Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23784 del 18/04/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 23784 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COMBERIATI VINCENZO N. IL 11/04/1957
COMBERIATI SALVATORE N. IL 05/11/1966
COMBERIATI PIETRO N. IL 24/07/1980
LIOTTI FRANCO N. IL 28/10/1967
LIOTTI CARLO N. IL 02/08/1951
avverso la sentenza n. 2057/2010 CORTE APPELLO di
CATANZARO, del 08/07/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO
•.•- ; •

Udit • per la parte civile, l’Avv

Data Udienza: 18/04/2013

udito il PG in persona del sost.proc. gen. dott. S. Spinaci, che ha concluso chiedendo il rigetto
di tutti i ricorsi,
udito il difensore di P.C. (Liotti Giuseppe), avv. A. De Cristofce, in sost.ne avv. G. Costarella,
che ha chiesto rigettarsi i ricorsi e ha depositato conclusioni scritte e nota spese,
uditi i difensori degli imputati:
avv. R. Cavarretta in sost.ne avv.L. Colacino per Liotti Franco e Carlo (classe 1951),
avv. S. Rotundo e avv. prof. G. Aricò per Comberiati Salvatore,
avv. prof. A. Gaito e avv. R. Cavarretta per Comberiati Pietro,
avv. G. Madia e avv. prof. F.C. Coppi per Comberiati Vincenzo.

1. Il 29 marzo 2008, in Petilia Policastro, Liotti Giuseppe, mentre transitava bordo del
suo motoape in una via non lontana dalla sua abitazione, venne affiancato da due individui a
bordo di uno scuoter, calzanti casco da motociclista, i quali esplosero contro di lui diversi colpi
di arma da fuoco, di cui due andarono a segno, colpendolo all’emitorace sinistro. Liotti, seppur
gravemente ferito, riuscì ad evitare la morte, ponendo in atto manovre che misero in difficoltà i
suoi aggressori; in particolare egli li “strinse” contro il muro, costringendoli, in un primo
tempo, a “girare” il motoveicolo e obbligando colui che stava sparando a utilizzare la mano
sinistra per premere il grilletto, e quindi entrambi gli aggressori a interrompere l’azione di
fuoco e a darsi alla fuga. Rifugiatosi a casa, il Liotti si pose in contatto telefonico con i
carabinieri e fu quindi soccorso da un’ambulanza che i militari indirizzarono sul posto. La
vittima dichiarò di aver riconosciuto i suoi aggressori in Comberiati Salvatore e Pietro,
aggiungendo di averli visti anche qualche minuto prima dell’agguato, a qualche centinaio di
metri dal luogo in cui era avvenuta la sparatoria.
1.1. Sentito nuovamente in incidente probatorio, il Liotti ribadì le sue dichiarazioni.
Nell’immediatezza del fatto, fu eseguito prelievo per stub e furono sequestrati gli abiti indossati
da Comberiati Salvatore e Pietro; furono quindi ascoltate persone informate sui fatti, mentre
continuò l’attività di intercettazione telefonica, già iniziata. Furono eseguiti altri accertamenti
tecnici e scientifici. I risultati degli stub, per quel che si legge sentenza, furono i seguenti:
negativi per quel che riguarda le superfici cutanee, positivi per quel che riguarda i vestiti in
sequestro.
2. Sulla base di tale quadro probatorio, il tribunale di Crotone, con sentenza 19 luglio
2010, affermò la penale responsabilità di Comberiati Salvatore e Pietro, quali esecutori
materiali, di Comberiati Vincenzo, all’epoca detenuto, quale mandante con riferimento ai delitti
di concorso in tentato omicidio pluriaggravato (anche ai sensi dell’articolo 7 legge 203/91), di
concorso in porto e detenzione di armi comuni da sparo (i soli Salvatore e Pietro) e, con la
recidiva, come rispettivamente contestata, condannò Comberiati Vincenzo alla pena di anni 20
di reclusione, Comberiati Salvatore alla pena di anni 24 di reclusione, Comberiati Pietro alla
pena di anni 22 di reclusione. Comberiati Vincenzo fu assolto dal delitto relativo alle armi, ma
nei suoi confronti fu revocato l’indulto, applicato in data 31 agosto 2006. I tre Comberiati
furono anche condannati al risarcimento dei danni in favore della parte civile, Liotti Giuseppe,
danni da liquidarsi in separata sede, con condanna alla corresponsione di una provvisionale
nella misura di euro 25.000; fu applicata la misura di sicurezza della libertà vigilata per anni
uno e furono applicate le pene accessorie.
2.1. Furono anche condannati Liotti Carlo (classe 1951) a mesi due di reclusione,
fratello di Liotti Giuseppe, Liotti Carlo (classe 1970) a mesi due di reclusione, nonché Liotti
Franco ad anni uno e mesi due di reclusione, figli -questi due ultimi- di L’atti Giuseppe, in
quanto ritenuti responsabili, tutti, del delitto di cui agli articoli 110, 81 cpv, 378 cp per avere,
in concorso tra loro ed in esecuzione del medesimo disegno criminoso, aiutato i responsabili
del tentato omicidio in danno del loro congiunto a eludere le investigazioni dell’autorità; il solo
Liotti Franco fu riconosciuto colpevole anche del delitto di cui agli articoli 81 cpv, 56-377 bis
cp, per avere posto in essere atti idonei, diretti in modo non equivoco, a indurre il genitore,
Liotti Giuseppe, a non rendere dichiarazioni o comunque rendere dichiarazioni mendaci in
relazione ai fatti di cui era stato vittima. Per Liotti Carlo (classe 1970) e Franco fu disposta la
pena sospesa e la non menzione; per tutti e tre i Liotti fu esclusa l’aggravante di cui all’articolo
7 della legge 203/91.
2

RITENUTO IN FATTO

3. La corte di appello di Catanzaro, investita delle impugnazioni del procuratore
generale e degli imputati, con la sentenza di cui in epigrafe, in parziale riforma della pronuncia
di primo grado, rigettando l’appello della parte pubblica, ha ridotto la pena inflitta a Comberiati
Salvatore e Pietro rispettivamente ad anni 22 ed ad anni 20 di reclusione, confermando nel
resto la sentenza impugnata.

5. La difesa di Comberiati Pietro deduce (avv. Cavarretta):
Mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione, nonché erronea
applicazione dell’articolo 192 comma terzo e dell’articolo 546 comma primo lett. e) cpp.
A/a – Le dichiarazioni di Liotti Giuseppe non presentano il requisito della cosiddetta coerenza
interna. Nel corso dell’incidente probatorio, il dichiarante ha affermato, rispondendo a precisa
domanda, di non essere del tutto convinto della responsabilità di Comberiati Salvatore e Pietro,
ma che solo costoro avrebbero potuto attentare alla sua vita. Precedentemente, nel corso
dell’interrogatorio reso il 29 marzo 2008, il Liotti si era contraddetto circa l’abbigliamento dei
suoi aggressori, con particolare riferimento ai caschi da motociclista, descritti, una volta, con
visiera, una volta, senza visiera, altra volta, con visiera di vetro più o meno trasparente. Cosa
certa è che -in quella stessa data alle 11,42,37- Liotti Giuseppe chiamò i carabinieri, essendo
stato attinto da colpi di arma da fuoco. In quello stesso giorno, i testi Parise Cesare e
maresciallo CC De Vuono, pochi minuti prima, che il Liotti contattasse i militari, avevano visto
circolare per le vie del paese Comberiati Pietro. Non si comprende dunque come avrebbe
potuto fare questo imputato ad allontanarsi furtivamente, a prendere uno scooter, a compiere
l’attentato, a cambiarsi d’abito, per poi presentarsi presso la caserma dei carabinieri, dove in
effetti fu fermato.
A/b – Quanto allo stub, va detto che il relativo prelievo fu fatto presso lo studio del difensore
dell’imputato, essendo stata ritenuta non idonea a tale scopo la caserma. Il tampone fu
effettuato sulle mani, sul viso, sul corpo, sulle gambe di Comberiati Salvatore e Pietro. Poiché
non si dà atto che i due indagati furono fatti spogliare, si deve ritenere che il prelievo sia stato
effettuato anche sui vestiti. Sarebbe stato agevole provare tale circostanza attraverso
l’acquisizione delle schede che documentano tale attività. Detta acquisizione è stata richiesta,
ma i giudici di merito non hanno mai accolto tale istanza. Conseguentemente, si deve ritenere
che il tribunale -prima- e la corte d’appello -poi- siano incorsi in un vero e proprio travisamento
della prova, nel momento in cui assumono che lo stub, in un primo momento, fu effettuato
esclusivamente su superfici cutanee dei due indagati. L’esito di questo accertamento tecnico fu
negativo. Ben cinque mesi dopo, il RIS carabinieri di Messina, eseguendo il medesimo
accertamento sugli abiti sequestrati, giunse a un risultato positivo. è evidente che ciò non può
che essere frutto di inquinamento involontario degli indumenti, anche perché i predetti vestiti
non furono conservati in maniera regolare. Va poi rilevato che l’esito del secondo stub è
inutilizzabile, in quanto, contrariamente a quel che assume la corte d’appello, gli accertamenti
e le analisi possono essere ripetuti all’infinito, ma il prelievo può essere effettuato una volta
sola. In base a quanto si è premesso, si deve ritenere che il prelievo sia avvenuto il giorno
stesso della sparatoria, anche per quel che riguarda i vestiti.
A/c – Quanto al contenuto delle intercettazioni, la perizia collegiale ha messo in evidenza che,
nel corso di una conversazione tenuta in carcere tra Comberiati Vincenzo e Pietro, il primo
avrebbe detto al secondo che doveva essere eliminato “Coscetta” (soprannome di Liotti
Giuseppe, il quale avendo la gamba offesa si spostava con l’ausilio di una motocarrozzetta). E
tuttavia, a una verifica effettuata dal consulente tecnico degli imputati, è emerso che la parola
“eliminato” non è mai stata pronunziata nel corso del predetto dialogo. Proprio perché i due
accertamenti avevano dato esito contrastante, era stato chiesto il riascolto in aula del nastro,
riascolto negato sia dal giudice di primo, che da quello di secondo grado. Peraltro, la corte
catanzarese afferma di aver esaminato l’elaborato del consulente tecnico, il che è paradossale,
in quanto il medesimo giudice si è rifiutato, se pur esplicitamente richiesto di tanto, di
acquisire detto elaborato.
A

4. Ricorrono per cessazione, attraverso i rispettivi difensori, Comberiati Salvatore,
Comberiati Pietro Comberiati Vincenzo, Liotti Franco, Liotti Carlo (classe 1951).
Non ricorre Liotti Carlo (classe 1970).

