Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23770 del 05/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 23770 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
NERI ARTURO N. IL 28/05/1960
BRANDOLINO BRIGIDA N. IL 08/10/1966
DELLA GAGGIA SALVATORE N. IL 29/04/1979
BRANDOLINO ANNA N. IL 24/08/1982
ESPOSITO ANNA MARIA N. IL 17/03/1943
CENTRACO ANTONIO N. IL 28/02/1977
GRIMALDI MARIA N. IL 15/09/1961
MUSTO ANTONIO N. IL 27/04/1968
GRIMALDI VINCENZA N. IL 06/03/1965
avverso la sentenza n. 426/2011 CORTE APPELLO di TORINO, del
27/10/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GERARDO SABEONE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. i(,aft,4 42dalk
che ha concluso per irmi4. 440″.„.4:1,74,-, r

í.

Data Udienza: 05/04/2013

Udito, per la parte civile, l’Avv

.■

Uditi difensoi4Avv. A14’imA44,4 11F01. :

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Torino, con sentenza del 27 ottobre 2011, ha
confermato, con riferimento alla posizione degli odierni ricorrenti, la sentenza del
GIP presso il Tribunale di Torino del 16 giugno 2010, emessa a seguito di rito

Antonio, Grimaldi Vincenza, Esposito Anna Maria, Della Gaggia
Salvatore, Neri Arturo, Grimaldi Maria e Brandolino Brigida erano stati
condannati per i delitti di associazione finalizzata al traffico di droga e traffico
continuato ed aggravato di cocaina in concorso.
Trattasi di un gruppo familiare, dedito stabilmente in Savigliano allo
spaccio di sostanza stupefacente del tipo cocaina previo approvvigionamento in
Napoli e con la partecipazione di soggetti estranei.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i suddetti
imputati lamentando:
Nuoto Antonio, a mezzo del proprio difensore:
a) una violazione di legge e una motivazione illogica in ordine
all’affermazione della sua penale responsabilità sia, in generale, con riferimento
all’esistenza di un vincolo associativo tra componenti del medesimo gruppo
familiare, che, in particolare, con riferimento alla sua posizione di estraneo al
nucleo familiare.
Brandollno Anna, a mezzo del proprio difensore:
a) una contraddittoria e illogica motivazione circa l’affermazione della
propria penale responsabilità quanto all’ascritto reato associativo;
b)

una motivazione illogica in ordine alla sussistenza del capo

4)

dell’imputazione (articolo 73 d.p.r. 309/90 relativo all’acquisto di consistenti
quantitativi di cocaina);
c) la mancata applicazione dell’attenuante di cui all’articolo 114 cod.pen.
a cagione del suo ruolo marginale nell’organizzazione.
Centraco Antonio, a mezzo del proprio difensore:
a) una motivazione illogica quanto all’affermazione della propria penale
responsabilità quale partecipe dell’associazione criminale dedita al traffico di
stupefacenti e di cui al capo 1) dell’imputazione (articolo 74 d.p.r. 309/90);

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abbreviato, con la quale Musto Antonio, Brandolino Anna, Centraco

