Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23772 del 10/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 23772 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CORONA FABRIZIO MARIA N. IL 29/03/1974
avverso la sentenza n. 6499/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
07/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO

Udito, pe a parte civile, l’Avv
Udit ifensor Avv.

Data Udienza: 10/04/2013

1. Corona Fabrizio Maria, giudicato con rito abbreviato, fu condannato dal GUP presso
il tribunale di Milano, con sentenza 24 aprile 2011, alla pena di giustizia, in quanto riconosciuto
colpevole dei delitti di cui agli articoli 81 cpv, cp e 2 decreto legislativo 74/2000, nonché di cui
agli articoli 223-216 comma primo nn. 1 e 2 e 219 LF (bancarotta fraudolenta patrimoniale e
documentale), in relazione al fallimento della S.r.l. Corona’s, dichiarato con sentenza 4
dicembre 2008.
2. La corte d’appello di Milano, con la sentenza di cui In epigrafe, in parziale riforma
della pronuncia di primo grado, ha assolto Corona dall’addebito di natura fiscale perché il fatto
non sussiste; ha confermato nel resto la pronuncia di primo grado, rideterminando la pena in
quella di anni 3 e mesi 10 di reclusione, oltre pena accessoria, ribadendo la condanna al
risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, Agenzia delle entrate, e
liquidando, in favore della stessa, la somma di euro 1800 quale rimborso per le spese
sostenute per costituzione e difesa nel secondo grado di giudizio.
3. Ricorre per cassazione il difensore dell’Imputato e deduce cinque censure.
4. Prima censura: erronea applicazione della legge penale, in particolare dell’articolo
223, in relazione all’articolo 216 e all’articolo 219 LF, con specifico riferimento all’addebito di
bancarotta documentale.
Secondo il capo di accusa, il Corona avrebbe sottratto e/o distrutto, in tutto in parte, la
documentazione contabile della società o, comunque, l’avrebbe tenuta in modo da non rendere
possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. In merito a tale addebito,
la corte d’appello si è sostanzialmente rifatta alla motivazione della sentenza di primo grado,
integrandola, tuttavia, come essa stessa scrive, con altre considerazioni. Ne scaturisce una
motivazione oggettivamente contraddittoria. Invero il GUP, da un lato, ha affermato che era
Impossibile la ricostruzione del movimento degli affari, dall’altro, ha sostenuto che detta
ricostruzione è stata effettuata sulla base della documentazione bancaria sequestrata dalla
polizia giudiziaria e consegnata al curatore. Non si comprende -allora- se detta ricostruzione
Sia stata possibile oppure no. La sentenza di primo grado esplicitamente afferma che il
curatore ha potuto compiere una ricostruzione analitica sulla base della predetta
documentazione. Secondo la corte d’appello, poi, la contabilità sarebbe stata tenuta con
modalità non solo irregolari, ma anche in maniera confusa, approssimativa e illecita, In quanto
non sarebbero state contabilizzate alcune operazioni, atteso che esse sarebbero state compiute
“in nero”.
Ebbene, la più recente giurisprudenza ha ritenuto che, perché possa parlarsi di bancarotta
fraudolenta documentale, deve essere effettivamente impossibile la ricostruzione del giro
d’affari e del patrimonio del fallito, ovvero detta ricostruzione deve essere frutto di una tecnica
particolarmente raffinata, posta in esecuzione dagli interpreti, in un momento successivo aR
fallimento. Tale non è il caso in esame, anche in considerazione di quanto la stessa sentenza
d’appello attesta, vale a dire che parte della documentazione fiscale fu depositata dal ragionier
Leoncavallo. Anche sulla base di tale documentazione, di fatto, è stata possibile la ricostruzione
della contabilità. Sembra quindi evidente che i giudici di merito confondono la impossibilità di
ricostruire il patrimonio, con la non immediatezza della ricostruzione stessa; tale seconda
ipotesi è quella che si è verificata nel caso di specie e, peraltro, il ritardo non è neanche
addebitabile all’imputato, ma ai professionisti (commercialisti) che con lui collaboravano.
Quanto al fatto che alcune operazioni sarebbero state compiute “in nero”, nonostante quel che
si legge sentenza, Corona non ha mai ammesso ciò. In sintesi, il curatore si è semplicemente
lamentato delle difficoltà di reperimento della documentazione societaria e contabile, ma non
ha mai affermato che la ricostruzione del patrimonio e del giro d’affari fosse impossibile.