6. B- Deduce inoltre (avv. Gaito) manifesta illogicità della motivazione, mancata
assunzione di prova decisiva, inosservanza di legge processuale e segnatamente dell’articolo
192 comma terzo e dell’articolo 546 comma primo lett. e) cpp.
B/a- Va premesso e ricordato che le sentenze di condanna si fondano essenzialmente sulle
accuse formulate nei confronti degli imputati da Liotti Giuseppe, persona offesa, costituitasi
parte civile. Costui nutriva profondo rancore, come la stessa sentenza di appello evidenzia, nei
confronti dei Comberiati, in quanto era convinto che i predetti fossero responsabili dell’omicidio
del fratello Pasquale e del suo arresto per detenzione di arma, in quanto, secondo la sua
opinione, essi avevano confidenzialmente informato le forze dell’ordine di tale circostanza.
Neanche va dimenticato che Liotti Giuseppe è persona con gravi problemi di salute, tra i quali
si annoverano la vasculopatia cerebrale e la epilessia. Essendo poi il predetto persona imputata
in procedimento connesso, lo stesso è stato ascoltato ai sensi dell’articolo 197 bis cpp. Ne
consegue che le sue dichiarazioni non sono quelle di una semplice persona offesa, ma vanno
valutate ai sensi del terzo comma dell’articolo 192 del medesimo codice.
Ebbene, tutto ciò premesso, non si comprende perché i giudici di merito si siano attestati su di
una posizione di adesione aprioristica alle accuse formulate da Liotti Giuseppe. A ben vedere,
manca un serio scrutinio della cosiddetta credibilità intrinseca di questo dichiarante, secondo i
dettami, ormai da tempo, messi in luce dalla giurisprudenza. Inspiegabilmente sono state
trascurate le frontali contraddizioni che lo stesso racconto del Liotti evidenzia, contraddizioni
attinenti sia al momento in cui egli avrebbe riconosciuto i suoi aggressori, sia al tipo di casco
che essi avrebbero indossato. Il fatto che Comberiati Salvatore e Pietro fossero persone ben
note al Liotti è in realtà una circostanza che può essere definita “inquinante”, in quanto ben
può essere stata causa di autosuggestione.
B/b- Con specifico riferimento ai tamponi stub, anche questo difensore osserva che non può
dirsi che la prima “raccolta” abbia riguardato soltanto le superfici cutanee. Il teste maresciallo
Spagnolo-Skurti ha chiarito che i Comberiati non furono fatti spogliare. Il teste Romeo,
anch’egli appartenente all’arma dei carabinieri, ha precisato che non sempre l’espressione
“superfici cutanee” si riferisce in maniera precisa alle parti corporee, di talché lo stesso non ha
escluso che i prelievi, sin dal primo momento, possano essere stati effettuati anche sui vestiti.
Fatto certo è che i vestiti indossati da Comberiati Salvatore e Pietro furono successivamente
portati in caserma e appoggiati su di una scrivania; gli stessi furono malamente custoditi per
ben cinque mesi e poi inviati al laboratorio di Messina, dove furono nuovamente analizzati. Al
proposito è da notare che è davvero sconcertante il fatto che, una volta rinvenuti residui dello
sparo sui vestiti, nessun residuo sia stato repertato sulle parti del corpo che certamente
rimasero scoperte, quali il collo e il braccio esposto.
B/c- Quanto al contenuto delle intercettazioni, sembra davvero strano che persone di scarsa
cultura quali sono i Comberiati utilizzino espressioni come “eliminato”, “eliminare” per
significare l’uccisione di qualcuno. In realtà essi si esprimono nel dialetto del luogo e dunque
sarebbe stato, anche per questa ragione, quanto mai opportuno il riascolto del nastro. È
certamente vero che, per la giurisprudenza di legittimità, detto riascolto non deve
necessariamente avvenire in udienza, ma è altrettanto vero che, contrariamente a quel che
ritiene la corte d’appello, l’articolo 501 del codice di rito non vieta affatto l’acquisizione degli
elaborati del consulente tecnico, come ha ritenuto il giudice del merito. Peraltro,
contraddittoriamente, la corte di merito, da un lato, sostiene non possibile detta acquisizione,
dall’altro, assume di aver esaminato l’elaborato. In realtà: a differenza dei testi, che, per così
dire, costituiscono gli occhi e le orecchie del giudice, i trascrittori non svolgono alcun ruolo
vicario e il giudice può sempre direttamente attingere alla fonte della trascrizione, appunto
ascoltando le conversazioni registrate.
B/d- Per quanto attiene alle numerose testimonianze a discarico di Comberiati Salvatore e
Pietro, non si comprende il pregiudizio colpevolista dei giudici di merito, i quali sembrano
animati dal proposito di “smontare” sistematicamente il contenuto di tali dichiarazioni. In
4

A/d- Quanto -infine- alle dichiarazioni rilasciate da alcuni collaboratori di giustizia, si deve
rilevare che essi hanno dichiarato di non conoscere Comberiati Pietro. Conseguentemente, lo
stesso non viene inserito, da tali dichiaranti, in nessun tipo di associazione di stampo mafioso.
L’ultimo ad aver offerto collaborazione, Marino Vincenzo, “pentitosi” nel 2007, non ha
riconosciuto in foto questo ricorrente. In merito, la corte d’appello non ha speso alcuna
motivazione.

7. Il 2 aprile 2013 sono stati depositati motivi nuovi (avv. Gaito).
C- Liotti Giuseppe, in quanto parte civile e imputato in procedimento connesso, avrebbe
dovuto meritare una ben più attenta valutazione con riferimento alle sue dichiarazioni. La corte
calabrese, viceversa, acriticamente gli crede e pretende, invertendo l’onere della prova, che gli
imputati dimostrino il contrario di quanto sostenuto da questo dichiarante. Il giudice di secondo
grado non ha tenuto conto del contesto in cui sono avvenuti i fatti, del tipo di rapporto
intercorrente tra accusatore e accusati, degli elementi a discarico, dell’esatto risultato degli
accertamenti scientifici. In conseguenza di tutto ciò, la decisione è stata incentrata su di
un’inesistente presunzione di credibilità delle dichiarazioni della persona ferita. L’errore di
diritto ha poi inciso sulla lettura, quasi sempre a senso unico, degli esiti della diagnosi
processuale.
C/a- Lo stub è stato indubbiamente eseguito -sin dall’inizio- anche sugli indumenti, i quali
hanno subìto un’evidente contaminazione, in quanto maldestramente inseriti in sacchi di
plastica, quali sono quelli dell’immondizia, a loro volta inseriti in scatole di cartone. Tali reperti
sono stati estratti solo mesi dopo. Così stando le cose, non si vede quali garanzie di sterilità
siano state assicurate. Il problema è stato sollevato innanzi ai giudici di merito, i quali hanno
però risposto con affermazioni puramente apodittiche, in quanto non è dato conoscere che
cosa sia accaduto prima dell’imballaggio dei predetti reperti. La mancata acquisizione
dell’elaborato scritto del consulente tecnico Vallone rappresenta, come premesso, altro
elemento di doglianza, doglianza alla quale il giudice d’appello risponde incongruamente,
proponendo una interpretazione errata dell’articolo 501 del codice di rito. Tutto ciò costituisce
un’evidente violazione del principio del contraddittorio, che è l’unica effettiva garanzia di
imparzialità del giudizio. Il mancato rispetto di tale principio comporta inevitabilmente la
violazione del diritto di difesa, violazione che si è resa plasticamente evidente quando i giudici,
inspiegabilmente, si sono rifiutati di ascoltare il contenuto delle conversazioni intercettate.
C/b- È da ricordare che, insieme con Comberiati Salvatore e Pietro, era originariamente
imputato anche il fratello Nicola. Costui è stato assolto con sentenza irrevocabile [che il
ricorrente allega], a dimostrazione della fallacia delle accuse del Liotti.
8. La difesa di Comberiati Salvatore deduce (avv. Aricò):
D- Violazione del terzo comma dell’articolo 192 cpp e manifesta illogicità della motivazione.
Dia- Non è stato applicato dai giudicanti (e neanche invocato) il dettato normativo sopra
richiamato.
È noto che la chiamata in correità è istituto di per sé sospetto; lo è tanto più nel caso in esame
in quanto Liotti Giuseppe è un antagonista dei Comberiati. Dunque, le sue dichiarazioni non
possono essere valutate come quelle di un qualsiasi testimone, con riferimento solo alla
pretesa lucidità, coerenza, precisione eccetera del suo dictum. Le ragioni di astio del
dichiarante nei confronti dei Comberiati erano note: il sospetto coinvolgimento di costoro tanto
nell’omicidio il fratello Pasquale, quanto nel suo arresto per detenzione di arma da sparo. Liotti
Giuseppe era così convinto della sua tesi accusatoria da essersi addirittura abbandonato a
espressioni significative del suo pregiudizio, affermando che, se non erano stati i Comberiati,
5

particolare: per quanto riguarda le dichiarazioni di Trocino Rosario, il pubblico ministero ebbe a
contestare difformità tra quanto dichiarato in dibattimento è quanto dichiarato nella fase delle
indagini; lo stesso pubblico ministero, però, si è opposto all’acquisizione del verbale utilizzato
per la contestazione, il che lascia quantomeno perplessi.
In punto di fatto, va ricordato che Comberiati Salvatore e Pietro furono fermati
immediatamente dopo la sparatoria. Non si comprende quindi come avrebbero fatto, in un
brevissimo lasso di tempo, a convincere ben undici persone a testimoniare a loro favore. Cosa
certa è che, tra le 11,20 e le 11,40, Comberiati Pietro si trovava in luogo diverso da quello in
cui avvenne l’azione di fuoco. Va ancora notato che le modalità dell’aggressione sono quelle
tipiche di un agguato; ciò comporta che gli aggressori dovevano essere già in attesa della
vittima all’incrocio stradale che la stessa doveva per forza attraversare; tutto ciò comporta un
maggior impiego di tempo, vale a dire il tempo necessario per l’appostamento. Orbene, poiché
i due imputati furono fermati tra le 11,50 e le 11,55 (atteso che essi telefonarono ai difensori
alle 12,02), ci si deve chiedere come abbiano potuto, in così breve lasso di tempo, compiere
tutte le azioni post factum che devono essere loro necessariamente addebitate (nascondere lo
scuoter, nascondere le armi e i caschi, lavarsi, tornare nella piazza del paese).