b) una motivazione illogica quanto alla sussistenza del capo 14)
dell’imputazione (articolo 73 d.p.r. 309/90 relativo all’acquisto e detenzione a fini
di spaccio di grammi 50 di cocaina);
c) una violazione di legge e una motivazione illogica in merito al mancato
riconoscimento dell’attenuante di cui all’articolo 74, comma 7 d.p.r. 309/90;
d) una violazione di legge e una motivazione illogica in merito all’aumento
sulla pena base per la continuazione con il capo 16) dell’imputazione ritenuto
eccessivo e sproporzionato.
a) una motivazione illogica in merito all’affermazione della penale
responsabilità in relazione all’acquisto della sostanza stupefacente;
b) una violazione di legge nascente dal divieto di un secondo giudizio, ex
articolo 649 cod.proc.pen., con riferimento ad una precedente condanna presso il
Tribunale di Saluzzo il 27 novembre 2009;
c) una violazione di legge e una motivazione illogica in merito alla
mancata concessione delle attenuanti generiche.
Esposito Anna Maria, a mezzo del proprio difensore:
a) una motivazione illogica in merito all’affermazione della penale
responsabilità per il contestato delitto di associazione dedita al traffico di
sostanza stupefacente;
b) una motivazione illogica anche con riferimento ai singoli reati di traffico
e spaccio di cui ai capi 2), 3), 4), 7), 8), 9), 12), 13) e 18) dell’imputazione.
Della Gaggia Salvatore, a mezzo del proprio difensore:
a) una motivazione illogica in merito all’affermazione della penale
responsabilità per il contestato delitto di associazione dedita al traffico di
sostanza stupefacente;
b) una motivazione illogica anche con riferimento ai singoli reati di traffico
e spaccio di cui ai capi 5), 9), 10), 12) e 15) dell’imputazione.
Neri Arturo, a mezzo del proprio difensore:
a) una motivazione illogica in merito all’affermazione della penale
responsabilità per il contestato delitto associativo;
b) una motivazione illogica in merito alla mancata concessione delle
attenuanti generiche.
Grimaldi Maria, a mezzo del proprio difensore:
a) una motivazione illogica e contraddittoria e una violazione di legge in
ordine all’affermazione della penale responsabilità per il contestato delitto
associativo.
Brandolino Brigida, a mezzo del proprio difensore:
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Grimaldi Vincenza, a mezzo del proprio difensore:

a) una carenza di motivazione in ordine all’affermazione della penale
responsabilità per il reato di cui all’articolo 74 d.p.r. 309/90;
b) una violazione di legge in merito al trattamento sanzionatorio ritenuto
eccessivo, sia pur con la concessione delle attenuanti generiche.
E’ pervenuta, infine, per tale ultima ricorrente una rinuncia al ricorso.

1. In linea generale giova premettere, come ribadito costantemente da
questa Corte, pur dopo la nuova formulazione dell’articolo 606 cod.proc.pen.,
lett. e), novellato dalla Legge 20 febbraio 2006, n. 46, articolo 8, che il sindacato
del Giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato
debba essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia:
a) sia “effettiva” e non meramente apparente, ossia realmente idonea a
rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione
adottata;
b) non sia “manifestamente illogica”, in quanto risulti sorretta, nei suoi
punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori
nell’applicazione delle regole della logica;
c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da
insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche
tra le affermazioni in essa contenute;
d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo”
(indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno
del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente
inficiata sotto il profilo logico.
Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente
siano semplicemente “contrastanti” con particolari accertamenti e valutazioni del
giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle
responsabilità, nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più
persuasiva di quella fatta propria dal giudicante.
Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno
non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che, per essere
obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica
spiegazione, siano in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di
fondare il convincimento del Giudice e di consentirne la rappresentazione, in
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CONSIDERATO IN DIRITTO

termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del
provvedimento.
È, invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per
sostenere l’esistenza di un Vizio della motivazione siano autonomamente dotati
di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in
grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al
suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere
manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.
persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e
internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti “atti
del processo”. •
Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi, anche a fronte di
una pluralità di deduzioni connesse a diversi “atti del processo” e di una correlata
pluralità di motivi di ricorso, in una valutazione, di carattere necessariamente
unitario e globale, sulla reale “esistenza” della motivazione e sulla permanenza
della “resistenza” logica del ragionamento del Giudice.
Al Giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla
motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice di
merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa.
Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo
Giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale
dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei
provvedimenti adottati dai Giudici di merito rispetti sempre uno standard di
intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico
seguito dal Giudice per giungere alla decisione.
A ciò si aggiunga come, in tema di ricorso per cassazione, quando ci si
trovi dinanzi a una “doppia pronuncia conforme” e cioè a una doppia pronuncia
(in primo e in secondo grado) di eguale segno (vuoi di condanna, vuoi di
assoluzione), l’eventuale vizio di travisamento possa essere rilevato in sede di
legittimità, ex articolo 606 cod.proc.pen., comma 1, lett. e), solo nel caso in cui il
ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio
asseritamente travisato sia stato per la prima volta introdotto come oggetto di
valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (v. Cass. Sez.
IV 10 febbraio 2009 n. 20395).