udito il PG in persona del sost.proc.gen. dott. G. Izzo, che ha chiesto rigettarsi il ricorso,
emendata la condotta relativa alla cessione del marchio come distrazione,
udito il difensore della PC, avv. dello Stato P. Grasso, che ha chiesto rigettarsi il ricorso e ha
depositato conclusioni scritte e nota spese,
uditi i difensori dell’imputato avv.ti G.L. Maris e G. Cricchio che hanno illustrato il ricorso e ne
hanno chiesto l’accoglimento
RITENUTO IN FATTO

3

Peraltro, la corte d’appello sostiene che, anche quando la tenuta della contabilità è demandata
a professionisti esterni, l’amministratore, non per questo, va esente da responsabilità in caso
di Irregolari o manchevoli annotazioni, in quanto egli deve -comunque- vigilare. Il principio,
nella sua astrattezza, è condivisibile, ma l’imputato deve essere stato nella condizione obiettiva
di esercitare tale attività di vigilanza. Ciò è quello che, nel caso in esame, non è stato possibile
in quanto Corona, per tutt’altre vicende, è stato detenuto per un considerevole periodo di
tempo.
Tutte tali considerazioni furono rappresentate a entrambi i giudici di merito, anche allo scopo di
prospettare l’alternativa ipotesi della bancarotta documentale semplice, ipotesi che è stata
arbitrariamente scartata sia dal giudice di primo, che da quello di secondo grado.

5. Seconda censura: illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento alle
pretese condotte distrattive. Invero:
a) quanto alla registrazione del marchio “I Corona’s”, le due sentenze si contraddicono, in
quanto, in primo grado, si afferma che il marchio sarebbe stato ceduto gratuitamente alla S.r.l.
Fenice; in secondo grado si adombra l’ipotesi della dissipazione, sostenendosi che il marchio
non fu ceduto ma fu direttamente assunto dalla Fenice e tuttavia le spese per la sua
elaborazione e registrazione furono sostenute dalla S.r.l. Corona. Si tratta di due ipotesi
accusatorie completamente diverse e che mal si conciliano; per cui l’intento enunciato dal
secondo giudice di voler confermare integralmente, sul punto, la pronuncia di primo grado è
oggettivamente e intrinsecamente contraddittorio.
Peraltro si è verificata anche la nullità di cui agli articoli 521-522 cpp, in quanto non sussiste
più la correlazione tra la contestazione e la sentenza. Né può sostenersi che la condotta sia
comunque stata descritta nel capo d’imputazione, in quanto una cosa è cedere, senza
corrispettivo, il marchio, altro è dissipare i fondi necessari per la elaborazione e la
registrazione di un marchio, di cui altri si approprierà. E evidente che la linea difensiva, in un
caso e nell’altro, non potrà che essere differente;
b) quanto alla distrazione della somma di euro 1.071.736 in favore della S.r.l. Fenice, di
nuovo si riscontra contraddizione tra la motivazione della sentenza di primo grado e quella di
secondo grado. Per il GUP, la S.r.l. Corona’s avrebbe stipulato contratti, avrebbe svolto attività
in virtù di detti contratti, non avrebbe però poi incassato i corrispettivi, che viceversa
sarebbero stati incassati dalla Fenice. Per la corte d’appello, Invece, detti contratti non
sarebbero mai stati stipulati, ma la S.r.l. Fenice avrebbe usufruito della clientela e
dell’avviamento della S.r.l. Corona’s, senza corrispondere alcunché alla predetta. Vi sarebbe
dunque stato, secondo i giudici d’appello, lo sviamento della clientela e/o dell’avviamento. Al
proposito, si osserva che, mentre la clientela non può essere oggetto di distrazione, perché
essa non rappresenta un bene giuridicamente ed economicamente valutabile, ma una mera
aspettativa, l’avviamento, secondo la recente giurisprudenza, neanche può essere oggetto di
distrazione o dispersione, in quanto non facente parte del patrimonio materiale
dell’imprenditore,
c) quanto alle ipotesi distrattattive individuate nei pagamenti a favore di soggetti giuridici
diversi: c/1) per quanto riguarda la somma di euro 50.000 in favore della Carlo’s, si trattò del
pagamento alla ex moglie del Corona per compensi che le spettavano per l’attività
professionale svolta. Arbitrariamente la corte d’appello sostiene che tale affermazione non è
riscontrata, mentre, già in primo grado, si dimostrò documentalmente il contrario. E il fatto che
in contabilità non sia stato inserito tale pagamento non può, di per sé, rendere non credibili le
affermazioni della Moric (ex coniuge dell’imputato), c/2) per quel che riguarda le pretese
distrazioni in favore di S.r.l. FIDI ed S.r.l. L&B, anche in questo caso i giudici di merito si
pongono In contrasto con le risultanze processuali, In quanto è rimasto provato che le due
società erano fornitrici della Corona’s e, a fronte di tali dati oggettivi, non si comprende la
posizione dei giudicanti, c/3) per quel che riguarda la somma di 280.000 euro, prelevata dai
conti della fallita, ancora una volta la giustificazione risulta dai dati oggettivi e documentali,
vale a dire dai “mastrini” relativi all’anno 2007 e dal bilancio del 2006, dai quali si evince che le
somme furono regolarmente percepite dall’amministratore, c/4) per quel che riguarda la
pretesa distrazione dell’autovettura Smart, ancora una volta, la motivazione è illogica, in….«,
quanto, nel momento in cui si sarebbe verificata la pretesa distrazione, l’auto non era più nella
disponibilità della S.r.l., essendo stato risolto dal contratto di leasing. Peraltro, sostenere che
l’uso dell’autovettura non sia inerente all’oggetto sociale è una pura assurdità,