6

non si vede chi altro avrebbe potuto essere stato e che comunque egli avrebbe riconosciuto i
suoi aggressori “anche in un sacco”.
I giudici di merito, con visione parcellizzata delle emergenze processuali, giungono al loro
epilogo di condanna. In realtà, le dichiarazioni del Liotti Giuseppe hanno il riconoscibile crisma
della incostanza (ad es. per quel che riguarda l’abbigliamento degli aggressori). Tutta l’azione
poi avrebbe dovuto svolgersi, a sentire il dichiarante, nel giro di soli 20 minuti. Se così stanno
le cose, non si capisce dove gli aggressori, se essi sono da identificare con i Comberiati, si
sarebbero cambiati di abito e dove avrebbero nascosto i caschi, i giubbotti, lo scooter; tutti
oggetti mai più ritrovati. In merito a ciò, la motivazione è assolutamente silente. Va poi notato
che sia Pietro che Salvatore, interrogati, furono in grado di opporre un alibi, dettagliato e
autonomo, su come avevano trascorso quella mattinata; gli stessi indicarono le persone a
riscontro, facendo i nomi di più fonti, tutte autonome ed emergenti dall’abitudinario ambiente
di vita del paese, vale a dire i vicini di casa, vari esercenti commerciali, quali sono il fabbro, il
lavaggista, il pollivendolo ecc.
D/b – Va ancora notato che i vestiti degli imputati furono sequestrati senza le dovute cautele e
senza seguire i necessari accorgimenti, né va trascurato che furono proprio gli imputati a
chiedere di essere immediatamente sottoposti allo stub.
D/c – Tutta l’azione, per altro, si sarebbe svolta nel giro di 400/500 metri e l’agguato sarebbe
stato perpetrato su di una stretta strada in salita che conduce all’abitazione del Liotti Giuseppe.
Non si capisce, poi, per qual motivo gli imputati non avrebbero agito di notte, approfittando del
fatto che l’abitazione della persona offesa era isolata e che Liotti avrebbe ben potuto essere
colpito nel momento in cui, come era solito fare, scendeva di casa per depositare l’immondizia
negli appositi contenitori.
D/d – Il fatto che la vittima abbia deciso estemporaneamente di rientrare a casa, poi, contrasta
con l’ipotesi che l’agguato sia stato predisposto. Su tale specifica questione non è stata spesa
una sola riga di motivazione. La verità è che i giudici del merito sono rimasti vittima di una
visione unilaterale e non serena e ciò si evidenzia quando, con accanimento, si cimentano
nello smontare l’alibi degli imputati, alibi che -viceversa- si articola in numerose dichiarazioni,
tutte convergenti ma tutte autonome.
La sentenza sostiene, implicitamente o esplicitamente, che i due Comberiati si sarebbero
innanzitutto incontrati, poi si sarebbero mobilitati congiuntamente per travisare il loro
abbigliamento, quindi avrebbero utilizzato uno scooter, successivamente si sarebbero
posizionati ad un incrocio per attendere la vittima, ancora dopo avrebbero sparato,
successivamente si sarebbero disfatti di pistola e scooter e, quindi, anche dei caschi, dei
guanti, dei giubbotti, rientrando a casa per rivestirsi, riuscendone subito dopo per circolare
sulla pubblica via. Così argomentando, i giudici del merito non hanno considerato che, come
premesso, Liotti aveva deciso estemporaneamente il rientro a casa, in quella circostanza, e che
gli attentatori dovevano, però, per parte loro, essersi appostati all’incrocio già in anticipo;
nenache hanno riflettuto sul fatto che, nel tempo necessario per l’ipotizzato travisamento,
Liotti Giuseppe avrebbe avuto la possibilità di rientrare tranquillamente a casa; ciò senza voler
aggiungere, poi„ che nessuna fonte terza ha mai avuto modo di assistere ad alcuna sequenza
temporale compatibile con questa ricostruzione del fatto.
D/e – Sta di fatto che le dichiarazioni della persona offesa non hanno ricevuto alcun riscontro
esterno. Certamente riscontro non è l’esito dei tamponi-stub, atteso che “superfici cutanee”,
come chiarito nel corso del dibattimento, è espressione che non va presa nel suo stretto
significato lessicale, ma nel più ampio significato “storico” che, nel gergo degli operatori, gli si
dà, vale a dire che essa si riferisce all’intera figura della persona sulla quale vengono effettuati
prelievi, sia che ci si riferisca a superfici corporee scoperte, sia che ci si riferisca anche gli
indumenti; indumenti che, peraltro, non coincidono con quelli descritti da Liotti Giuseppe.
D/f- Tanto premesso, va ricordato come lo stub abbia avuto esito ampiamente negativo, sin
dal primo momento, tanto con riferimento alle superfici corporee, quanto con riferimento agli
abiti che gli imputati vestivano, atteso che i due Comberiati non furono invitati a denudarsi. Va
poi ricordato che i vestiti furono appoggiati su di una scrivania, con tutte le conseguenze del
caso. I giudici del merito poi avrebbero dovuto anche interrogarsi sulla strana circostanza in
base alla quale i residui dello sparo si trovavano sugli indumenti sottostanti e non anche sui
giubbotti che, secondo la persona offesa, i suoi aggressori vestivano.
Ebbene: l’esito negativo dell’accertamento tecnico si risolve, come premesso, in una mancanza
di riscontro, il che rende inutilizzabili le dichiarazioni del Liotti Giuseppe, dichiarazioni che, per

quanto anticipato, devono essere valutate ai sensi del terzo comma dell’articolo 192 del codice
di rito.
D/g- Quanto ai numerosi testi a discarico, essi, secondo i giudici del merito, sarebbero tutti
indistintamente inattendibili (Castagnino Pietro e Nicola Fico, Parise, Vona, Trocino, Brugnolo,
Garofalo, Ierandi, Le Chiara, Marrazzo, Venturino). Si tratta di un’affermazione apodittica, che
contrasta con la precisione e la ricchezza delle dichiarazioni provenienti da così numerose
persone. Cosa certa è che alle 12,03 Salvatore era presso la sua abitazione e che alle 12,05
Pietro era presso la caserma dei carabinieri; altrettanto certo è che il maresciallo De Vona vide
Pietro in strada e, rientrato in caserma, dopo soli 10 minuti, fu chiamato perché si era
verificata una sparatoria.
Infine, per quanto riguarda le modalità con le quali, in concreto, si sarebbe svolto il fatto
criminoso, nessuno, a parte il dichiarante (che sostiene che era parcheggiato dietro il furgone
del pollivendolo), ha visto lo scooter utilizzato dagli attentatori.
9. La difesa di Comberiati Vincenzo deduce (avv. Madia):
E- Contraddittorietà della motivazione e sua parziale manifesta illogicità.
E/a- Nessuna seria verifica è stata effettuata per controllare la attendibilità del dichiarante
Liotti Giuseppe. Non è dubbio che il processo in esame abbia spiccato carattere indiziario; è
dunque necessaria una ricostruzione logicamente ispirata al massimo rigore.
Invero, l’ipotesi che i fatti si siano verificati in un supposto contesto mafioso ha alterato non
poco l’apprezzamento dei risultati obiettivi dell’attività di indagine e dell’istruttoria
dibattimentale, atteso che considerazioni e conclusioni sono state desunte, più che altro, da
principi di ordine sociologico, politico e criminologico, elaborati al di fuori del processo e assunti
quale guida di un metodo di interpretazione probatoria non accompagnato da rigoroso vaglio
della prova.
I giudicanti muovono da un presupposto indimostrato, vale a dire che fosse in atto una
contrapposizione tra i Liotti e i Comberiati e tale preconcetto inficia l’intera ricostruzione
dell’accaduto.
Liotti Giuseppe sostiene di aver riconosciuto i suoi aggressori. Egli viene qualificato dai
giudicanti come persona spontanea, lucida, distaccata e coerente, ma tutto è tranne che ciò, in
quanto il suo racconto contiene numerose contraddizioni e plurime verità. Liotti certamente
non è disinteressato, ma ha motivo di forte rancore nei confronti dei Comberiati, tanto da
essere in grado di costruire accuse “a tavolino”, accuse che però i suoi stessi stretti congiunti
smentiscono.
Quanto al riconoscimento degli aggressori, il dichiarante chiarisce di non averli individuati dai
tratti somatici ma, addirittura, dalla postura e ciò in ragione della frequentazione abituale con i
Comberiati nell’ambito delle paese di Petilia Policastro. A ben vedere, si tratta di un argomento
a doppio taglio, in quanto il Liotti potrebbe aver peccato di presunzione e di approssimazione.
In realtà, questo dichiarante è un malavitoso, come emerge dai suoi precedenti, dalla sua
situazione giudiziaria e da quanto si legge nella stessa sentenza di merito; conseguentemente
le sue dichiarazioni non possono essere accreditate senza uno stringente vaglio da parte dei
giudicanti. Ciò vale ancora di più nel caso di specie, atteso che egli ha reso dichiarazioni
contrastanti circa il momento in cui avrebbe avvistato i suoi aggressori; infatti, una prima
volta, dice di averli visti presso il banchetto di vendita polli, sito per le strade del paese, la
seconda volta, dice di averli avvistati sotto un ponte, insieme con altre persone.
Fin qui le dichiarazioni del Liotti Giuseppe.
E/b- Il coinvolgimento di Comberiati Vincenzo, secondo quanto si legge nella sentenza di
merito, deriva dal contenuto di un’intercettazione di una conversazione che costui avrebbe
avuto in carcere con uno dei suoi figli. Ma altra intercettazione (13 marzo 2008) sta viceversa
a provare che Liotti Giuseppe aveva già in animo di accusare, alla prima occasione, i
Comberiati, se è vero com’è vero che, nel corso di detta conversazione intercettata, uno dei
due colloquianti riferisce di una significativa frase del Liotti, vale a dire “ma io ho fatto una
cosa, che se mi succede qualcosa, l’hanno fatta loro”. In ciò vi è la confessione anticipata di un
intento calunniatorio e, infatti, 16 giorni dopo, Liotti Giuseppe accuserà i Comberiati
dell’agguato teso a suo danno.
E/c- Quanto allo stub, va ricordato che esso fu effettuato presso lo studio del difensore in
quanto la caserma era luogo inquinato e inquinante. Ne deriva che la custodia dei vestiti
proprio nei locali della caserma -per alcuni mesi- non può non aver inquinato gli stessi. D’altra
7

o

parte, che il prelievo sia stato effettuato, non solo sulle superfici cutanee, ma anche sui vestiti
degli indagati, si deduce dal fatto che gli stessi non furono invitati a spogliarsi. Se così stanno
le cose, è evidente che l’esito positivo -a distanza di cinque mesi- della ricerca di particelle
dello sparo sui vestiti di Comberiati Salvatore e Pietro non può che essere frutto di
inquinamento successivo. Al proposito, è sconcertante come, a distanza di mesi, il RIS abbia
sovvertito le conclusioni cui era giunto il RACIS.
E/d Quanto all’alibi costituito dalle dichiarazioni dei testi, va detto che tali dichiarazioni sono
state trascurate o ritenute inaffidabili da parte dei giudici del merito e ciò in ragione di
insignificanti discrasie tra l’una e l’altra. In realtà, non si è adoperato Io stesso criterio di
valutazione che si adopera, ad esempio, con riferimento alle dichiarazioni dei collaboratori di
giustizia. Tali dichiarazioni, come si legge in numerose sentenze, sono tanto più credibili,
quanto meno sono sovrapponibili nei minimi dettagli, in quanto la perfetta coincidenza è
sintomo di probabile preordinazione.
E/e Risolutivo poi sarebbe stato l’ascolto della conversazione intercettata tra Comberiati
Vincenzo e uno dei suoi figli, conversazione nella quale, secondo quanto si legge in sentenza, il
secondo avrebbe avuto dal primo l’ordine di uccidere Liotti. Sulla base della interpretazione
fornita dal consulente tecnico della difesa, la parola “eliminato” non sarebbe mai stata
pronunziata da Vincenzo. E perciò immotivato il rifiuto di ascoltare in aula il nastro contenente
tale conversazione ed è parimenti immotivato il fatto che neanche in camera di consiglio detto
ascolto sia avvenuto. Con una motivazione meramente apparente, la corte d’appello sostiene
la credibilità delle conclusioni del perito a discapito di quelle cui è giunto il consulente tecnico di
parte.
E/t Infine, per quel che riguarda il contributo dato dai collaboratori di giustizia, si deve
rilevare che essi parlano di avvenimenti collocati in tempi ormai remoti e che nulla dicono di
significativo circa i fatti per i quali processo.
E/g In data 8 aprile 2013 l’avv. Madia ha depositato una nota con allegati; tra di essi vi è il
verbale delle dichiarazioni di tale Venturino Carmine, evidentemente collaboratore di giustizia,
il quale sostiene che l’agguato in danno di Liotti Giuseppe sarebbe stato da lui organizzato.
E/h In data 11 aprile 2013 il medesimo difensore ha depositato in fotocopia alcune pagine
manoscritte a firma del Venturino in cui si afferma che autori materiali del tentato omicidio
furono tali Cosca Carlo e Massimo e che la moto e le armi furono predisposte dallo stesso
Venturino.