Il Giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla

Inoltre, in tema di sentenza di appello, non sussiste mancanza o vizio
della motivazione allorquando I Giudici di secondo grado, in conseguenza della
completezza e della correttezza dell’indagine svolta in primo grado, nonché della
corrispondente motivazione, seguano le grandi linee del discorso del primo
Giudice.
Ed invero, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello,
fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e
inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della
La sentenza di merito non è, poi, tenuta a compiere un’analisi
approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame
dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche
attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in
modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni
fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare implicitamente
disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate,
siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (v. Cass. Sez. IV 13
maggio 2011 n. 26660); infine, l’omesso esame di un motivo d’appello non è
causa di nullità della sentenza se il motivo è manifestamente infondato (v. Cass.
Sez. V 18 febbraio 1992 n. 3952).
Tutto ciò premesso, in linea generale, occorre procedere all’esame delle
singole doglianze nelle parti aventi carattere di peculiarità, tenendo ben presente
il dettato dell’articolo 173, comma 1 delle norme di attuazione del codice di
procedura che afferma che “i motivi del ricorso sono enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione”.
2. Con riferimento al ricorso Musto Antonio si osserva, per affermarsene
il rigetto, che:
a) in primo luogo, l’affermazione della penale responsabilità riposa su di
una motivazione logica e ripetuta concordemente dai Giudici del merito per cui
non è ammissibile una contestazione, del tutto generica, del suddetto
accertamento in questa sede di legittimità; inoltre, il vizio del travisamento della
prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale
o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso
per cassazione quando la decisione impugnata abbia riformato quella di primo
grado, non potendo, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, essere superato il
limite costituito dal “devolutum” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso
in cui il giudice d’appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di

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congruità della motivazione (v. Cass. Sez. Il 15 maggio 2008 n. 19947).

gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo Giudice (v.
Sez. IV 3 febbraio 2009 n. 19710);
b) d’altra parte, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte,
l’esistenza del vincolo associativo criminoso non viene elisa dall’appartenenza
degli indagati al medesimo nucleo familiare, potendo l’associazione sussistere
anche allorquando i singoli episodi delittuosi risultino qualificati da abituale o
significativa reiterazione e connotati dal necessario carattere individualizzante (v.
di recente, Cass. Sez. VI 5 maggio 2009 n. 24469 e Sez. I 4 marzo 2010 n.
c) la struttura dell’associazione per delinquere non è poi, di per sè,
incompatibile con la contemporanea adesione di uno stesso soggetto a più
sodalizi criminosi, in special modo qualora l’adesione ai diversi organismi
delinquenziali s’inquadri in più ampie strategie di gruppi di criminalità
organizzata, volte a stabilire alleanze per rendere più capillare e saldo il controllo
del territorio oppure a strutturare l’operatività delle associazioni in modo più
funzionale, dinamico e tattico e rispetto alle esigenze di gestione e di predominio
esclusivo delle attività illecite; pertanto, in tema di associazione a delinquere, il
“fatto” è diverso, quando il soggetto faccia parte, in coincidenza temporale, di
due distinti organismi criminosi (v. Cass. Sez. H 30 gennaio 2008 n. 17746 e
Sez. I 5 giugno 2008 n. 25727), quando la condotta prosegua o riprenda in
epoca successiva a quella accertata con la sentenza di condanna (v. Cass. Sez.
III 13 marzo 2001 n. 15441), qualora vi sia protrazione di una qualsivoglia
attività, che risponde ai bisogni di un sodalizio criminoso; di conseguenza, in
presenza di una molteplicità di gruppi cui il medesimo soggetto abbia prestato
adesione, l’accertamento dell’esistenza di un’unica associazione o di distinte
organizzazioni criminali è questione di fatto che va risolta mediante l’esame di
indici materiali congruamente apprezzati in base alle regole di esperienza;
d) ancora, l’associazione di cui all’articolo 74 d.p.r. n. 309/1990 sussiste
non solo nel caso di condotte parallele di persone accomunate dall’identico
interesse di realizzazione del profitto societario mediante il commercio di droga,
ma anche nell’ipotesi del vincolo che accomuni, in maniera durevole, il fornitore
di droga agli acquirenti, che in via continuativa, la ricevono per immetterla al
consumo; la diversità di scopo personale non è ostativa, infatti, alla realizzazione
del fine comune, che è quello di sviluppare il commercio degli stupefacenti per
conseguire sempre maggiori profitti; nè l’associazione criminosa è esclusa dalla
diversità dell’utile che i singoli partecipi si propongono di ricavare, o da un
contrasto degli interessi economici di essi, posto che nè l’una, nè l’altro sono di
ostacolo alla costituzione ed alla persistenza del vincolo associativo, sol che colui
6