7. Quarta e quinta censura, inerenti al trattamento sanzionatorio, atteso il mancato
riconoscimento dell’attenuante di cui all’articolo 62 numero 6 cp e la mancata prevalenza delle
già concesse attenuanti generiche.
Invero, il Corona pose a disposizione la somma di euro 1.373.815,60 e prestò il proprio
assenso all’erogazione in favore della procedura fallimentare dell’ulteriore somma di euro
200.000. Si chiarì poi che il danno vantato dall’Agenzia delle entrate poteva essere solo quello
di natura morale. La scelta di destinare l’intera somma alla curatela fallimentare, che ha poi
conseguentemente revocato la costituzione di parte civile, non può essere addebitata al
ricorrente, al quale -tuttavia- i giudici di merito rimproverano di non aver offerto nulla alla
predetta Agenzia. Sta di fatto, viceversa, che il Corone ha fatto quanto possibile per risarcire il
preteso danno e ciò, in base alla recente giurisprudenza di legittimità, è quanto basta per
meritare l’attenuante in questione, poiché essa ha natura soggettiva e deve ritenersi
sufficientemente integrata quando l’imputato abbia comunque reso una tangibile
manifestazione di ravvedimento in favore del danneggiato.
Discorso non dissimile va fatto per l’attenuante di cui all’articolo 62 bis cp e alla non corretta
applicazione dell’articolo 69 dello stesso codice. Per negare la prevalenza delle attenuanti
generiche, i giudici di secondo grado fanno riferimento a pretese giacenze finanziarie del
Corona all’estero. Di ciò però non vi è alcuna traccia in atti e gli unici fondi esteri consistono in
quelli depositati presso le banche di San Marino, il cui rientro è stato oggettivamente facilitato
dal Corona. In sintesi, l’imputato ha tenuto una condotta processuale corretta e una condotta
extraprocessuale concretamente riparatoria, che avrebbero meritato una ben più benevola
considerazione da parte dei giudici del merito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La prima censura è inammissibile per manifesta infondatezza.
1.1. Va innanzitutto premesso, che, come la sentenza di secondo grado non manca di
evidenziare, lo stesso Corona ha ammesso di avere emesso fatture “gonfiate” o addirittura per
operazioni inesistenti. Ne consegue, inevitabilmente, che le annotazioni contabili non possono
che essere rimaste alterate da tale condotta, in quanto, evidentemente, esse i« si riferiscono a
importi non veritieri, o perché completamente simulati, o perché comunque indicati in misura
maggiore rispetto a quella reale. Se a ciò si aggiunge il fatto che la stessa sentenza afferma
che il Corona ha ammesso di avere a volte operato “in nero”, ne consegue, ulteriormente, che
le annotazioni contabili certamente non rispecchiano la realtà degli acquisti, delle vendite e
comunque dei movimenti finanziari relativi alla S.r.l. E’ vero che, nel ricorso, si sostiene che
Corona non ha mai ammesso di aver eseguito tal tipo di operazioni, ma l’assunto è
contraddetto da quanto si legge in sentenza e precisamente all’ ultimo rigo di fol. 9. Al
proposito, non può certamente bastare la generica smentita affidata alla pur autorevole penna
del difensore.
1.2. D’altra parte, anche Silvestri Marcello (che ha definito la sua posizione ai sensi
dell’articolo 444 cpp) ebbe a dichiarare (cfr. fol 4 della sentenza di secondo grado) che il
Corona gli chiedeva spesso di influire sulle fatturazioni, esigendo poi la restituzione del 30%
della somma. Tal tipo di operazioni il Silvestri, in questo confortato dalle dichiarazioni di tal
Fanti Ettore, afferma aver costituito il 90% delle transazioni commerciali avute con il Corona.
D’altra parte, i giudici di appello non hanno mancato di evidenziare che l’imputato non fece mai
pervenire al curatore neanche l’elenco completo dei debitori e dei creditori della società (cf r.