10. F Nell’interesse di Comberiati Vincenzo viene inoltre dedotto (avv. Grosso):
violazione dell’articolo 190 comma primo cpp in relazione al coordinato disposto degli articoli
230 e 501 cpp. In primo grado è stato sostenuto che il dettato dell’articolo 501 cpp non si
applicherebbe alla consulenza tecnica e che quindi l’elaborato del consulente di parte non è
acquisibile, in quanto l’articolo 230 dello stesso codice non prevede tale acquisizione. Ebbene
tale assunto è stato contestato con l’atto d’appello e la corte di secondo grado non ha dato una
risposta corretta e adeguata. Secondo i giudici della corte territoriale, sarebbe una mera
possibilità quella dell’acquisizione, ma non un obbligo da parte del giudicante; l’interpretazione
è sicuramente errata perché la mera possibilità si riferisce all’acquisizione di ufficio,
intendendosi che l’acquisizione va sempre fatta e che essa può esser fatta anche di ufficio.
F/a Il contrasto tra il perito e il consulente tecnico della difesa viene risolto con un atto
fideistico da parte dei giudici di merito nei confronti delle conclusioni raggiunte dal perito. Per
evitare ciò, non vi era altra soluzione che ascoltare in dibattimento la conversazione
intercettata e registrata, perché è in dibattimento che deve formarsi la prova. Neanche è dato
sapere se poi effettivamente giudici abbiano ascoltato detta conversazione in camera di
consiglio.

11. G Manifesta illogicità della motivazione, atteso che Comberiati Vincenzo avrebbe
conferito mandato omicidi ano, ma, poiché la presenza della vittima nel luogo in cui avvenne la
sparatoria fu del tutto accidentale, non vi è prova di una preordinazione dell’agguato. Non può
certamente sostenersi che vi sia stata programmazione da parte dei Comberiati in quanto Liotti
Giuseppe non seguì il solito itinerario per ritornare a casa. Esiste poi un’evidente
incompatibilità temporale tra l’ipotesi che Comberiati Pietro e Salvatore abbiano partecipato
all’agguato e il fatto accertato che gli stessi, nel medesimo arco di tempo, sono stati visti in
giro per il paese.

8

12. H- Violazione della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio quanto all’attendibilità
delle dichiarazioni della vittima circa il riconoscimento degli esecutori materiali, atteso che
Liotti Giuseppe non è né sereno, né lucido, contrariamente a quel che affermano giudici del
merito. Lo stesso è certamente convinto che i suoi attentatori si identifichino in Comberiati
Pietro e Salvatore, anche perché ritiene che nessun altro possa aver ideato e portato a
esecuzione un gesto del genere. Ma una cosa sono le convinzioni soggettive della vittima, altra
cosa sono le prove della responsabilità di terze persone.
13. La difesa di Liotti Carlo (classe 1951) deduce (avv. Colacino):
adeguatamente alla censura con la quale è stata suggerita una interpretazione alternativa del
contenuto delle conversazioni intercettate. Questo imputato in realtà esprime, nella
conversazioni intercettate, il timore di essere coinvolto nell’accusa per la scomparsa di Liotti
Pasquale e ciò giustifica ampiamente il contenuto delle frasi a lui addebitate
14. .1 – Violazione dell’articolo 384 cp, atteso che erroneamente è stata esclusa la non
punibilità di questo imputato. Si tratta di una causa di esclusione della colpevolezza prevista
dal legislatore quando il soggetto è nella condizione, con la sua condotta, di dover salvare se
stesso o un prossimo congiunto da un grave danno nella libertà o nell’onore. Il timore di essere
chiamato in causa come responsabile o corresponsabile della scomparsa di Liotti Pasquale può
avere ampiamente giustificato la condotta che viene ascritta a Liotti Carlo a titolo di
favoreggiamento; in realtà questo imputato manifesta l’intenzione di non rendere dichiarazioni
alle Forze dell’ordine.
15. K – Carenze dell’apparato motivazionale e violazione dell’articolo 378 cp, atteso che
nessuna motivazione è stata spesa circa la reale intenzione e la piena consapevolezza di
aiutare i Comberiati a sottrarsi alle indagini della competente autorità.
16. L – Carenze l’apparato motivazionale e violazione dell’articolo 49 cp, atteso che Liotti

è giunto a Petilia Policastro quando ormai l’incidente probatorio si era concluso; lo stesso
quindi non poteva minimamente incidere sulle dichiarazioni di Liotti Giuseppe.
17. La difesa di Liotti Franco deduce (avv. Colacino):
M – Violazione dell’articolo 63 cpp, atteso che il verbale del 26 luglio 2008 è stato

ritenuto corpo di reato; esso viceversa non avrebbe dovuto essere acquisito perché Liotti
Franco era da considerarsi persona già indagata o indagabile in ragione delle dichiarazioni già
rese e delle condotte tenute a far tempo dal giorno 23.
18. N – Carenza dell’apparato motivazionale e violazione dell’articolo 377 bis cp, atteso
che nella condotta del predetto nessuna componente di violenza o minaccia è rintracciabile. Il
maggiore dei carabinieri Di Santo parla di Liotti Franco come persona invasata e infastidita, ma
non come di persona che ha assunto atteggiamenti violenti e/o minacciosi.
19. 0 – Carenza dell’apparato motivazionale e violazione dell’articolo 49 cp: gli addebiti
mossi a questo imputato in relazione all’articolo 377 bis cp, in realtà, integrano il cosiddetto
reato impossibile in quanto il padre, Liotti Giuseppe, non può aver udito le parole pronunziate
da Franco in occasione dell’udienza per incidente probatorio. Neanche può parlarsi di delitto
tentato per l’assoluta inidoneità degli atti.
20. P – Carenza dell’apparato motivazionale e violazione dell’articolo 378 cp. Vengono

svolte le stesse considerazioni svolte a proposito di Liotti Carlo sub K).
21. Q – Carenza dell’apparato motivazionale e violazione dell’articolo 62 bis cp, atteso
che le attenuanti generiche avrebbero dovuto essere riconosciute in ragione certamente della
incensuratezza di questo imputato e anche in conseguenza del fatto che allo stesso è stata
concessa la sospensione condizionale della pena. Si tratta allora di statuizioni contraddittorie,
in quanto, se si presume che Liotti Franco si asterrà dal commettere ulteriori reati, non è

9

I – Carenze dell’apparato motivazionale, atteso che la corte d’appello non ha risposto

dubbio che lo stesso avrebbe avuto diritto anche alle attenuanti di cui all’articolo 62 bis cp, per
il cui riconoscimento è sufficiente anche la concorrenza di un solo elemento favorevole.
CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Dalla lettura della sentenza impugnata emerge chiaramente come il tentato omicidio
in danno di Liotti Giuseppe sia maturato in un ambiente fortemente connotato in senso
delinquenziale. Invero, i principali protagonisti della vicenda hanno tutti significativi
precedenti: Comberiati Vincenzo, all’epoca detenuto, è recidivo specifico, reiterato,
specifico,
anch’egli
recidivo
reiterato,
Comberiati
Pietro
e
infraquinquennale,
infraquinquennale, Comberiati Salvatore è recidivo specifico, reiterato, Liotti Giuseppe, al
momento dell’agguato, era stato scarcerato da una decina di giorni ed aveva subito, per
quanto si legge in sentenza e nei ricorsi, condanna per detenzione di arma comune da sparo, il
fratello Liotti Pasquale, fu vittima di omicidio (e di tale fatto di sangue Giuseppe sospettava i
Comberiati). D’altra parte, i collaboratori di giustizia Ferrazzo, Foschini e Marino sostengono
che in Petilia Policastro era attiva una consorteria di ‘ndrangheta, al cui vertice si trovava
Comberiati Vincenzo; Marino, per quel che si apprende dalla sentenza impugnata, ha iniziato la
sua collaborazione nel 2007 e -dunque- appena un anno prima dei fatti per i quali è processo.
Con riferimento alle sue dichiarazioni, pertanto, non si può negare che sussista il requisito
dell’attualità.
2.1. Peraltro, che in Petilia Policastro fosse in atto una contrapposizione tra i
Comberiati, da un lato, e Liotti Giuseppe, non lo afferma solo quest’ultimo, ma i collaboratori di
giustizia. L’assunto, d’altra parte, benché negato dalla difesa di Comberiati Vincenzo (cfr.
punto E/a), costituisce l’esplicito (ed esplicitato) presupposto (storico, ma anche logico) dal
quale muovono le critiche che la difesa di Comberiati Salvatore (cfr. sub punto D/a) fonda in
ordine al giudizio di credibilità/attendibilità che i giudici del merito hanno attribuito alla persona
offesa.
Tanto premesso (vale a dire: considerato il milieu criminale in cui la vicenda nacque, maturò e
si svolse), da un lato, deve affermarsi -con nettezza- che i giudici di merito non si sono affatto
lasciati suggestionare da scenari di stampo socio-crimionologico (come sostenuto da uno dei
difensori di Comberiati Vincenzo), ma hanno fatto riferimento a precisi dati oggettivi e a
convergenti dichiarazioni di collaboranti; dall’altro (e in ragione di quanto appena premesso),
deve osservarsi che non stupisce che i predetti giudicanti abbiano ritenuto fortemente sospette
le testimonianze che i compaesani degli imputati hanno -con generosità- prodotto in loro
favore. Dette dichiarazioni testimoniali sono frontalmente contrastanti con il preciso assunto
accusatorio proveniente da Liotti Giuseppe e con il contenuto delle conversazioni intercettate. E
appunto le dichiarazioni della persona offesa e le frasi carpite ai colloquianti, nel corso di
conversazioni telefoniche o tra presenti, costituiscono l’asse portante della sentenza della corte
catanzarese.
2.2. Tali emergenze processuali i giudici di merito hanno ritenuto essere state
significativamente riscontrate dalla prova tecnica raccolta nel corso del procedimento.
3. Quanto alle dichiarazioni accusatorie provenienti da Liotti Giuseppe, appare
decisamente temeraria l’ipotesi in base alla quale si vuole che esse siano state “fabbricate a
tavolino” (vedasi punto sub E/a).
Il Liotti, immediatamente dopo il ferimento, con due proiettili ritenuti nel costato (a breve
distanza dal cuore), avendo seriamente rischiato la vita, ebbe la capacità e la prontezza -una
volta rifugiatosi in casa- di chiamare i carabinieri e di rendere agli stessi immediate
dichiarazioni, indicando con sicurezza l’identità dei suoi aggressori e precisando che la sua
certezza si fondava, non solo sulla radicata e annosa conoscenza di Comberiati Pietro e
Salvatore, suoi i compaesani e sodali criminali del fratello Pasquale, ma anche sul fatto che li
aveva visti (e riconosciuti), non solo nel momento in cui aprirono il fuoco contro di lui, ma
anche pochi minuti prima dell’agguato, mentre si trattenevano con altre persone. Al proposito,
evidentemente, uno dei ricorsi (cfr. punto sub B/a) sovrappone due momenti, accusando Liotti
Giuseppe di una confusa esposizione. Basta, viceversa, leggere con attenzione la sentenza