17206);

che opera come acquirente sia stabilmente disponibile a ricevere le sostanze,
assumendo, così, una funzione continuativa, che trascenda il significato
negoziale delle singole operazioni, per costituire un elemento della complessa
struttura che facilita lo svolgimento dell’intera attività criminale; ne deriva che è
ben configurabile, fra venditori ed acquirenti di sostanze stupefacenti,
l’associazione volta alla commissione di reati nella specifica materia (v. Cass.
Sez. V 23 settembre 1997 n. 10077 e Sez. VI 19 novembre 2007 n. 1174);
l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti si concretizza,
senza un preventivo accordo formale, un patto, che abbia in sè la cosiddetta
“affectio societatis”, in forza del quale tutti gli aderenti sono portati ad operare
nel settore del traffico della droga, nella consapevolezza che le attività proprie ed
altrui ricevano vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscano all’attuazione
del programma criminale; pertanto, ciò che rileva non è un accordo consacrato in
atti di costituzione, statuto, regolamento, iniziazione o in altre manifestazioni di
formale adesione, e neppure una “cassa comune” ma l’esistenza, di fatto, della
struttura prevista dalla legge, in cui si innesta il contributo apportato dal singolo
nella prospettiva del perseguimento dello scopo comune che finisce col dare
corpo e sostanza all’affectio societatis stessa (v. da ultimo Cass. Sez. VI 10
gennaio 2012 n. 3509); l’impossibilità di individuare, all’interno di una struttura
criminale, i capi, i promotori o gli organizzatori non osta alla configurabilità del
delitto in esame per la cui sussistenza è sufficiente che alcuni soggetti in numero
superiore a tre si accordino tra loro allo scopo di commettere più delitti mediante
un patto stabile e permanente diretto al perseguimento di fini illeciti comuni a
tutti gli associati (v. Cass. Sez. I 25 marzo 2003 n. 17027)
e) in conclusione, in punto di fatto questa volta, la figura del Musto, sia
pur estranea alla compagine familiare stabilizzata in Piemonte e dedita allo
spaccio sul territorio, è stata delineata con logicità e concretezza, sulla base di
un ponderoso compendio istruttorio che non è dato rimettere in discussione per
quanto dianzi espresso, nell’impugnata sentenza (v. da pagina 43 a pagina 49
della motivazione) quale, da un lato, fornitore da Napoli della sostanza
stupefacente e d’altra parte quale riscossore, anche per interposta persona, dei
numerosi vaglia postali nell’arco di circa due anni, per un importo complessivo di
euro 468.129,00 inviati dal Piemonte e proprio per pagare le forniture di
sostanze stupefacenti.
3. Con riferimento al ricorso Brandolino Anna si osserva come non
meriti, egualmente, accoglimento:

