Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23838 del 14/05/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 23838 Anno 2013
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LANZA LUIGI

SENTENZA
decidendo sul ricorso proposto da Nocera Giovanni, nato il giorno 9
dicembre 1978, avverso la sentenza 26 gennaio 2011 della Corte di appello
di Catanzaro.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore
Generale Vincenzo Geraci che ha concluso chiedendo l’annullamento con
rinvio della gravata sentenza.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOCERA Giovanni, accusato del delitto del capo 31, violazione degli
artt. 110, 81, 644 comma 5, n. 3 e 4 cod. pen. e 7 del decreto legge 13
maggio 1991, n. 152, convertito dalla L. 12 luglio 1991, n. 203 (persona
offesa Francese), è stato ritenuto dal G.U.P. responsabile del delitto
aggravato ai sensi dell’ad 644 comma 5 c.p., ed esclusa la circostanza

Data Udienza: 14/05/2013

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aggravante di cui all’ad 7 L. 203/1991 ed applicata la diminuente per la
scelta del rito, è stato condannato alla pena di anni uno, mesi nove, giorni
dieci di reclusione ed euro 3.000,00 di multa e la Corte di appello ha
confermato la decisione di primo grado.
La posizione del Nocera, ricorrente nel processo a carico di Adduci +23

stralciata all’udienza del 7 marzo u.s. per irritualità della notifica.
1.) i motivi di appello e la motivazione della sentenza
impugnata.
Il Nocera è accusato di essersi fatto promettere e consegnare da
Francese Lorenzo, in concorso con altre persone non determinate, interessi
in misura pari al 10% al mese, come corrispettivo di un prestito di 50 mila

C..
Dalla narrativa della decisione della Corte di appello di Catanzaro
(pag.165 e seguenti) risulta testualmente che il difensore, nel suo atto di
appello, ha lamentato, in relazione a detta condanna, l’omessa
considerazione della documentazione difensiva depositata, più che idonea a
disattendere in radice il narrato della persona offesa Francese Lorenzo.
In particolare si è rilevato che il Francese, già in sede dibattimentale
(nel processo ordinario celebratosi davanti al Tribunale di Castrovillari),
all’udienza del 9.6.2009, aveva reso dichiarazioni difformi da quelle
accusatorie, utilizzate nella decisione dal G.I.P., negando il rapporto
usurario e l’imputato, a sua volta, sin dall’interrogatorio di garanzia, aveva
spiegato i rapporti con il Francese giustificandoli con relazioni di natura
commerciale in base alle quali, negli anni 2004-2005, il Nocera aveva
consegnato alla persona offesa (proprietaria di una società di
trasformazione industriale) degli agrumi.
Le dichiarazioni del Francese erano state ritenute intrinsecamente
contraddittorie in quanto, da un semplice calcolo matematico, emergeva
che il debito complessivo verso il Nocera, in virtù del rapporto per il quale è
processo, non ammontava a 110.000 euro ma, tenendo conto di quanto
riferito dal Francese, a 90.500 euro o, al più, a 99.000 euro (anche in
considerazione del contenuto dell’intercettazione ambientale del 4.7.2005).
Peraltro, sulla reale natura del rapporto, l’appello richiamava il

(conclusosi con sentenza di annullamento con rinvio n.17912/13) è stata

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contenuto della conversazione del 5.5.2005 nella quale il Francese, parlando
proprio con il Nocera, gli diceva di doverlo ringraziare per l’aiuto che gli
stava dando.
Ciò consentiva, a dire della difesa, di leggere anche “l’offerta del
capannone da parte del Francese al Nocera” non già come frutto della

una persona ritenuta disponibile. L’esistenza dei rapporti commerciali tra i
due era stata ampiamente provata e confermata dallo stesso Francese il
quale, in data 4.7.2005 (ossia quando sapeva di essere intercettato) aveva
usato espressioni astiose verso il Nocera; espressioni che non erano quindi
attendibili ai fini del giudizio di colpevolezza espresso nella sentenza
appellata.
Non era credibile, infine, quanto affermato dal Francese nel verbale
di s.i.t. del 13.7.2005 in merito ad un suo credito verso il Nocera per una
partita di arance vendute in nero in quanto non coerente rispetto a tutte le
altre risultanze istruttorie: Francese acquista e non vende, ha una industria
di trasformazione, l’eventuale disponibilità di agrumi l’avrebbe utilizzata
nella sua industria.
Peraltro la reale natura dei rapporti tra i due era emersa anche alla
luce delle indagini difensive consistite nell’audizione dei signori Larosa
Francesco, Larosa Domenica, Di Bartolo Antonino, Berrica Rocco, Mannella
Rosa, Restuccia Francesco, Furfaro Giuseppe, Donato Gregario.
L’appello si concludeva pertanto con la richiesta di assoluzione
dell’imputato dal reato ascrittogli con formula ampia.
A fronte di tali dettagliati rilievi critici espressi nell’atto di gravame, la
Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza oggi impugnata, ha
confermato la decisione del G.U.P. nei termini che testualmente si
trascrivono (pag.212)

“CAPI 31), 32): Le dichiarazioni della persona offesa

Francese Lorenzo sono risultate precise, chiare e puntuali, idonee a
rispondere positivamente al vaglio di credibilità intrinseca. Esse,
considerate unitamente al notevole compendio intercettívo formato per
effetto delle captazioni sulle utenze telefoniche e all’interno dell’autovettura
del medesimo Francese, possiedono evidente efficacia dimostrativa della
colpevolezza degli imputati NOCERA GIOVANNI e DE FRANCESCO PIETRO in

costrizione del creditore, ma come spontanea proposta del debitore verso

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ordine ai reati rispettivamente ascrittr.
2.) i motivi di impugnazione e le ragioni della decisione della
Corte di legittimità.

Con un primo motivo di impugnazione la difesa del Nocera deduce
inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonché vizio di
Lorenzo persona offesa, della quale non è stata verificata l’attendibilità
intrinseca ed estrinseca, nonostante la scarsa precisione del suo dire, le
rilevate e documentate contraddizioni, e l’interesse personale a coltivare
l’accusa, in un quadro relazionale in cui non sarebbe emersa la reale natura
del rapporto tra imputato e pretesa vittima.
Con un secondo motivo si lamenta il mancato riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche a fronte di una condotta “non
particolarmente inquietante sotto il profilo sociale”.
Il primo motivo è fondato, come illustrato dallo stesso Procuratore
generale, ed il suo accoglimento assorbe la seconda censura.
Ritiene infatti la Corte, come già deliberato da questa stessa sezione
(in altra parziale diversa composizione collegiale: sentenza Adduci e De
Francesco, n.17912/13 del 7 marzo 2013), che la gravata sentenza di
condanna, pronunciata nei confronti del Nocera, debba essere annullata con
rinvio, negli stessi termini deliberati nei confronti di De Francesco Pietro,
altro ricorrente, destinatario della medesima identica giustificazione a
sostegno della conferma del giudizio di responsabilità.
Le argomentazioni in concreto utilizzate dalla corte distrettuale e
dianzi trascritte non rispondono alle connotazioni di adeguatezza e
minimalità richieste per una decisione di condanna, sia pure confermativa di
un precedente giudizio di colpevolezza.
Invero, anche se la motivazione può ben consistere in una concisa
esposizione delle ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della
decisione, non rilevando tanto il numero e l’estensione delle proposizioni
destinate a tale scopo quanto piuttosto il contenuto, la chiarezza e la validità
argomentativa delle stesse, nonché la coerenza logica della risposta fornita ai
rilievi critici delle parti (cf. in termini cass. peri. sez. 6, 14407/2009, r.v.
243266), resta comunque l’obbligo del giudice di appello di confrontarsi con

motivazione sotto il profilo della ritenuta usura in danno di Francese

gli elementi di fatto richiamati dall’appellante e con le ragioni di diritto dal
medesimo addotte; né tale obbligo può essere soddisfatto dal semplice
richiamo della sentenza di primo grado (assente nel caso) o da una
motivazione “implicita”, che non può essere considerata come equipollente
dell’esame dei punti controversi e della puntuale risposta doverosa alle
Si nota infatti in dottrina che, ove il sindacato della Corte Suprema
fosse limitato all’accertamento dell’esistenza di una “motivazione minima”
(una sorta di

“quanto basta”

indeterminato e, perciò, mutevole

arbitrariamente, a seconda dei casi), in assenza di un corrispondente palese
rigoroso scrutinio giuridico e logico, che valga ad impedire il formarsi di una
tentazione conservativa, la funzione del controllo che ad essa è attribuito si
ridurrebbe alla difesa del precedente decisum, in nome di un’inesistente
presunzione relativa di validità e di fondatezza della decisione impugnata.
Tuttavia, come più volte precisato da questa Corte di legittimità,
attese le due peculiarità del rito d’appello (assoluta pienezza della
cognizione; ambito limitato ai punti della decisione devoluti con motivi
specifici) il giudice di secondo grado deve, con motivazione non apparente e
immune dai vizi logici della contraddittorietà e della manifesta illogicità,
confrontarsi quantomeno con quegli elementi e quelle ragioni indicate dalle
parti pubblica e privata, sotto comminatoria di inammissibilità, e, più
esaustivamente, con la correttezza giuridica e di merito del punto della
decisione investito da quel motivo, tenendo conto dell’intero contenuto del
fascicolo del giudizio di primo grado e non solo di quanto argomentato dal
giudice di primo grado (cfr. per tutte, per la sua chiarezza: cass. pen. sez.6,
29638/2010, annulla con rinvio sentenza 11 luglio 2008 Corte di appello
Catanzaro).
Nello specifico, il giudice dell’appello doveva dimostrare di avere
sottoposto a rinnovato ed autonomo vaglio il punto della decisione
devolutogli, consentendo così alle parti ed al giudice di legittimità la verifica
logica – con riferimento ai parametri di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett.

– del ragionamento che sostiene il percorso di questo vaglio autonomo
nonché dalla sintesi valutativa che lo conclude.
Il vizio di motivazione è inoltre integrato, non soltanto da assenza

argomentazioni della parte interessata.

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grafica di un apparato argomentativo, ma anche quando la motivazione sia
apparente o apodittica o tautologica, con la conseguenza che il vizio si
esprime non solo nella mancanza di motivazione sull’intera regiudicanda, ma
anche per l’assente motivazione sui passaggi logici fondamentali
nell’articolazione del ragionamento probatorio o su uno degli elementi tipici
Infine, va sottolineato che, non avendo il legislatore fornito indicazioni
sullo “stile” della sentenza d’appello di cui all’art. 605 cod. proc. pen., salvo
le caratteristiche formali che sostanziano i requisiti di ogni sentenza ex art.
546 cod. proc. pen., ciò che conta è che all’interno della complessiva
motivazione sia possibile individuare l’avvenuto, concreto, essenziale e
puntuale vaglio autonomo dei punti specifici devoluti dall’impugnazione ed il
percorso argomentativo che lo ha accompagnato (cfr. 29638/10 citata).
Evenienza nella specie non realizzata, con conseguente necessità di un
annullamento per nuovo giudizio, con rinvio ad altra sezione della Corte di
appello di Catanzaro, la quale nella piena libertà delle valutazioni di merito di
competenza, porrà rimedio al rilevato vizio di motivazione, considerato che il
percorso argomentativo, seguito dal giudice del gravame, per giungere
all’affermazione della colpevolezza dell’imputato, si rivela carente sul piano
della giustificazione logico-giuridica della decisione assunta ed in relazione
alla specificità delle critiche formulate.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra Sezione
della Corte di appello di Catanzaro.
Così deciso in Roma il giorno 14 maggio 2013
consigliere estensore

del reato.

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