IO

1. I ricorsi presentati nell’interesse di Comberiati Vincenzo, Pietro e Salvatore sono
complessivamente da rigettare, essendo alcune censure infondate, altre inammissibili.

li

della corte d’appello (e anche quella di primo grado, con la quale, in ragione del contenuto
puntualmente confirmatorio, essa fa “corpo unico) per rendersi conto che la persona offesa
notò i due Comberiati (sci/. Pietro e Salvatore) in due occasioni distinte e a distanza di poco
tempo (cfr. sentenza di appello foll. 14-15) e quindi, ovviamente, li vide -una terza volta- nel
momento in cui si verificò la sparatoria. La persona offesa, inoltre, ha sostenuto anche di
essere stata pedinata nei giorni precedenti l’agguato.
3.1. E evidente che Liotti Giuseppe è in grado di riconoscere persone che vede
quotidianamente, non solo in base alle caratteristiche somatiche, ma anche dalla
complessione, dalle movenze, dal portamento e dalle cc.dd. modalità di comunicazione non
verbale. Si tratta, insomma, di un “di più” e non “di un di meno”, rispetto al puro e semplice
riconoscimento basato sulla individuazione dei tratti del volto, individuazione che pure vi fu
(come afferma il giudice di appello), cosa che i ricorrenti negano, ma che la sentenza ricorsa
afferma chiaramente, sostenendo che i lineamenti degli aggressori furono ben visibili alla
persona offesa, in quanto essi avevano -effettivamente- il casco con la visiera abbassata, ma
detta visiera era trasparente. Né può far dubitare del fatto che il dichiarante volesse dire
proprio ciò la circostanza che lo stesso abbia parlato, in un primo momento, di caschi integrali,
in quanto anche un tal tipo di casco non deve necessariamente avere la visiera oscurata.
Liotti, poi, effettivamente ebbe ad affermare che avrebbe riconosciuto i Comberiati “anche in
un sacco”, ma tale espressione, lungi dal costituire la manifestazione di un pregiudizio
colpevolista, rappresenta, con ogni evidenza, una semplice iperbole retorica, con la quale la
persona offesa ha voluto semplicemente significare la certezza del riconoscimento e la sua —
astratta- capacità di riconoscerli anche in condizioni di visibilità meno favorevoli rispetto a
quella in cui gli si erano presentati il 29 marzo 2008.
3.2. La corte di appello non si nasconde minimamente il fatto che la persona offesa
nutriva un profondo rancore nei confronti dei Comberiati, ritenendoli responsabili, tanto del suo
arresto per detenzione di un’arma da sparo, quanto della morte del fratello Pasquale (opinione,
a quanto si legge, condivisa dai collaboratori di giustizia); non di meno, i giudici del merito
effettuano una soddisfacente valutazione della credibilità di questo dichiarante (cfr. foll. 1618), mettendo in evidenza, innanzitutto, la precisione, la costanza e la immediatezza delle sue
accuse a carico di Comberiati Pietro e Salvatore.
3.4. Né può avere incidenza su tale giudizio il successivo epilogo assolutorio del
processo a carico di Comberiati Nicola, atteso che, per quel che risulta dalla sentenza
impugnata, Liotti Giuseppe non lo ha accusato, essendosi limitato a indicare queli esecutori
materiali i soli Comberiati Pietro e Salvatore.
Il fatto, poi, che Liotti Giuseppe sia stato qualificato testimone, piuttosto che persona indagata
in procedimento connesso, non supera i confini di una mera questione nominalistica, in quanto,
in concreto, i giudicanti non si sono accontentati della sua parola, ma hanno ricercato (e
trovato) adeguati riscontri.
3.5. Peraltro, non può inficiare tale convincimento il brandello di intercettazione
riportato nel ricorso (cfr. punto sub E/b), vale a dire la frase con la quale -sembra di capire- il
Liotti Giuseppe avrebbe voluto significare (ma si tratta non di parole uscite dalla sua bocca, ma
di parole che altri riferiscono come da lui provenienti) che, nel caso fosse accaduto qualcosa di
grave per la sua incolumità, i responsabili avrebbero dovuto essere individuati nei componenti
della famiglia Combierati.
Ritenere che tale frase (che, si ripete, non è stata carpita direttamente al Liotti, ma che altri
riportano come sua) costituisca il preannuncio di una futura calunnia è operazione intellettuale
alquanto ardita, atteso che, se così fosse, Liotti avrebbe “approfittato della fortuita
coincidenza” del suo successivo ferimento per accusare falsamente Combierati Pietro e
Salvatore, che egli, viceversa, avrebbe saputo essere innocenti.
3.6. Che così non sia, vale a dire che Liotti Giuseppe non ha formulato alcuna accusa
calunniosa, la sentenza impugnata lo deduce, come subito si chiarirà, dal contenuto delle
conversazioni intercettate tra lo stesso Liotti e la sorella. Conversazioni, invero, delle quali
nessun ricorrente fa parola, ma che pure trovano adeguato spazio nella economia espositiva
della trama motivazionale della sentenza impugnata.
Invero (come anticipato), si sostiene in più di un ricorso che Liotti Giuseppe sia persona
sottoposta a indagine in procedimento connesso o collegato e che, quindi, le sue dichiarazioni,
ai sensi dell’articolo 197 bis del codice di rito, avrebbero dovuto essere assunte e valutate con
riferimento ai parametri di cui al terzo comma dell’articolo 192 del medesimo codice. Ebbene,

4. Sempre sulla base delle eseguite intercettazioni, la sentenza di appello ritiene
provata la responsabilità, quale mandante, di Comberiati Vincenzo, atteso che, nel corso di un
colloquio avuto in carcere con il figlio Pietro, il padre Vincenzo ebbe a pronunziare la frase
“programmatevi….Coscetta, quello con la motocicletta…. vuole eliminato subito”.
E, in effetti, poco tempo dopo tale conversazione, si verificò l’attentato in danno di Liotti
Giuseppe (detto, come si è visto “Coscetta”).
4.1. I difensori hanno avanzato dubbi sull’esatto contenuto di tale conversazione.
Innanzitutto, si è sostenuto che una persona di bassa scolarità è di scarsa cultura come è il
Comberiati Vincenzo, non userebbe mai il termine “eliminare”, “eliminato”.
L’assunto è alquanto apodittico per una serie di motivi. In primo luogo, non si tratta di un
termine così ricercato che una persona adulta, sia pure non molto scolarizzata, non possa
utilizzare; in secondo luogo, proprio dalle intercettazioni, emerge che tale tipo di espressione
non è estranea al contesto culturale nel quale si svolsero i fatti, se è vero com’è vero che Liotti
Giuseppe, colloquiando con la sorella Pina, utilizza esattamente tale verbo (scii. “eliminare”,
cfr. fol. 22).
4.2. D’altra parte -e infine- se non si dubita che Comberiati Vincenzo possa utilizzare
ben più ricercate parole di origine greca (“programmatevi”), non si vede perché non possa
usare un vocabolo, certo più diffuso e di diretta origine latina (“eliminato”).
A prescindere da ciò, tuttavia, alcuni ricorrenti sostengono che, comunque, tale espressione
non fu mai pronunciata da Comberiati Vincenzo e che conseguentemente le trascrizioni operate
dal perito incaricato dai giudici non sono, sul punto, attendibili; ciò in quanto il consulente
tecnico della difesa ha diversamente interpretato tale frase. Al proposito, peraltro, ci si duole
del fatto che non sia stato acquisito l’elaborato scritto redatto dal predetto consulente. Si
sostiene che erroneamente i giudici del merito hanno ritenuto che detta acquisizione sia
meramente facoltativa, in considerazione della lettera dell’ultimo comma dell’articolo 501 del
codice di rito.
4.3. In proposito si osserva: l’articolo 501 sopra richiamato prevede che, con
riferimento all’esame dei periti e consulenti tecnici, devono osservarsi, in quanto applicabili, le
disposizioni sull’esame dei testimoni. Ciò comporta che, una volta esaminato il perito o il
consulente, gli atti che lo stesso ha, eventualmente, consultato possono certamente essere
acquisiti e che tale acquisizione può avvenire, tanto su richiesta di parte, quanto di ufficio
(“..documenti, note scritte e pubblicazioni” recita letteralmente l’articolo). Non è dubbio quindi
che la concessa possibilità si riferisce, non alla acquisizione in sé e per sé, ma al fatto che
detta acquisizione possa essere disposta motu proprio dal giudice, oppure in accoglimento
della richiesta della parti. Questo, e non altro, è il senso da attribuire alla disposizioni di legge
sopra richiamata. Conseguentemente: la lettura restrittiva che ne fanno i giudici del merito è
senza dubbio errata. Ma dalla corretta interpretazione della norma non deriva l’obbligo di
acquisire i documenti consultati dal perito o dal consulente tecnico. Detti documenti (note
scritte e pubblicazioni) possono consistere, tanto negli atti che il soggetto sia stato autorizzato
12

la corte di appello non fa certo mancare la valutazione degli ulteriori elementi di prova, atti a
confermare l’attendibilità del dichiarante.
3.7. Innanzitutto, viene posto in rilievo che il Liotti, come premesso, colloquiando
telefonicamente con la sorella Pina, che si trova a Genova, nel mese di giugno e precisamente
due giorni prima dello svolgimento dell’incidente probatorio, afferma che egli intende dire la
verità, senza nulla aggiungere e senza nulla togliere o variare, vale a dire intende confermare
ciò che ebbe a dichiarare -immediatamente dopo i fatti- ai carabinieri.
Colloquiando sempre con Pina -ma dopo lo svolgimento dell’incidente probatorio- Giuseppe
ribadisce che egli ha detto la verità perché sono stati proprio i Comberiati (che i giudici di
merito chiariscono essere soprannominati i Tummuluni) a sparare a lui e furono gli stessi
Comberiati a uccidere il fratello Pasquale, che era stato loro consegnato dall’altro fratello, Carlo
(classe 1951). Giuseppe fornisce anche la spiegazione del motivo per il quale i Comberiati
vogliono ucciderlo, chiarendo che, una volta soppresso lui, nessuno avrebbe più parlato della
scomparsa di Pasquale (fol. 22). Poiché, fino a prova del contrario, Giuseppe era inconsapevole
di essere intercettato, i giudici di merito ritengono, non illogicamente, che lo stesso abbia detto
la verità alla sorella e che quindi egli non sia mosso da alcun intento calunniatorio nei confronti
dei Comberiati, ma solo dal desiderio di ottenere giustizia (obiettivo che ben può conciliarsi con
la sete di privata vendetta).