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in sostanza, ogniqualvolta tra tre o più persone si formi, anche di fatto, cioè

a) in relazione al primo motivo proposto, la sua infondatezza tale da farne
derivare il rigetto nasce, ancora una volta, dall’ulteriore considerazione che non
possa chiedersi a questa Corte di legittimità di rileggere l’istruttoria compiuta dai
Giudici del merito, allorquando la motivazione rientri nei canoni della correttezza
giuridica e della logicità delle argomentazioni; sui punti controversi la Corte
territoriale ha dato conto adeguatamente delle ragioni della propria decisione,
sorretta da motivazione congrua, del tutto immune da illogicità di sorta,
sicuramente contenuta entro i confini della plausibile opinabilità di
del presente scrutinio di legittimità; questa Corte non rileva nel tessuto
motivazionale del provvedimento impugnato: nè il vizio della contraddittorietà
della motivazione, che consiste nel concorso (dialetticamente irrisolto) di
proposizioni (testuali ovvero extra testuali, contenute in atti del procedimento
specificamente indicati dal ricorrente), concernenti punti decisivi e assolutamente
Inconciliabili tra loro, tali che l’affermazione dell’una implichi necessariamente e
univocamente la negazione dell’altra e viceversa; nè il vizio della illogicità
manifesta che consegue alla violazione di alcuno degli altri principi della logica
formale e dei canoni normativi di valutazione della prova, ai sensi dell’articolo
192 cod.proc.pen., ovvero alla invalidità (o scorrettezza) dell’argomentazione per
carenza di connessione tra le premesse della abduzione o di ogni plausibile nesso
di inferenza tra le stesse e la conclusione; contestare la valenza probatoria delle
effettuate intercettazioni ambientali e delle ulteriori asserzioni (v. in particolare la
citata pagina 16 della motivazione) rientra, appunto, nel novero delle doglianze
che non possono avere diritto d’ingresso nel presente giudizio di legittimità
allorquando la Corte territoriale, con riferimento alle singole posizioni degli
imputati, abbia dato motivatamente e logicamente conto non solo degli elementi
idonei a determinare il giudizio di colpevolezza ma, altresì, della resistenza di tali
elementi alle doglianze sollevate con l’atto d’impugnazione;
b) lo stesso può affermarsi con riferimento al secondo motivo di ricorso,
con il quale si vuole dare un diverso significato, quanto ad un singolo episodio di
spaccio di droga (capo 4 dell’imputazione), ai pagamenti tramite vaglia postali
concordemente accertati da entrambi i Giudici del merito ed affermati dalla
stessa ricorrente;
c) quanto al terzo motivo, secondo la consolidata giurisprudenza di questa
Corte, in tema di concorso di persone nel reato, ai fini dell’integrazione della
circostanza attenuante della minima partecipazione (articolo 114 cod.pen.), non
è sufficiente una minore efficacia causale dell’attività prestata da un correo
rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto è necessario che il contributo

apprezzamento e valutazione e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede

dato si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto
marginale, ossia di efficacia causale così lieve rispetto all’evento da risultare
trascurabile nell’economia generale dell’iter criminoso. Ne deriva che, ai fini
dell’applicabilità dell’attenuante in questione, non sia sufficiente procedere a una
mera comparazione tra le condotte dei vari soggetti concorrenti, ma occorre
accertare – attraverso una valutazione della tipologia del fatto criminoso
perpetrato in concreto con tutte le sue componenti soggettive, oggettive e
ambientali – il grado di efficienza causale, sia materiale, sia psicologica, dei
minima partecipazione, di cui all’articolo 114 cod. pen., solo quando la condotta
del correo abbia inciso sul risultato finale dell’impresa criminosa in maniera del
tutto marginale, cioè tale da poter essere avulsa, senza apprezzabili
conseguenze pratiche, dalla serie causale produttiva dell’evento.
Nella specie, in fatto, nell’impugnata sentenza si da atto come la
Brandolino non avesse affatto quel ruolo marginale che anche avanti questa
Corte di legittimità si tenta di accreditare (v. pagina 17 della sentenza
impugnata).
4. Quanto al ricorso Centra«, Antonio si osserva che non sia meritevole
di accoglimento poichè:
a) quanto al primo motivo, nell’impugnata sentenza si da pienamente e
logicamente conto della sua partecipazione alla contestata associazione a
delinquere dedita allo spaccio di sostanza stupefacente e non come mera figura
di contorno, come vorrebbe l’attuale asserzione defensionale (v. pagina 25 della
motivazione in cui si fa riferimento ai contatti non solo con il Della Gaggia ma
anche con Neri ed Esposito);
b) l’imputazione di cui al capo 14) è stata correttamente ed
espressamente affrontata, a seguito di specifica doglianza, nell’impugnata
sentenza (v. pagina 24 della motivazione) per cui non si può richiedere a questa
Corte di rileggere il fatto così come concordemente acclarato nei due gradi di
merito; in sostanza, come affermato dalla Corte territoriale “non vi è quindi
possibilità di errore o di sovrapposizione” come affermato dalla difesa;
c) quanto al mancato riconoscimento della previsione attenuata del d.p.r.
n. 309 del 1990, articolo 73, comma 7 si osserva, in diritto, come l’applicabilità
di questa norma implichi la sussistenza di una specifica previsione, in quanto è
collegata al comportamento operoso dell’imputato che si adopera
volontariamente per evitare che l’attività criminosa sia portata ad ulteriori
conseguenze, cioè, per inibire che la condotta illegale iniziata sia proseguita nel
tempo o incrementata in intensità; un tale recesso può estrinsecarsi “anche” con
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singoli comportamenti, rispetto alla produzione dell’evento, configurandosi la

l’aiuto dell’imputato alla polizia o all’autorità giudiziaria, che abbia come ricaduta
la sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti.
Sul punto, va, però, precisato che la ravvisabilità dell’attenuante si
collochi ad un livello più avanzato rispetto alla mera informazione collaborativa in
quanto il contributo del dichiarante deve raggiungere i risultati concreti previsti
dalla norma: fare interrompere la catena delittuosa o colpire il sistema
patrimoniale che è provento e strumento del crimine.
Ciò in quanto, con la attenuante in esame, il Legislatore mira non tanto a
prioritariamente ad evitare ulteriore attività delittuosa.
In base a tali considerazioni, la giurisprudenza di questa Corte (v. di
recente, Cass. Sez. III 2 marzo 2011 n. 16431) è concorde nel ritenere che la
collaborazione debba avere connotazioni di particolare incidenza per
neutralizzare la commissione dei reati; ne consegue l’imprescindibile necessità
che il contributo (anche se concernente tutto il patrimonio conoscitivo sul tema
dell’imputato) sia meritevole della attenuante solo se in modo efficace utile per
cui non rientrano nell’ambito della attenuante quelle dichiarazioni che sono prive
di riscontri, quelle che rafforzano solo il quadro probatorio e riguardano
circostanze di marginale rilevanza.
Il che è quanto accaduto nel caso di specie, a dire della Corte territoriale
(v. pagine 68 e 69 della motivazione);
d) quanto all’ultimo motivo, anche in questo caso il Giudice a quo, con
motivazione immune da vizi logici, ha chiarito il perchè dell’aumento di pena per
il reato previsto in continuazione dal capo 16 dell’imputazione in misura non
proporzionale ad altro aumento di pena ed a cagione della rilevante gravità del
fatto (v. pagina 70 della motivazione): in ogni caso, non si evidenzia né è stata
aliunde prospettata alcuna violazione di legge nell’applicato aumento di pena e
tale da portare ad una complessiva pena illegale, esclusivamente censurabile
avanti questa Corte.
5. Quanto al ricorso Grimaldi Vincenza, che deve essere disatteso, si
osserva che:
a) quanto al primo motivo, relativo all’affermazione della penale
responsabilità per l’ascritto delitto di cui all’articolo 73 d.p.r. 309/90, devono
ripetersi le considerazioni dianzi espresse, in via generale per tutti i ricorrenti, e
più in particolare con riferimento al coimputato Musto (punto n. 2 lettera a) per
ribadirsi l’impossibilità di una rilettura dell’esperita attività istruttoria allorquando
della stessa si sia data logica motivazione nei gradi di merito e in maniera
concorde da entrambi gli organi giudicanti;
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proporzionare la pena al ravvedimento ed al recupero dell’imputato, quanto e