6. Terza censura: illogicità e contraddittorietà della motivazione quanto all’elemento
psicologico del delitto di bancarotta per distrazione; invero la sentenza motiva in maniera del
tutto apodittica, limitandosi ad affermare che è sufficiente il dolo generico. Tale acquisizione
non è ignota alla difesa, essendo consolidato il principio in base al quale è sufficiente la
consapevolezza e la volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa, rispetto alle
finalità dell’impresa, ovvero di compiere atti che possano cagionare danno ai creditori. Ma è
proprio su tale consapevolezza e sulla corrispondente volontà da parte dell’imputato che la
corte non motiva, dando per scontati entrambi tali elementi. Peraltro viene completamente
ignorato il fatto, già anticipato, che il ricorrente fu detenuto per la cosiddetta “Vallettopoli”,
proprio nel periodo di interesse.

2. Per quel che riguarda la cosiddetta distrazione del marchio (seconda censura sub a),
va innanzitutto premesso che il giudice d’appello, in ragione del principio devolutivo, ben può
conoscere della condotta dell’imputato nella sua materialità, secondo quanto prospettato nei
motivi di impugnazione ed è certamente libero di ricondurre detta condotta a una diversa
fattispecie incriminatrice, salvo il limite del divieto della reformatiio in pejus .
In proposito comunque la corte d’appello rileva che La Fenice certamente non avrebbe potuto
correttamente registrare a suo nome un marchio prima della sua stessa costituzione. Secondo
la teste Mauri, poi, Corona registrò il marchio a suo nome. Resta il fatto, comunque, che del
marchio si avvalse La Fenice, ma che le spese per la sua elaborazione e la registrazione furono
sostenute da Corona’s.
Tale condotta è stata chiaramente contestata al ricorrente nel capo d’imputazione, nel quale si
legge che la somma di C 65.000 fu erogata dalla società fallita, vale a dire da Corona’s alla
S.r.l. Margherita. Non si è dunque verificata alcuna nullità per mancata correlazione tra
contestazione condanna.
Ne consegue che tale primo aspetto della seconda censura è inammissibile per manifesta
infondatezza.
3. Quanto alla seconda censura sub b), richiamando quanto detto sopra circa i poteri
del giudice d’appello, va chiarito, che, come emerge dalle parole della teste Mauri, la S.r.l. La
Fenice fu costituita dallo stesso Corona, che ne era il reale dominus (amministratrice di diritto
figurando la madre dell’imputato), proprio allo scopo di trasferire nella nuova S.r.l. tutte le
attività della vecchia società, ormai avviata verso il fallimento.
Dunque, più che di cessione della clientela e/o dell’avviamento, si deve parlare di trasferimento
di tutti i beni e di tutte le attività da Corona’s a Fenice, come chiaramente illustrato nella
sentenza d’appello a fol. 12. In pratica, secondo un collaudato schema truffaldino, nella società
destinata al fallimento si sono lasciate tutte le passività, mentre i beni, le attrezzature, il know
how e persino il personale sono stati trasferiti alla nuova società (S.r.l. La Fenice), “sorta dalle
. Ceneri” della vecchia (cfr. dichiarazioni della teste Mauri, del teste Bruno e, in parte, dello
stesso Corona).
La Fenice non aveva un suo patrimonio, tanto che non aveva neanche un archivio fotografico e
le fu ceduto quello di Corona’s (teste Mauri) e la cessione avvenne a titolo gratuito
Dunque, anche se impropriamente si legge nella sentenza d’appello che sarebbe stato
trasferito l’avviamento da una società all’altra, ciò che è stato trasferito è (certamente anche)
la struttura produttiva e la forza lavoro; in altre parole S.r.l. Corona’s è stata “svuotata” a
vantaggio di S.r.l. Fenice. Tale condotta è stata chiaramente contestata all’imputato, il quale
risulta essersi difeso sul punto.
Ne consegue che tale particolare aspetto della seconda censura è infondato.