a consultare in dibattimento, durante la sua deposizione, quanto, eventualmente, in suoi
appunti o elaborati scritti (“note scritte” si legge nel codice), la cui -eventuale- acquisizione
può essere disposta per mera comodità del decidente (che certo bene farebbe, una volta
acquisito l’elaborato scritto di un perito o consulente, ad acquisire anche quelli degli altri
soggetti che tali ruoli processuali rivestano).
4.4. Ciò che rileva, però, è che il contributo fornito dal perito o dal consulente sia
comunque stato riversato negli atti utilizzabili per la decisione. Detto contributo può essere
meramente orale (ovviamente cristallizzato nel verbale di udienza), ovvero può essere
oggettivato anche in uno scritto (o comunque in un documento). E se è stato previsto dalla
giurisprudenza il caso di acquisizione dell’elaborato scritto, senza previo esame del perito e/o
del consulente (si è chiarito che si tratta di una nullità di ordine generale a regime intermedio,
soggetta ai limiti di deducibilità di cui all’art. 182 e alla sanatoria di cui all’art. 183, comma
primo, lett. a) cpp; cfr. ASN 201132902-RV 250940), non risulta affrontato il caso inverso,
vale a dire quello in cui il perito o il consulente sia stato ascoltato, ma la sua relazione non sia
stata acquisita.
4.5. In base al principio dell’oralità, tuttavia, deve giungersi alla conclusione che ciò che
rileva e di cui non si può fare a meno (salva facendo la sanatoria di cui si è appena detto) è
l’esame e l’eventuale controesame del perito o del consulente tecnico, costituendo l’elaborato
scritto dallo stesso redatto un mero supporto -cartaceo e mnemonico- delle sue dichiarazioni.
Di fronte, peraltro, a un immotivato (ma, per quel che si è detto, non determinante) rifiuto di
acquisizione del detto elaborato, nulla vieta alla parte di ottenere il risultato agognato,
riproponendo detta acquisizione al giudice ai sensi dell’articolo 121 cpp.
5. Dunque, per quanto inelegante e immotivata possa essere stata la decisione di non
acquisire l’elaborato scritto del consulente di parte, tale decisione non ha inciso né
sull’esercizio del diritto di difesa degli imputati (potendo, come si è detto, i loro difensori
ottenere comunque l’acquisizione, attivando la procedura di cui all’articolo 121 del codice di
rito), né sulla formazione del compendio probatorio in base al quale i giudicanti hanno assunto
la decisione. E invero i giudici del merito, per quel che si è detto, hanno potuto ben conoscere
l’opinione del consulente di parte in ordine al contenuto delle intercettazioni in questione, ma
hanno motivatamente optato per la lettura datane dal perito, giustificando, in motivazione, la
loro decisione, in considerazione della particolare qualificazione e specifica esperienza del
perito trascrittore (in realtà si trattava di un collegio). D’altra parte, i ricorrenti non chiariscono
per qual motivo la asserita particolare conoscenza del dialetto petilino da parte del consulente
avrebbe dovuto essere dirimente. Invero, nel caso di specie, non si trattava di rendere in
italiano idiotismi calabresi, ma di accertare se una ben determinata parola (“eliminato”) fosse
stata pronunziata da Comberiati Vincenzo, oppure no.
6. Quanto al mancato ascolto in udienza della conversazione intercettata e registrata,
gli stessi ricorrenti riconoscono che a tanto non era obbligato il giudice.
L’ascolto -dunque- poteva ben avvenire in camera di consiglio (trattandosi peraltro di mera
facoltà e non di obbligo del collegio giudicante) ed è arbitraria l’affermazione in base alla quale
sarebbe certo che dette ascolto -in separata sede- non sia stato effettuato. Certamente il
giudice non è tenuto a dare atto dei documenti (tale è il supporto magnetico che contiene una
conversazione registrata) che egli esamina in camera di consiglio. Invero, come non deve
specificare di aver letto determinati atti contenuti nel fascicolo del dibattimento, come non è
tenuto a riferire che abbia visionato, oppure no, determinati corpi di reato acquisiti agli atti,
ovvero questa o quella foto presente nel predetto fascicolo, così non è tenuto a chiarire se
abbia, oppure non abbia, ascoltato o riascoltato il contenuto di una o più conversazioni. E
viceversa tenuto a dare atto, in sentenza, del convincimento formatosi a seguito dell’esame,
tra l’altro, dei documenti necessari per giungere alla decisione assunta. Ma tale esame può
essere stato compiuto in camera di consiglio, oppure in udienza, singolarmente da ciascun
magistrato, oppure congiuntamente dall’intero collegio. Per altro, come si è premesso, quella
di verificare de auditu le conversazioni intercettate è una facoltà, non un obbligo del
giudicante.
7. D’altronde (e sotto altro aspetto), neanche può essere dimenticato che la sentenza di
appello dà atto che Comberiati Vincenzo più volte aveva discusso con i suoi familiari di

13

•I

8. Manifestamente infondate, ai limiti della pretestuosità, sono le censure con le quali si
sostiene la inattendibilità dei risultati dell’esame stub sugli indumenti sequestrati a Comberiati
Salvatore e Pietro.
8.1. Innanzitutto, si evidenzia in sentenza come detto sequestro sia avvenuto alla
presenza del difensore dei predetti (fol. 33).
Quanto alle modalità di conservazione degli indumenti, si chiarisce che essi furono inseriti in
contenitori separati (uno per Pietro, uno per Salvatore). Sul punto la sentenza di primo grado
(fol. 81) evidenzia che gli indumenti furono “regolarmente isolati e sigillati, divisi con
riferimento al soggetto di appartenenza (contenuti in plichi di cartone, assicurati in chiusura
mediante carta, nastro adesivo per imballaggio e con risposta a croce, le cui estremità sono
fissate con un sigillo di piombo) “.
Tali modalità di conservazione furono verificate anche dal consulente tecnico di parte (fol. 30
sentenza di appello, fol. 88 sentenza di primo grado), il quale, contrariamente a quanto in
origine aveva sostenuto, ha finito per ammettere che i predetti indumenti non furono
conservati alla rinfusa in una busta.
8.2. La sentenza ricorsa, inoltre, chiarisce che, mentre la permanenza dei residui dello
sparo sulla cute è di breve durata, quella sui vestiti -e sulle superfici tessili in genere- è di
maggior durata; vi è, vale a dire, un più lungo tempo di ritenzione. Anche in considerazione di
tale circostanza, appare davvero arduo sostenere che, quando i verbalizzanti parlano di
superfici cutanee, in realtà intendono anche far riferimento ai vestiti. Si tratta di un’ipotesi che
non ha alcun fondamento né logico, né lessicale.
E poi: fino a prova del contrario, le espressioni utilizzate da un organo di polizia giudiziaria,
specie se si tratta di un organo tecnico o se, comunque, si è in presenza di un’attività
finalizzata ad un accertamento tecnico, devono essere intese nel “significato proprio delle
parole, secondo la connessione di esse”.
Al proposito, si è voluto contrapporre una accezione linguistica a una accezione storica della
locuzione “superfici cutanee” (punto sub D/e), ma l’assunto, oltre a essere alquanto arbitrario,
appare di difficile interpretazione.
Sta di fatto che -evidentemente- nel corso della istruttoria dibattimentale, nessuno dei
difensori chiese esplicitamente ai carabinieri di Petilia Policastro (come sarebbe stato logico in
presenza di un simile dubbio) se, nello studio del difensore dei Comberiati, il prelievo, oltre che
sulle superfici cutanee (correttamente intese), fosse stato eseguito anche sugli abiti che gli
indagati in quel momento indossavano. Invero, il dubbio avrebbe potuto (e dovuto) essere
sciolto in quella sede e non essere, singolarmente, “riservato” al momento dell’esame del
personale del RIS di Messina, che ricevette i vestiti già imballati (e “e messi in sicurezza”,
come ebbe a esprimersi il maggiore Di Santo). Gli appartenenti al RIS di Messina, ovviamente,
nulla potevano sapere -per conoscenza diretta- circa le modalità dei prelievi effettuati mesi
prima in Petilia Policastro e altro non potevano fare (come in effetti fecero) che formulare
astratte e generiche ipotesi.
D’altra parte, anche al di fuori di tali questioni terminologiche, è da rilevare che la sentenza
impugnata mette in evidenza come una tale abbondanza di particelle peculiari (vale a dire
esclusive dello sparo), unita a un numero così significativo di particelle meramente indicative
(vale a dire compatibili con l’attività di sparo) non può essere frutto di una casuale pollutio.

14

“Coscetta” (così era soprannominato, a causa della sua zoppia, Liotti Giuseppe) e del pericolo
che lo stesso rappresentava per la famiglia, in quanto stava compiendo sue personali “indagini”
sulla morte del fratello Pasquale (cfr. fol. 42, dove si dà atto del fatto che Vincenzo mima
anche l’andatura claudicante del Liotti). A fol. 43, poi, si dà atto di un’altra frase significativa
pronunziata da Comberiati Vincenzo a proposito di “Coscetta”: “vedete di regolarvi di come si
deve fare”. Che dunque Liotti Giuseppe costituisse una costante preoccupazione per Comberiati
Vincenzo e per i suoi congiunti non può esser dubbio, alla luce di quanto si legge nella stessa
sentenza impugnata. Anche sulla base di tali emergenze processuali (sulla base, vale a dire,
della complessiva valutazione dei colloqui intercorsi tra Comberiati Vincenzo e i suoi familiari),
la corte d’appello ha fondato il suo convincimento circa l’esatto contenuto della conversazione
nella quale è stata individuata la frase con la quale è stato conferito il mandato di uccidere
(eliminare) “Coscetta”.

