Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23797 del 19/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 23797 Anno 2013
Presidente: GRASSI ALDO
Relatore: DEMARCHI ALBENGO PAOLO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ZANETTIN GIANFRANCO N. IL 05/06/1952
avverso la sentenza n. 315/2011 CORTE APPELLO di TRENTO, del
13/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBENGO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 19/04/2013

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Eduardo Vittorio
Scardaccione, ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della
sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Per la parte civile è presente l’Avvocato Condoleo in sostituzione
dell’avv. Mele, il quale conclude chiedendo rigettarsi il ricorso e
confermarsi il provvedimento impugnato. Deposita nota spese.

1.

Zanettin Gianfranco propone ricorso per cassazione contro la

sentenza della Corte d’appello di Trento che, in parziale riforma della
sentenza del tribunale di Trenta, gli concedeva il beneficio della
sospensione condizionale della pena. La Corte confermava nel resto la
sentenza di condanna alla pena di mesi quattro di reclusione ed al
risarcimento del danno, quantificato in euro 15.000, per il reato di
diffamazione commessa ai danni di Morandini Massimo, quale magistrato
del tribunale di Bassano del Grappa.
2.

I motivi di ricorso sono i seguenti:
a.

invalidità della procura alle liti inserita nell’atto di costituzione
di parte civile. Secondo il ricorrente la procura sarebbe
invalida per difetto di specificità.

b.

Erronea applicazione della legge penale con riferimento alla
pluralità delle persone necessarie per integrare il reato di
diffamazione.

c.

Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione
dell’articolo 62 bis del codice penale per non essersi tenuto
conto della minima gravità del reato e della capacità a
delinquere dell’agente.

d.

Contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione.

e.

Mancata valutazione del motivo di impugnazione relativo alla
liquidazione operata dal giudice di primo grado.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile a cagione della sua
genericità, dal momento che non spiega in concreto perché vi

1

RITENUTO IN FATTO

,

sarebbe il vizio lamentato; si deve rilevare, inoltre, che sulla predetta
eccezione, già sollevata con l’atto di appello, la Corte d’appello ha già
risposto alla pagina 7 ed il motivo è pertanto meramente ripetitivo,
non introducendo elementi significativi di novità.
2.

Il secondo motivo di ricorso è inammissibile prima di tutto ai sensi
dell’art. 606, ult. Co., perché mancava un analogo motivo di appello
e poi perché si intende rimettere in discussione un elemento di fatto,
la pluralità di persone, che non può essere oggetto di revisione in

di merito insindacabile in questa sede, che il fatto si sia svolto alla
presenza almeno dell’ufficiale giudiziario, della moglie dell’imputato e
della figlia (cfr. pagg. 3-4 e 9, primo capoverso).
3. Il terzo motivo di ricorso contiene ancora una volta una censura su un
elemento di valutazione riservato al giudice di merito, senza che sia
evidenziata una specifica violazione di legge; il ricorrente si limita a
contestare la valutazione operata dai giudici di merito, ritenendo che
le attenuanti generiche dovessero essere concesse.

4. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile prima di tutto perché
ripetitivo del motivo di appello, senza che siano introdotti elementi di
novità ed addirittura riproducendo integralmente le motivazioni a
sostegno della censura sollevata con quell’impugnazione. In secondo
luogo è comunque manifestamente infondato, per la parte in cui
contesta l’esistenza di un apparato giustificativo della decisione, che
invece esiste; non consentito per la parte in cui pretende di valutare,
o rivalutare, gli elementi probatori al fine di trarne conclusioni in
contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte di
legittimità un giudizio di fatto che non le compete. Esule, infatti, dai
poteri della Corte di cessazione quello di una rilettura degli elementi
posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via
esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il
vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il
ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (la
Corte d’appello ha motivato adeguatamente sulla attendibilità dei
testi alle pagine sette e otto). Né si ravvisano altri vizi della
motivazione, ricordandosi che il vizio denunciabile in Cessazione deve
essere percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità
essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti
le minime incongruenze.
2

sede di legittimità. I giudici di merito hanno ritenuto, con valutazione

5. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile ai sensi dell’ultimo comma
dell’articolo 606 del codice di procedura penale, posto che mancava
un analogo motivo di appello. In ogni caso il ricorso è privo della
necessaria specificità perché non indica e non riporta il motivo di
appello, che nemmeno la Corte ha indicato nelle premesse della
sentenza. E tali premesse non sono oggetto di impugnazione, per cui
devono ritenersi incontestate.
6. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e, d’altronde,

soggetto (l’imputato in proprio) che – se pure soggettivamente
legittimato ai sensi dell’articolo 613 c.p.p. – non risulta provvisto delle
necessarie competenze tecnico-giuridiche, non sia in grado di superare il
vaglio di ammissibilità.
7. Alla declaratoria di inammissibilità segue, oltre alla rifusione delle
spese sostenute dalla parte civile, la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché (trattandosi di causa di
inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente:
cfr. Corte Costituzionale sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000) al
versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si
ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00.

p.q.m.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento a favore della cassa
delle ammende della somma di euro 1.000,00, nonché alla rifusione alla
parte civile delle spese e compensi di questo grado di giudizio che liquida
in complessivi C 1.960,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 19/04/2013

è del tutto normale che un ricorso alla Corte suprema predisposto da un

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