fol. 9). Cosa certa è che il curatore non ebbe a disposizione se non parte trascurabile della
documentazione contabile e dei libri. Il fatto che, nel corso del procedimento, il ragionier
Leoncavallo abbia poi consegnato alcune scritture e che, comunque, il curatore, principalmente
sulla base della documentazione bancaria recuperata dalla Guardia di Finanza, sia riuscito a
ricostruire approssimativamente la consistenza patrimoniale della S.r.l. e il suo giro d’affari,
certamente non vale a far ritenere insussistente il delitto contestato. Ciò si dice, sia perché lo
stesso curatore nella sua relazione afferma di aver, con approssimazione, ricostruito gli eventi
contabili della S.r.l. (egli scrive (W una ricostruzione “il più possibile precisa”cfr. ricorso fol. 3),
sia perché costituisce giurisprudenza costante di questa sezione (da ultimo ASN 201021588RV 247965) il principio in base al quale sussiste il reato di bancarotta fraudolenta
documentale non solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo
in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte
degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare
diligenza.
1.3. Che poi non si possa parlare di bancarotta documentale semplice deriva dalle
stesse modalità con le quali le alterazioni, ovvero le omissioni contabili, sono state portate a
esecuzione, in quanto, come correttamente osservano i giudici di secondo grado, il ricorso a
operazioni “in nero” e a operazioni fittizie -rispecchiate da fatture per operazioni inesistentista chiaramente a provare la malafede dell’agente e la sua piena consapevolezza della
Irregolarità, formale e sostanziale, della sua condotta.

5. La terza censura è manifestamente infondata e dunque Inammissibile.
Come già anticipato, Corona costituì la S.r.l. Fenice proprio allo scopo di travasare in essa beni,
, attività, quadri dirigenti e personale della S.r.l. Corona’s, ormai avviata al dissesto e al
fallimento. Esiste dunque -ed è stato ricostruito nelle sentenze di merito- un preciso disegno di
spoliazione della “vecchia” struttura produttiva. Da ciò, certo non illogicamente, i giudici di
primo e secondo grado traggono ragionevolmente la conclusione della malafede dell’imputato e
dunque della sua piena consapevolezza di stare operando in danno dei creditori. D’altra parte,
il solo fatto di aver compiuto operazioni “in nero” e di aver simulato esborsi maggiori, con
fatture “gonfiate” o per operazioni addirittura inesistenti, non può non aver comportato
un’alterazione della prospettata situazione contabile, con conseguente dissimulazione di
attività; il tutto non può che essersi risolto in danno dei creditori.
6. Inammissibili per manifesta infondatezza sono anche le censure relative al
trattamento sanzionatorio.
Quanto al preteso risarcimento del danno in favore dell’Agenzia delle entrate, non si
comprende perché detto ente avrebbe dovuto subire un danno solo di natura morale, quando,
come nello stesso ricorso si mette in evidenza, l’insinuazione è avvenuta per 7 milioni di euro.
La somma messa a disposizione dal ricorrente (poco meno di C 1.400.000) ovviamente è
risultata insufficiente per coprire i crediti vantati, tanto dalla predetta agenzia, quanto dalla
curatela fallimentare.
Per quel che riguarda il giudizio di equivalenza delle già concesse attenuanti generiche, è da
dire che la corte d’appello ha sufficientemente motivato in merito, principalmente con
riferimento alla individuata personalità del Corona.
Invero viene tracciato un quadro personologico relativo a un individuo abituato a (e convinto di
poter) vivere legibus solutus e, come tale, bisognevole di adeguata risposta rieducativa, ma,
innanzitutto, di reazione repressiva da parte dell’ordinamento, risposta sulla quale possa
essere edificato un concreto paradigma comportamentale, tendente alla risocializzazione
dell’imputato, secondo schemi e valori di inequivoca valenza costituzionale.

4. Per quel che riguarda le censure su 01), c/2), c/3), la sentenza chiarisce come, a
fronte di annotazioni contabili inesistenti, imprecise o di dubbia Interpretazione, l’imputato
abbia fornito giustificazioni oscillanti, sposando ora l’una, ora l’altra versione dei fatti. A ciò la
sentenza contrappone, ancora una volta, le precise dichiarazioni della Mauri, la quale ebbe ad
affermare che non le risultava che mai la S.r.l. Corona’s avesse usufruito di consulenze (e
quindi le avesse dovute pagare): si tratta delle distrazioni in favore di S.r.l. HDI ed S.r.I.L&B.
Per quel che riguarda specificamente la distrazione la somma di C 50.000 in favore dell’ex
coniuge del ricorrente, lo stesso Corona non ha saputo chiarire se si trattava di un compenso
Per consulenze, non meglio precisate, o di somma erogata a fronte di un’opera di
ristrutturazione di un immobile. Fatto sta, come premesso, che tutte tali operazioni non hanno
riscontro contabile adeguato.
4.1. Quanto ai prelievi “diretti” per un totale di 280.000 euro, detti prelievi saranno
pure stati annotati nel relativi “mastrini”, ma sta di fatto che, come mette in evidenza la
sentenza impugnata, essi non furono autorizzati, vale a dire che mancano le rispettive
dellbere, che non solo avrebbero potuto chiarire la legittimità dei prelievi, ma anche rendere
ragione della loro consistenza. Peraltro, la sentenza della corte d’appello, a fol. 14, pone in
evidenza che detti prelievi sono avvenuti a far tempo dal mese di luglio 2007, vale a dire
quando l’attività della S.r.l. Corona’s era già cessata.
4.2. Quanto infine alla distrazione dell’autovettura Smart, si deve rilevare, innanzitutto,
come si legge in sentenza, che l’imputato ha dichiarato che la macchina fu presa in leasing per
soddisfare le esigenze di un suo amico d’infanzia. Dunque è lo stesso Corona ad ammettere
che l’uso della autovettura nulla aveva a che fare con le esigenze aziendali. Quanto al fatto che
il contratto di leasing sarebbe stato risolto prima della distrazione della auto, sta di fatto che,
non essendo state pagate le precedenti rate, la società titolare della vettura si è insinuata nel
fallimento; ciò prova che, perlomeno in parte, la distrazione è avvenuta quando il bene era di
pertinenza della società.
Detta censura dunque è, anch’essa, inammissibile per manifesta infondatezza.

7. Conclusivamente il ricorso merita rigetto e il ricorrente va condannato le spese del
grado; lo stesso va anche condannato al ristoro delle spese sostenute in questa fase di giudizio
dalla parte civile, spese che si liquidano come da dispositivo.
PQM
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché al
rimborso delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate in complessivi euro 1.800, oltre
accessori come per legge.

Così deciso in Roma in data 10 aprile 2013.-

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