9. Né raggiunge il segno la censura che sottolinea la pretesa stranezza consistente nel
fatto che i residui dello sparo sarebbero stati rinvenuti sugli indumenti sottostanti i giubbotti e
non anche sui giubbotti stessi; invero si evidenzia (cfr. fol. 31 della sentenza) come i giubbotti
che Comberiati Salvatore e Pietro vestivano al momento del sequestro degli indumenti non
erano quelli descritti da Liotti Giuseppe e che quindi i due imputati indossavano, secondo il
15

Invero: sugli indumenti di Pietro furono riscontrate ben 11 particelle peculiari e 400 particelle
indicative; su quelli di Salvatore una particella peculiare e 200 particelle indicative (gilet); una
particella peculiare e 100 particelle indicative (maglia).
Peraltro, dalla lettura dei ricorsi proposti nell’interesse di Comberiati Pietro e Salvatore non si
evince affatto che costoro, nel corso dell’intero procedimento (dalla fase delle indagini
preliminari al giudizio di secondo grado), abbiano mai esplicitamente dichiarato che, nello
studio del loro difensore, il prelievo fu eseguito tanto sulle superfici cutanee, quanto sugli
indumenti (maglie, giubbotti, pantaloni ecc.) che essi indossavano. I diretti interessati,
dunque, a quanto è dato intendere, non hanno mai, ex ore propria, sostenuto la tesi che i
rispettivi difensori hanno propugnato e, in questa sede, ribadiscono.
In mancanza, quindi, di concrete indicazioni in senso contrario, si deve ritenere che il prelievo
sugli indumenti sia stato operato (per la prima e unica volta) presso il RIS carabinieri di
Messina.
8.3. Si legge sempre in sentenza che il personale del RIS, esaminato nel corso del
dibattimento, ha chiarito che la concorrenza di particelle peculiari e di particelle indicative
conduce ad un giudizio di altissima probabilità (cfr. teste Romeo a fol. 27 della sentenza) circa
l’esposizione delle superfici esaminate alla ricaduta di polveri conseguenti allo sparo.
In merito, nessuno dei ricorrenti ha formulato significative obiezioni, essendosi tutti limitati a
ipotizzare che in caserma avrebbe potuto essersi verificato inquinamento, in considerazione del
fatto che quei locali sono frequentati da persone (i carabinieri) aduse a maneggiare armi da
fuoco.
8.4. Si tratta di un’argomentazione congetturale debole, sia perché, come anticipato,
nel caso di specie, il sequestro fu operato alla presenza del difensore, sia perché i reperti tessili
furono inseriti in un contenitore, sia perché l’ipotesi che nelle caserme dell’Arma “si respiri
polvere da sparo” è alquanto azzardata, considerando che i predetti militari sono autorizzati a
sparare, essenzialmente in due occasioni: o nel corso di un’operazione di servizio (artt. 52, 53
cp), ovvero in occasione di tiri di addestramento nel poligono. In entrambi i casi, tali attività
devono essere documentate per iscritto. Ebbene, nel caso di specie, tali documenti, non solo
non sono stati prodotti o richiesti, ovvero ricercati dalle Difese, ma neanche ne è stata
ipotizzata l’esistenza.
8.5. Sostenere che, poiché -nel relativo verbale- non si dà atto che Comberiati Pietro e
Salvatore siano stati fatti spogliare, il prelievo delle eventuali particelle indicative dello sparo
sia stato effettuato, oltre che sulle zone corporee certamente scoperte (viso, mani, polsi, collo
ecc.), anche sui vestiti che ricoprivano il resto della loro persona, appare, quindi, ipotesi
alquanto arbitraria. In sintesi, per i ricorrenti, dove leggesi, “gambe”, si deve intendere
“pantaloni”, dove leggesi “tronco”, si deve intendere pullover e così via. Ebbene, per quanto si
deduce dalla sentenza, l’istruttoria dibattimentale non ha affatto dimostrato che gli operanti
(professionisti della polizia giudiziaria) abbiano agito in maniera tanto maldestra e si siano
espressi -in un verbale di polizia- cori tale improprietà di linguaggio. Né l’acquisizione delle
schede redatte al momento del prelievo avrebbe potuto avere efficacia risolutiva, atteso che
poi, comunque, sarebbe stato necessario interpretare il contenuto delle annotazioni su di esse
riportato, vale a dire: cosa dovesse intendersi per superfici cutanee, eccetera.
E comunque, per quanto si è anticipato, i giudici del merito hanno affermato -per averlo
appreso dagli “esperti in materia”- che una così massiccia presenza di residui dello sparo sugli
indumenti in sequestro non può essere frutto di un inquinamento accidentale. Ne consegue
che, se pure -come si sostiene in alcuni ricorsi- i vestiti di Comberiati Salvatore e Pietro fossero
stati appoggiati, prima del loro inserimento negli appositi involucri, su di una scrivania nella
caserma dei carabinieri, ciò non giustificherebbe il reperimento di ben 11 particelle esclusive
dello sparo (insieme con 400 particelle compatibili) su di un indumento sequestrato agli
imputati.
Ciò, nella trama motivazionale della sentenza impugnata, rappresenta un dato insormontabile,
che le censure contenute nei ricorsi non hanno scalfito.

10. A fronte di un tale contesto probatorio, non costituisce certo decisione
contraddittoria quella in base alla quale la corte calabrese ha ritenuto di disattendere il
contributo di conoscenza proveniente dai testi indotti dalla difesa.
A parte le dichiarazioni che sono state considerate neutre, in quanto non incidenti sull’arco
temporale nel quale si verificò il tentativo di omicidio in danno del Liotti Giuseppe, i giudici del
merito sottolineano come i testi Vona, Ierardi, Trocino, Carvelli, Parise, Garofalo abbiano reso
dichiarazioni non lineari e anzi decisamente contraddittorie, quando addirittura non sospette di
essere state concordate (foll. 33, 35, 39); dichiarazioni nelle quali i giudicanti hanno intravisto
il tentativo di successivi “aggiustamenti” in favore degli imputati.
10.1 Sul punto, più specifica è la sentenza di primo grado.
Certamente, per quanto riguarda il Trocino, la corte correttamente osserva che il preteso
infimo livello culturale non interferisce minimamente con le capacità mnemoniche, per cui le
contraddizioni, le omissioni e le aporie di questo dichiarante non possono certo essere
giustificate col suo basso grado di scolarizzazione.
Nella sentenza del tribunale di Crotone (fol. 113) si pone in evidenza come questo teste sia
caduto in contraddizione circa la presenza in sua compagnia di Comberiati Pietro al momento
in cui si udirono gli spari e come, per quel che riguarda Comberiati Salvatore, le sue
dichiarazioni predibattimentali siano in piena opposizione con quelle rilasciate in corso di
dibattimento.
Medesimo discorso il primo giudice fa in relazione alle dichiarazioni di Ierardi (fol. 119), il quale
fa riferimento alla compresenza, presso l’autolavaggio del Trocino di Comberiati Salvatore, di
Vona e di Trocino stesso, con ciò entrando in contrasto con le dichiarazioni a suo tempo
rilasciate ai carabinieri dal Vona, dichiarazioni poi puntualmente corrette e integrate dal
predetto nel corso della istruttoria dibattimentale. E infatti questo teste (Vona Giuseppe)
dichiarò (cfr. sentenza primo grado fol. 110) in fase predibattimentale di aver visto Comberiati
Salvatore tra le 8 e le 8,30 intento a ramazzare innanzi al portone della sua abitazione e di
aver visto Comberiati Pietro tra le 9 e le 9,30 presso l’autolavaggio del Trocino. Quanto al
momento in cui si udirono gli spari, dichiarò, ai carabinieri di aver visto Salvatore solo dopo
aver udito le esplosioni: ma innanzi al tribunale ha affermato che il predetto era con lui in quel
preciso istante; con riferimento a Pietro, in fase di indagini, escluse di averlo visto; al
dibattimento ha affermato di non ricordare.
10.2. Ebbene, le sentenze di merito mettono in evidenza un “andamento costante” del
contenuto delle dichiarazioni dei compaesani dei Comberiati: incerti o negativi circa la presenza
in loro compagnia dei due imputati, nella fase delle indagini (e dunque nelle dichiarazioni
rilasciate ai carabinieri), essi mutano compattamente versione quando, a distanza di due anni,
vengono sentiti in dibattimento (Carvelli, Parise: cfr. foll. 111, 113 sentenza di primo grado).
I giudici del merito si convincono di trovarsi in presenza di testi compiacenti anche a seguito
della deposizione di Garofalo Rosetta (fol. 37 sentenza appello, fol. 117 sentenza tribunale),
che si legge essere zia della donna che convive con uno dei figli di Comberiati Vincenzo; al
proposito, i giudicanti rilevano che costei offre spontaneamente la sua deposizione a distanza
di ben sei mesi dai fatti, così come evidenziano che nessuno, in precedenza, l’aveva mai
nominata come persona presente insieme con gli altri astanti, mentre si verificavano i fatti per
i quali è processo.
Il contesto malavitoso, cui si faceva prima cenno, nel quale i fatti di causa si sono verificati,
rende plausibile la conclusione cui giungono i giudici del merito.
10.3. D’altra parte, va anche chiarito che, come lo stesso Trocino ebbe a dichiarare (cfr.
fol. 114 sentenza di primo grado: “era là, però l’orario non lo so dire”) le indicazioni relative ai

16

dichiarante, al momento dell’agguato. Da ciò i giudici di merito traggono la non illogica
conclusione che i due “sparatori” abbiano sostituito quegli indumenti che ritenevano essere
venuti a contatto con i residui dello sparo.
9.1. Neanche ha pregio l’osservazione in base alla quale sarebbe anomalo il fatto che
sul collo e sul braccio esposto (ma non si chiarisce cosa si intende con tale ultima espressione)
degli attentatori non furono rinvenuti i resti dello sparo. Si può sostenere la singolarità di tale
circostanza solo se si dimentica che la sentenza ha chiarito che, come riferito da Liotti
Giuseppe, coloro che partecipano all’agguato calzavano guanti e indossavano caschi da
motociclista; guanti -sia detto per inciso- che non ostacolano certo l’uso di un’arma da fuoco,
tanto con la mano destra, quanto con la sinistra.

11. Venendo alla posizione dei ricorrenti Liotti Franco e Liotti Carlo, va subito detto che
la censura sub N) è fondata.
Il delitto di cui all’articolo 377 bis cp prevede la condotta di chi, con violenza o minaccia, con
offerta o promessa di danaro o di altre utilità, induca taluno a non rendere dichiarazioni o a
rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria. Ebbene è indubbio che Liotti Franco abbia
tentato di indurre il padre Giuseppe a ritrattare le sue dichiarazioni, ovvero a modificarle; ma
ciò che non emerge minimamente dalle sentenze di merito è che lo stesso abbia utilizzato le
modalità descritte nel predetto articolo. Certamente non vi fu offerta o promessa di danaro o di
altre utilità, ma, per quanto è dato comprendere, neanche furono utilizzate modalità violente o
minpcciose, se è vero, come si afferma nel ricorso e come, d’altra parte, emerge dalla stessa
senenza, che Liotti Franco si limitò a inveire contro il padre e a manifestare il suo disappunto
per le dichiarazioni che lo stesso andava rendendo nel corso dell’incidente probatorio. Ora, se
appare strano e certamente disdicevole che si consenta a chicchessia, durante l’espletamento
di una procedura giudiziaria, di tenere una condotta quale quella descritta dal maggiore Di
Santo, non per questo un comportamento così intemperante viene, di per sé solo, a integrare
gli estremi della violenza e/o della minaccia, che, come si è visto, rappresenta un elemento
costitutivo del delitto in questione. Ne consegue la insussistenza del fatto e, sul punto,
l’annullamento senza rinvio con riferimento al delitto del capo C).
12. Diverse considerazioni devono essere -viceversa- svolte per quel che riguarda il
delitto del capo D), ascritto a Liotti Franco, Liotti Carlo (calsse 1951) e a Liotti Carlo (classe
1970, che, come si è detto, non è ricorrente); invero Franco si portò, due giorni dopo lo
svolgimento dell’incidente probatorio, presso i carabinieri di Petilia Policastro e rilasciò
dichiarazioni che avrebbero dovuto “smontare” quelle del padre, rese in incidente probatorio.
D’altra parte, la stessa condotta a lui contestata al capo C), se, per quanto si è appena scritto,
non vale a integrare il delitto ex artt. 56-377 bis cp, nondimeno rappresenta un ulteriore
episodio attraverso il quale Liotti Franco tentò di portare aiuto ai Comberiati. Che poi Franco
(come Carlo) fosse inconsapevole di stare aiutando i predetti a sottrarsi alle indagini della A.G.
è affermazione paradossale, in quanto essi non potevano non essere consapevoli di stare
mentendo in relazione al ferimento di Liotti Giuseppe.
12.1. Non contento di ciò, infatti, Liotti Franco tentò di fornire un alibi a Comberiati
Salvatore e Pietro.

tempi degli incontri (veri o presunti) con i Comberiati vanno certamente relativizzate, in
quanto sembra abbastanza improbabile che, nel momento in cui i compaesani si incrociavano
per le vie o si fermavano a parlare tra di loro, tenessero lo sguardo fisso sull’orologio. Si vuoi
dire: è evidente che trattasi di indicazioni di massima che, di per sé sole, non possono porre in
crisi una ricostruzione dei fatti basata, non solo sulle precise dichiarazioni di Liotti Giuseppe,
ma anche su solidi riscontri (esame stub e intercettazioni).
10.4. Dunque, la pretesa “incompatibilità cronologica” non può, nel caso in esame,
essere argomento risolutivo.
Nella sentenza di primo grado, d’altra parte, (cfr. fol. 105) si chiarisce che il maresciallo De
Vuono ebbe a dichiarare di avere incrociato Comberiati Pietro nelle vie di Petilia Policastro tra
le 11 e le 11,30 (dunque non tra le 11,20 e le 11,40 come si legge sub punto B/d), con la
conseguenza che la tempistica di cui al punto sub D/g va -per quel che vale, appunto,
l’argomento temporale- ricalcolata secondo tale affermazione.

13. Quanto a Liotti Carlo (1951), fratello di Giuseppe, va innanzitutto detto che non può
parlarsi di reato impossibile, in quanto, anche dopo l’incidente probatorio, Liotti Giuseppe
avrebbe potuto essere indotto a rendere false dichiarazioni in ordine al suo ferimento.
13.1. Per quel che riguarda la diversa (ipotetica) interpretazione del contenuto delle
conversazioni intercettate, va ricordato che l’interpretazione delle espressioni adoperate dai
soggetti intercettati costituisce questione di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di
merito e si sottrae al giudizio di legittimità, se la valutazione risulta logica in rapporto alle
massime di esperienza utilizzate (es. ASN 200817619-RV 239724).
13.2. Quanto alla censura del punto sub 3), la pretesa causa di esclusione della
punibilità (non della colpevolezza), ad evidenza, non sussiste. Invero, non sussiste -o almeno
non viene evidenziato- alcun legame logico tra la condotta di favoreggiamento a vantaggio di
17

ce

„ e

coloro che tentarono di uccidere Liotti Giuseppe, fratello dell’imputato, e il rischio che, secondo
quanto si legge nel ricorso, Liotti Carlo (classe 1951) correrebbe -con riferimento a un suo
ipotizzabile coinvolgimento nell’omicidio dell’altro fratello Pasquale- se Giuseppe avesse
perseverato, come poi ha fatto, nell’accusare Comberiati Pietro e Salvatore di avergli sparato il
29 marzo del 2008.

15. Il parziale annullamento senza rinvio (per Franco) comporta la eliminazione della
pena relativa al delitto del capo C), con necessità di rideterminare il trattamento sanzionatorio.
Detta rideterminazione può essere effettuata direttamente da questa corte, in quanto i giudici
di merito ritennero più grave il delitto del capo C) (art. 56-377 bis cp); pena base fu
determinata in anni uno di reclusione (cfr. sentenza di primo grado fol. 208), cui, ai sensi
dell’articolo 81 cp, fu aggiunta la pena di mesi due per il delitto di cui all’articolo 378 cp. Tale
aumento per continuazione (mesi due), peraltro, coincide con la pena che, per il solo reato del
quale erano chiamati a rispondere (art. 378 cp, appunto), è stata applicata ai due omonimi
Liotti Carlo. Consegue che detta pena va confermata -ricorrendo la eadem ratio- per Liotti
Franco.
La richiesta di più mite trattamento sanzionatorio per Liotti Franco (cfr. censura sub Q), in cui
favore i giudici del merito non hanno riconosciuto le attenuanti generiche, non viene in alcun
modo giustificata, atteso -oltretutto- che la residua pena per il delitto ex art. 378 cp non può
certo dirsi lontana dal minimo edittale.
15.1. Con riferimento a questo imputato, i giudici del merito hanno evidenziato la
particolare insistenza nel perseguire l’illecito obiettivo, come evidenziato dalle condotte
illustrate ai capi D) e C). Di tale ultimo reato, come sopra chiarito, Liotti Franco non deve
essere chiamato a rispondere; nondimeno la condotta tenuta (le cc.dd. intemperanze durante
l’incidente probatorio) è stata ritenuta sintomatica della particolare intensità del dolo.
16. Conclusivamente: premesso che le acquisizioni sub punti E/g ed E/h (di cui non è
traccia nelle sentenza del tribunale e della corte di appello) non possono essere esaminate in
sede di legittimità, le censure sub punti M e O sono assorbite in quella sub punto N, che, come
premesso, è fondata e va accolta.
Per le ragioni sopra ampiamente chiarite:
a) sono inammissibili le censure di cui sub punti: A/a, perché presuppone una diversa
ricostruzione in fatto, ricostruzione, per altro, apertamente tendenziosa, che non tiene conto,
come si è visto, di evidenti emergenze processuali, A/b e Blb, in quanto in fatto e
manifestamente infondate, A/d in quanto generica e non pertinente, B/d, in quanto
manifestamente infondata (invero non è esatto che tutte e 11 le persone resero nell’immediato
dichiarazioni a supporto dell’alibi di Comberiati Salvatore e Pietro, attesa la evidente differenza
-sopra ricordata- tra dichiarazioni dibattimentali e predibattimentali), C/a, perché
manifestamente infondata e generica (è emerso, per stessa ammissione del consulente di
parte, che non furono utilizzati sacchi di plastica e che i vestiti furono conservati
separatamente), C/b, in quanto irrilevante per genericità (l’assoluzione di Comberiati Nicola
non inficia la ricostruzione operata da Liotti Giuseppe), D/a in quanto manifestamente
infondata (non risponde al vero che i giudici del merito non abbiano tenuto presente il
sentimento di astio e il desiderio di vendetta che animavano Liotti Giuseppe, né risponde al
vero che l’alibi per Comberiati Pietro e Salvatore abbia subito preso forma a seguito delle
immediate dichiarazioni dei loro compaesani, avendo piuttosto la impugnata sentenza -oltre a
quella di primo grado- evidenziato come si sia trattato di un alibi “a formazione progressiva”),
D/c, in quanto in fatto e, per altro, congetturale, D/g, in quanto manifestamente infondata e
anche generica (nella parte in cui non tiene conto dell’orario indicato dal maresciallo Di Vuono,
che, come premesso, ha collocato l’incontro approssimativamente tra le 11 e le 11,30), E/a,
perché manifestamente infondato (invero il processo non può qualificarsi indiziario, essendo
prove piene le dichiarazioni della persona offesa, l’esito degli stub e il contenuto delle
conversazioni intercettate), E/b, in quanto propone una alternativa ricostruzione dell’accaduto,
a fronte di motivazione compiuta, congrua e non illogica, E/d, in quanto manifestamente
18

14. Conseguentemente, mentre il ricorso di Liotti Carlo (1951) va rigettato, quello di
Liotti Franco va parzialmente accolto, come premesso, con riferimento al delitto del capo C) e
va rigettato per quel che riguarda il capo D).

17. Comberiati Vincenzo, Pietro e Salvatore, così come Liotti Carlo (classe 1951),
vanno singolarmente condannati alle spese del grado.

18. Comberiati Vincenzo, Pietro e Salvatore vanno anche condannati al ristoro, in
solido, delle spese sostenute in questa fase di giudizio dalla parte civile, spese che si liquidano
come da dispositivo.
PQM
annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al delitto di cui al capo C), ascritto a
Liotti Franco perché il fatto non sussiste; rigetta nel resto il ricorso dello stesso Liotti Franco
predetto e ridetermina la pena allo stesso irrogata in finali mesi due di reclusione,
confermando i doppi benefici;
rigetta i ricorsi di Comberiati Vincenzo, Comberiati Salvatore, Comberiati Pietro, Liotti Carlo
(classe 1951), che condanna singolarmente al pagamento delle spese del procedimento;
condanna Comberiati Vincenzo, Comberiati Salvatore, Comberiati Pietro in solido al ristoro
delle spese sostenute dalla parte civile per questo giudizio di cassazione e le determina in
complessivi euro milleottocento (1.800), oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, in data 18 aprile 2013.-

infondata (atteso che le discrasie tra le dichiarazioni dei vari testi e tra quelle dello stesso teste
in due momenti diversi non sono insignificanti), E/f, in quanto manifestamente infondata (non
potendosi le dichiarazioni del Marino qualificare come risalenti rispetto ai fatti per i quali è
causa), F, in quanto generiche e irrilevanti, F/a, in quanto la corte territoriale ha chiarito e
giustificato le ragioni per le quali ha ritenuto attendibile la trascrizione effettuata dai periti
rispetto a quella effettuata dal consulente tecnico, G, in quanto in fatto e congetturale (oltre
che contrastante con l’assunto della censura di cui sub punto D/d), I, in quanto generica;
manifestamente infondate, infine, sono le censure sub punti D/b, D/f, E/c, K, L, P, Q.
p) sono infondate tutte le residue censure (in particolare: quelle sub B/a, C ed H, in quanto lo
scrutinio di credibilità sulle dichiarazioni di Liotti Giuseppe è stato effettuato; A/c, B/c, E/e in
relazione al preteso obbligo di riascolto delle conversazioni intercettate, che non sussiste; D/e,
in quanto non corrisponde al vero che le dichiarazioni di Liotti Giuseppe siano state apprezzate
separatamente dagli altri elementi che le hanno riscontrate; infine: 3, in relazione alla
pretesa sussistenza della causa di non punibilità per Liotti Carlo).

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA