Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23777 del 10/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 23777 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LEODORI ATTILIO N. IL 14/09/1962
avverso la sentenza n. 2246/2008 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 12/07/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO
che ha concluso per

Udito, per la parte ivile, l’Avv
Udit i difensor ‘vv.

Data Udienza: 10/04/2013

udito il PG in persona del sost.proc.gen. dott. G. Izzo, che ha chiesto dichiararsi
inammissibile il ricorso.

1. Leodori Attilio fu condannato dal tribunale di Teramo, con sentenza 3
giugno 2008, alla pena di anni tre e mesi tre di reclusione, in quanto ritenuto
colpevole del delitto di cui agli articoli 216 comma primo nn. 1 e 2 -219 comma
secondo n. 1 LF, oltre pene accessorie, in relazione al fallimento della sas TRASME,
dichiarato con sentenza 20 ottobre 2000.
La corte d’appello di L’Aquila, con la sentenza in epigrafe indicata, ha confermato la
statuizione di primo grado.

2. Ricorre per cassazione l’imputato e deduce: a) violazione degli articoli 190
comma terzo, 495 comma quarto, 178 lett. c) cpp, 24, 111 Cost., in quanto il giudice
di primo grado arbitrariamente revocò l’ordinanza ammissiva della prova testimoniale
relativa ai testi introdotti dalla difesa, privando, in tal modo, l’imputato della
possibilità di esercitare il proprio diritto, appunto, di difesa. Per altro la decisione fu
assunta in assenza di contraddittorio, in quanto, in quel momento, per mera
combinazione, il difensore dell’imputato era assente dall’aula; è stato quindi impedito
al Leodori di difendersi provando e, ciò che è più grave, la decisione è stata assunta in
assenza di contraddittorio. Il giudice peraltro può escludere le prove vietate dalla
legge e quelle sovrabbondanti, ma il codice non prevede una ipotesi di decadenza dal
Mezzo di prova in ragione dell’omessa citazione. Peraltro, nel caso in esame, la
citazione non era stata affatto omessa, b) inosservanza di norme processuali in
relazione agli articoli 517, 521 cpp: invero l’imputato è stato condannato per l’ipotesi
aggravata ai sensi degli articoli 216 e 219 LF. La aggravante in questione, tuttavia,
non compariva nel capo d’imputazione; essa è stata però ritenuta in sentenza, con ciò
violandosi il disposto dell’articolo 517 del codice di rito, che prevede, com’è noto, che
l’aggravante debba essere contestata all’imputato, se emersa nel corso del
dibattimento, e che l’imputato, in tal caso, ha diritto ad una restituzione in termini,
per articolare adeguate difese, c) difetto, mancanza, contraddittorietà, illogicità di
motivazione, in quanto la corte d’appello si è limitata a un esame sommario e
superficiale della valutazione degli elementi probatori, senza effettuare
un’approfondita disamina delle risultanze processuali. Ne consegue che la motivazione
appare insufficiente a soddisfare l’esplicitazione del percorso argomentativo, di talché
rimane oscura la ragione per la quale il giudice d’appello si è risolto a confermare la
pronuncia di colpevolezza maturata in primo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La prima censura è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.
1.1. Si legge nella sentenza impugnata che l’imputato non ha affatto eccepito la
nullità della sentenza di primo grado, ma si è limitato a chiedere la riapertura della
istruttoria dibattimentale. Il giudice di appello, ritenendo la causa sufficientemente
istruita, non ha acceduto alla richiesta in questione.
Con il ricorso, dunque, si propone questione non dedotta in appello.
2. La seconda censura è infondata, in quanto, nel caso in cui un’aggravante sia
contestata “in fatto” e in merito ad essa si sia concretamente articolata la attività
difensiva, non è necessaria la contestazione integrativa ex art. 517 cpp.

RITENUTO IN FATTO

3. La terza censura è inammissibile per genericità, atteso che, a fronte di una
motivazione congrua e logica, quale si evince dalla lettura “congiunta” delle sentenze
di primo e secondo grado (che si compendiano), il ricorrente si è limitata a una
aspecifica doglianza , accampando una non adeguata valutazione delle emergenze
processuali.
4. Conclusivamente, il ricorso merita rigetto e il ricorrente va condannato alle
spese del grado.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma in data 1 aprila 2013.-

PQM

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