la
pronuncia di confisca, in particolare dei beni intestati direttamente al
Cozzolino, ribadendo la medesima statuizione anche per i beni formalmente
intestati alla moglie Assunta Tarascio ed alla figlia Floriana Cozzolino.
Conclusione questa, assunta in quanto nulla infatti è stato allegato e/o

avvenuta con la valorizzazione dei soli componenti positivi di reddito, e senza

7

provato riguardo ad eventuali redditi percepiti dalle due donne, considerato
che l’attività economica di cui si parla negli atti e nelle memorie difensive è
intestata ad un’altra figlia del Cozzolino, Carmela).
Quanto all’imputato Paolo Biino la tesi difensiva (già portata avanti in
sede di impugnazione dei provvedimenti cautelari reali e ripetuta in appello)

dall’essere la moglie, Pasqualina Romano, percettrice di una somma di euro
500 mensili, quale contributo per l’assistenza fornita a tale Addolorata
Romano.
La Corte di appello, nel confermare la statuizione di confisca, ha
rilevato come appaia fin troppo evidente che un reddito di soli 500 euro
mensili è al di sotto dei limiti di indigenza e, pertanto, non può giustificare la
titolarità di alcunché (la restituzione della somma di euro 65.313,84 è stata
giustificata con la documentazione di una vincita al lotto); irrilevanti sono i
redditi dei figli, non essendo comprovata una loro contribuzione ai bisogni
familiari (è inoltre improbabile che il Biino e la consorte utilizzassero i redditi
dei figli per intestarsi polizze e titoli bancari, anziché per fronteggiare i
bisogni familiari).
Orbene un raffronto tra la motivazione della Corte di appello dianzi
sintetizzata e le censure formulate in sede di legittimità dai ricorrenti rende
immediato conto dell’inammissibilità delle doglianze proposte.
Al riguardo occorre invero precisare che le considerazioni del “duo
Cozzolino-Scognamiglio” e del Biino tendono ad offrire una loro propria
ricostruzione dei fatti e del patrimonio confiscato, delineando, in sostanza,
vizi rapportabili alla motivazione del provvedimento impugnato, senza
tuttavia considerare che l’indagine di legittimità è necessariamente
circoscritta a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo
svolto dal giudice di merito, il quale, una volta verificato e trovato -come
nella specie- indenne da vizi logico-giuridici, impedisce una diversa lettura
in punto di fatto ed una diversa ricostruzione delle risultanze processuali,
anche se prospettata in maniera più utile per il ricorrente (cfr. ex plurimis:
Cass. Penale sez. II, 15077/2007, Toffolo).
I ricorsi vanno pertanto dichiarati inammissibili.

si è sviluppata nel senso che la titolarità dei predetti beni sarebbe giustificata

Alla inammissibilità segue la condanna dei ricorrenti alle spese del processo
e, ciascuno, alla somma che si ritiene equa di C. mille in favore della cassa delle
ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle

Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il giorno 15 maggio 2013
Il cons. est.

spese processuali e ciascuno a quelì, della somma di C. 1.000,00 in favore della

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA