Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23798 del 30/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 23798 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Pavani Giorgio, nato a Bondeno 11 13/10/1945
avverso la sentenza del 14/12/2011 della Corte d’appello di Bologna R.G. n. 3289/2009
visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso e la memoria depositata nell’interesse del
ricorrente;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione svolta dal Consigliere Dott. Giuseppe De Marzo;
udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. Carmine Stabile, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 14/12/2011, parzialmente riformando la
sentenza di primo grado, ha ritenuto Giorgio Pavani, amministratore unico della ACMA s.r.l.
dal 13/05/1998 alla data del fallimento (06/07/2001), responsabile dei reati: A) di bancarotta
fraudolenta documentale, per avere tenuto le scritture contabili in guisa da non rendere
possibile la ricostruzione e la movimentazione degli affari e, in particolare, perché nel conto
credito verso i clienti non erano indicati i debitori della società né la natura dei crediti e nel
conto finanziamento soci per gli anni 2000/2001 non vi erano documenti contabili relativi a
prelievi per lire 538.600.937; B) di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per avere distratto
dal patrimonio societario beni per un valore complessivo di lire 433.732.744.
2. La Corte territoriale, esclusa la qualificazione in termini di testimone indiretto dell’avv.
Bova, curatore subentrato al primo curatore nominato, avv. Cogliandro, ha rilevato, quanto
alla bancarotta documentale: A) che l’impossibilità di ricostruzione del movimento degli affari

Data Udienza: 30/04/2013

riguardava gli anni 2000 e 2001, in relazione ai quali non erano stati tenuti i registri IVA
degli acquisti e delle vendite, talché del tutto irrilevanti erano gli esiti della verifica della
Guardia di Finanza, che si era arrestata al 1999; B) che nel conto crediti verso clienti erano
indicati solo tre debitori, che “ovviamente e pacificamente” non esaurivano la platea dei
clienti della società, e che l’impossibilità di ottenere ulteriori indicazioni in ordine ad altri
rapporti commerciali e finanziari e alla loro natura discendeva dal fatto che nella contabilità,
per quegli anni, non vi erano neppure le fatture; C) che, quanto al conto finanziamento soci,
risultavano prelievi per lire 192.948.800 in data 31/12/2000 e per lire 161.652.137 in data

Quanto alla bancarotta patrimoniale, la sentenza impugnata ha sottolineato che, limitandosi
alle categorie dei beni di maggiore rilievo, anche detraendo il deprezzamento temporale dei
cespiti, secondo le indicazioni del consulente dell’imputato, si giungeva ad un valore di 150
milioni di lire. Tali beni risultavano poi, attraverso quattro fatture, una in favore della SICIM
e tre in favore della Pavani Group, ceduti per lire 5.100.000, ossia ad 1/30 del loro valore,
senza che vi fosse alcun riscontro dell’incasso e della destinazione di tale somma.
3. Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti
motivi.
3.1. Il ricorrente, dopo avere ribadito che il secondo curatore deve essere considerato
testimone indiretto, lamenta motivazione apparente e violazione di legge.
In particolare, quanto alla bancarotta documentale, si rileva: a) che la Corte territoriale
trascurando le considerazioni svolte dal consulente dell’imputato, non aveva spiegato per
quale ragione aveva ritenuto impossibile la ricostruzione del movimento degli affari, pure
operata dal citato consulente; b) che, con riferimento ai prelievi dal conto finanziamento
soci, mancavano documenti contabili, in quanto per i prelievi di importo inferiore ai 20
milioni di lire, era all’epoca esclusa ogni tracciabilità; c) che, in ogni caso, come riconosciuto
dal curatore, non era stata operata alcuna verifica, al fine di accertare se, prima del gennaio
2000, i soci avessero o no versato tali somme nelle casse sociali, anche se il positivo
accertamento operato dalla Guardia di Finanza sulla tenuta della contabilità aveva escluso
ogni irregolarità; d) che i creditori della società erano indicati e che la Corte territoriale non
aveva spiegato in forza di quali considerazioni la platea dei primi fosse più estesa.
Con riguardo alla bancarotta patrimoniale, si rileva che la società fallita si era limitata ad
alienare tutti i beni strumentali facenti parte dell’attivo aziendale e che il valore attribuito agli
stessi non dimostra l’esistenza di una distrazione.
4. Sempre nell’interesse dell’imputato è stata depositata memoria.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato.
Con riferimento all’affermata natura de relato delle dichiarazioni del curatore, va sottolineato
che l’art. 195, comma 1, cod. proc. pen., riguarda il caso che il teste si riferisca, per la
conoscenza dei fatti, ad altre persone.

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31/03/2001, sforniti di qualunque “pezza d’appoggio”

Nella specie, la Corte territoriale ha chiarito che il secondo curatore ebbe ad eseguire gli
accertamenti necessari all’espletamento del suo mandato, esaminando le scritture contabili a
disposizione, sulle quali si basa la verifica dei fatti posti a base della decisione.
Tale conclusione riposa sulla considerazione che, nel caso concreto, l’affermazione di
responsabilità dell’imputato si fonda sull’inidoneità delle scritture documentali esistenti a
consentire la ricostruzione del patrimonio o il movimento degli affari, nel senso che verrà
specificato infra, e sull’esistenza di condotte distrattive che emergono dalla verifica degli atti.
Le dichiarazioni valorizzate dal ricorrente a sostegno della propria censura concernono, del

ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato, con pronuncia
non investita dal ricorso, e persistente operatività dell’ACMA s.r.I., che, per le ragioni che
verranno esaminate infra, non assume significato rispetto alla bancarotta fraudolenta per
distrazione) o fatti sostanzialmente incontroversi – il mancato rinvenimento di beni, dovuto
alla vendita degli stessi -, rispetto ai quali si pone il diverso problema, approfondito
nell’ultimo motivo di ricorso, del significato di tale circostanza e della sua sussumibilità
all’interno della fattispecie contestata.
2. Quanto alle questioni di merito, deve premettersi che, essendosi in presenza di una
doppia pronuncia conforme in punto di penale responsabilità dell’imputato, le motivazioni
delle due sentenze di merito vanno ad integrarsi reciprocamente, saldandosi in un unico
complesso argomentativo (cfr., in motivazione, Sez. 2, n. 46273 del 15/11/2011, Battaglia,
Rv. 251550).
Ciò posto, va, in primo luogo, rilevato che è sono infondate le censure che concernono
l’accertata esistenza della bancarotta documentale.
Al riguardo, va ribadito che sussiste il reato di bancarotta fraudolenta documentale non solo
quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le scritture
contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi
fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza (Sez.
5, n. 21588 del 19/04/2010, Suardi, Rv. 247965).
Ora, le considerazioni di carattere generale svolta dal ricorrente non dimostrano alcun vizio
motivazionale della sentenza impugnata, che ha concentrato la sua attenzione su due profili
di sicuro rilievo: il fatto che nel conto crediti verso clienti fossero indicati solo tre debitori, a
fronte di una più ampia platea dei clienti della società e l’assenza di documentazione
giustificativa dei prelievi dal conto finanziamento soci.
2.1. Rispetto al primo di essi, il ricorrente rileva che le scritture relative al bilancio di
apertura dell’anno 2001 consentono di identificare — ciò che non è controverso — i nominativi
di tre debitori e l’importo delle loro obbligazioni e che, per altro verso, la Corte territoriale
non aveva illustrato le ragioni per le quali aveva ritenuto che la platea dei primi dovesse
essere più ampia.

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resto, o circostanze irrilevanti (pagamenti preferenziali, in relazione ai quali la Corte d’appello

Tuttavia, nel paragrafo 1 della sentenza di primo grado si legge che il libro giornale del 2000
conteneva voci relative a “crediti di dubbia esigibilità” e a “debitori diversi” ciascuna per
diverse centinaia di milioni di lire, senza che fosse possibile risalire ai fatti gestionali e quindi
verificare la possibilità di un loro recupero.
Nel paragrafo 3 della sentenza di primo grado si sviluppano tali considerazioni, rilevando che
“la voce crediti verso clienti che ad inizio anno era di oltre 187 milioni, a fine anno risultava
azzerata per compensazione”, senza che la documentazione esistente consentisse di stabilire
l’esistenza effettiva dei crediti, la natura e il fondamento dei crediti e dei debiti opposti in

quattro debiti che risulterebbero estinti dall’operazione di compensazione sono comunque di
importo inferiore ai menzionati crediti verso clienti”. Sempre nel medesimo paragrafo si
rileva l’assoluta genericità dello storno di crediti per 335 milioni di lire verso “debitori diversi”
e l’assoluta opacità delle annotazioni relative ai “crediti per effetti attivi” del valore di 150
milioni di lire, estinti per altrettanto opache “sopravvenienze passive”.
Del resto, come ricorda nel paragrafo 5 la sentenza di primo grado, anche il consulente
dell’imputato aveva ammesso, con riferimento ai crediti genericamente indicati, che
“chiaramente sono crediti verso clienti, quindi dovuti a forniture, non è riscontrabile dalla
scrittura contabile quale fosse il rapporto sottostante, bisognerebbe vedere le fatture…”,
fatture mancanti in contabilità.
In tale contesto, non attinto da alcuna specifica censura, la motivazione della Corte
territoriale che ha ritenuto del tutto inappagante la mera indicazione di tre debitori non
esibisce alcuna carenza argomentativa o manifesta illogicità.
2.2. Quanto al secondo profilo, relativo all’assenza di documentazione giustificativa dei
prelievi dal conto finanziamento soci, le critiche del ricorrente non colgono nel segno, dal
momento che, vertendosi in tema di bancarotta documentale, non si trattava di accertare
l’esistenza o non del precedente finanziamento (e questo sebbene, per quanto emerge dalla
sentenza impugnata, anche consulente dell’imputato, a riprova dell’opacità delle scritture,
avesse ammesso che la stessa voce “finanziamento soci” potesse anche rappresentare “una
mera postazione contabile dovuta ad altre motivazioni”: pag. 4 della sentenza di secondo
grado), ma di verificare alla stregua di quali atti la restituzione fosse stata decisa e con quali
modalità fosse stata eseguita. E, proprio a quest’ultimo, decisivo, riguardo, la sentenza di
primo grado chiarisce che non risulta alcuna delibera avente tale oggetto e che la partita
contabile faceva riferimento ad un sodo, senza neppur chiarire chi dei quattro soci avesse
beneficiato della restituzione. A ciò deve aggiungersi che la non prevista tracciabilità delle
operazioni di importo inferiore a 20 milioni di lire non esonera l’imprenditore dall’obbligo di
rappresentare adeguatamente i fatti gestionali dell’impresa.
3. Quanto alla bancarotta fraudolenta, ribadito che, come osserva lo stesso ricorrente, la
questione proposta investe non il fatto verificatosi, ma la sua qualificazione (talché irrilevanti
appaiono le questioni relative alla cessazione o non dell’attività), osserva la Corte che, a

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compensazione e comunque la destinazione dei 36 milioni di crediti residui, posto che “i

fronte di una stima dei valori operata dalla Corte territoriale non oggetto di alcuna critica,
integra un fatto distrattivo la vendita di beni aziendali ad un prezzo irrisorio (Sez. 5, n.
09/02/2010, n. 11959, Di Sabato, in motivazione), in larga parte in favore di società (la
Pavani Group s.r.I.) riconducibile allo stesso imputato e peraltro senza che vi sia alcun
riscontro sulla destinazione della somma incassata.
4. Alla decisione di rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.

Così deciso in Roma il 30/04/2013

Il Componente estensore

Il Presidente

Rigetta il ricorso e condanna i! ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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