b) quanto al secondo motivo, la Corte ritiene di aderire all’orientamento
largamente prevalente per il quale il giudizio sulla violazione dell’articolo 649
cod.proc.pen., presupponendo necessariamente un raffronto fra elementi fattuali
relativi alle imputazioni contestate nelle sentenze in ordine alle quali la
preclusione è addotta, si risolve in un accertamento sul fatto, non esperibile in
sede di legittimità ed invece proponibile dinanzi al giudice dell’esecuzione (v. da
ultimo Cass. Sez. V 6 maggio 2011 n. 24954). Non appare convincente l’opposto
e peraltro minoritario indirizzo secondo il quale siffatta valutazione sarebbe
dell’inosservanza di una norma processuale (v. Sez. VI 16 febbraio 2012 n.
13906). La deduzione di una violazione di quest’ultima natura attribuisce senza
dubbio a questa Corte la facoltà di accedere all’esame degli atti del procedimento
ai limitati fini della verifica della sussistenza del vizio in procedendo ma non
permette comunque di addivenire in questa sede ad un’autonoma ricostruzione
dei fatti storici posti a fondamento della questione, soprattutto ove la stessa,
come nel caso di specie, esorbiti in realtà dalla verifica degli atti

del

procedimento per tradursi nell’analisi di elementi di fatto relativi a procedimenti
diversi; in ogni caso, nell’impugnata decisione si è affrontata espressamente la
dedotta questione e la motivazione, per disattendere la richiesta di accertamento
della violazione del ne bis in idem di cui all’articolo 649 cod.proc.pen., appare del
tutto logica ed ispirata ai principi in tema di identità del fatto così come
pacificamente affermati dalla giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. Sez. II 18
gennaio 2005 n. 8697 e Sez. II 12 luglio 2011 n. 33838);
c) con riferimento al terzo motivo, si osserva che la mancata concessione
delle attenuanti generiche appare ispirata alla pacifica giurisprudenza di questa
Corte che afferma: “ai fini della concessione o del diniego delle circostanze
attenuanti generiche è sufficiente che il Giudice di merito prenda in esame
quello, tra gli elementi indicati dall’articolo 133 cod.pen., che ritiene prevalente
ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio ed anche un solo
elemento, che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle
modalità di esecuzione di esso, può essere sufficiente per negare o concedere le
attenuanti medesime” (v. da ultimo, Cass. Sez. II 18 gennaio 2011 n. 3609);
nella specie la Corte ha motivato sulla base del comportamento processuale
dell’imputata (v. pagina 75 della motivazione) e tanto è sufficiente per
considerare rispettato il canone motivazionale dianzi indicato; a ciò si aggiunga
come la Corte territoriale abbia, altresì, motivato in merito al calcolo della pena
operata in prime cure e non ravvisandosi, anche in tale circostanza, né essendo

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consentita in quanto inerente ad un procedimento di accertamento

stata prospettata una concreta irrogazione di una pena illegale non può questa
Corte di legittimità che disattendere la doglianza testè formulata.
6. Quanto ai ricorsi Eaposito Anna Maria e Della Gaggia Salvatore,
redatti dal medesimo difensore e contenenti identiche questioni sia pur con
riferimento a diversi capi d’imputazione per i reati fine, si osserva per
dichiararsene l’infondatezza come:
a) il primo motivo, relativo all’affermazione della penale responsabilità per
il reato associativo, si sostanzi in una rilettura in punto di fatto degli accadimenti
suddetti ricorsi possono ripetersi le medesime motivazioni dianzi espresse per il
coimputato Musto, quanto all’effettivo accertamento del vincolo associativo (v. in
particolare pagine da 49 a 51 per la Esposito e pagine da 55 a 59 per il Della
Gaggia): le posizioni dei ricorrenti all’interno dell’organizzazione criminale dedita
al traffico di sostanza stupefacente sono, in definitiva, ben delineate;
b) quanto al secondo motivo, del pari, nella impugnata decisione (quanto
all’Esposito v. pagine da 19 a 23 della motivazione, con riferimento anche ai capi
2), 3), 4), 7), 8), 9), 12), 13) e 18) dell’imputazione e quanto al Della Gaggia
vedi pagine da 9 a 14, con riferimento anche ai capi 5), 9), 10),

12) e 15)

dell’imputazione) vengono evidenziati i singoli episodi di traffico, secondo le
specifiche doglianze contenute nell’atto di appello e vi si da concreta e logica
risposta a ciascuna di esse per cui, come già affermato in precedenza, non si può
richiedere a questa Corte di censurare in punto di fatto una decisione di merito
ispirata ai principi della materia e logicamente motivata.
7) Quanto al ricorso Neri Arturo deve essere disatteso poiché:
a) il primo motivo ricalca sostanzialmente le doglianze degli altri
coimputati, in merito alla sussistenza dell’associazione criminale dedita allo
spaccio e al traffico di droga e pertanto possono valere le medesime
considerazioni dianzi esposte a proposito del ricorrente Musto, con le particolarità
evidenziate nell’impugnata sentenza con riferimento alla posizione del Neri (v.
pagine 49, 54, 55 e 56 della motivazione nelle quali si delinea la posizione del
ricorrente sia nel clan familiare di appartenenza che nell’attività concreta di
spaccio sul territorio);
b) quanto al secondo motivo e cioè alla mancata concessione delle
attenuanti generiche deve osservarsi che la relativa motivazione, facendo
riferimento alla personalità del reo (v. pagina 61 della motivazione) può ritenersi
senza dubbio congrua.
Si rammenta, al riguardo, che la concessione delle attenuanti generiche
risponde a una facoltà discrezionale, il cui esercizio, positivo o negativo che sia,
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così come concordemente accertati da entrambi i Giudici del merito; per i

deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il
pensiero dello stesso Giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla
gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.
Tali attenuanti non vanno intese come oggetto di una benevola
concessione da parte del Giudice, nè l’applicazione di esse costituisce un diritto
in assenza di elementi negativi, ma la loro concessione deve avvenire come
riconoscimento della esistenza di elementi di segno positivo, suscettibili di
positivo apprezzamento (v. Cass. Sez. VI 28 ottobre 2010 n. 41365).
quanto nel ripetere, da un lato, le medesime doglianze avanzate nell’atto di
appello, con particolare riferimento alla sua partecipazione all’associazione
criminosa (v. pagina 38 della motivazione), non si sottrae al vizio della genericità
e, d’altra parte, la Corte ha espressamente motivato sulle suddette doglianze,
evidenziando il ruolo tenuto dall’odierna ricorrente nell’ambito dell’organizzazione
(v. pagina 51 della motivazione).
9. Quanto al ricorso Brandolino Brigida, esso deve essere dichiarato
inammissibile per rinuncia, ai sensi dell’articolo 591 comma 1 lettera d)
cod.proc.pen..
10. In definitiva, tutti i ricorsi devono essere rigettati, ad eccezione di
quello di Brandolino Brigida, che deve essere dichiarato inammissibile con
l’applicazione della sanzione pecuniaria, che si ritiene di determinare nella misura
di euro 500,00 e i ricorrenti condannati, ciascuno di essi, al pagamento delle
spese processuali.
PTM
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso di Brandolino Brigida che
condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 500,00 in
favore della Cassa delle Ammende; rigetta i ricorsi degli altri imputati che
condanna singolarmente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 5/4/2013
Il Co?il
i iere Estensore

8. Quanto al ricorso Grimaldi Maria, esso deve essere disatteso in

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