Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23759 del 15/03/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 23759 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da

FOLLIERI Carlo, nato a Lucera il 30/06/1946

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari del 13/02/2012

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Paolo Antonio BRUNO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Aniello
Roberto, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentito, altresì, l’avv. Rolando Sepe,difensore di parte civile, che si è associato alla
richiesta del PG ed ha depositato conclusioni e nota spese.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 15/03/2013

1. Carlo Follieri era chiamato a rispondere, innanzi al Tribunale di Lucerasezione distaccata di Rodi Garganico, del reato di cui agli artt. 81 e 479 cod. pen.
perché, in esecuzione del medesimo disegno criminoso per più volte in diverse
occasioni, formava falsità ideologica in atti pubblici, nell’esercizio delle sue funzioni
quale direttore dell’Ufficio Tecnico Comunale di Peschici, attestando prima nel
permesso di costruire n. 216/04 rilasciato a Mastromatteo Domenica e poi nel
permesso di costruire rilasciato in variante n. 84/05 a Cavallazzi Carlo e Cavallazzi

abitativo dell’immobile, in Peschici in loc. Borgo San Nicola “non rientra nei casi
soggetti ad autorizzazione dell’Ente Parco Nazionale del Gargano e non comporta
alterazione dello stato dei luoghi, per cui non necessita l’autorizzazione di cui al
d.lgs. n. 42 del 22.1.2004”, circostanze false e contrarie al vero e di cui lo stesso
ingegnere era ben consapevole, avendo in precedenza rilasciato certificati di
destinazione urbanistica (del 13.8.2003 e del 29.9.2004) dello stesso terreno, da
cui risultava il vincolo totale di divieto di qualsiasi incremento volumetrico o
modifica esterna e anche la necessità della preventiva approvazione della
Sovrintendenza, per ogni intervento di modifica della medesima zona di rispetto
paesistico.

2. Con sentenza del 09/07/2009 il Tribunale assolveva l’imputato dai reati a
lui ascritti con formula perché il fatto non costituisce reato.

3. Pronunciando sulla gravame proposto dal Procuratore Generale di Bari, la
Corte d’appello di quella stessa città, con la sentenza indicata in epigrafe, in riforma
della impugnata pronunzia, dichiarava l’imputato colpevole del reato di falso
continuato ascrittogli e, in concorso di attenuanti generiche, lo condannava alla
pena di mesi otto e giorni venti di reclusione nonché al risarcimento di danni nei
confronti della parte civile costituita, da liquidarsi in separata sede; concedeva i
benefici di legge.

4.

Avverso l’anzidetta pronunzia il difensore dell’imputato, avv. Mario

Alfonso Follieri, ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle regioni di censura
indicate in parte motiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Con il primo motivo d’impugnazione, parte ricorrente deduce violazione

dell’art. lett. e) in relazione agli artt. 192 e 533 cod. proc. pen. sui criteri di
valutazione della prova, per carenza ed illogicità della motivazione risultante dal
testo del provvedimento impugnato. Lamenta, in proposito, che il giudice di appello

2

Mario Giacomo, che l’intervento di esecuzione di alcune aperture finalizzate ad uso

abbia fatto confusione tra il motivo che ha determinato il soggetto ad agire con il
motivo che avrebbe dovuto determinare il soggetto ad agire: il primo, attenendo al
processo interiore, del tutto irrilevante; il secondo, invece, necessario ai fini
dell’integrazione della causale del fatto illecito. Il Tribunale, nell’assolvere
l’imputato, aveva fatto riferimento alle ragioni che avrebbero dovuto spingerlo a
favorire un soggetto, il beneficiario per l’appunto, senza considerare che era stato lo
stesso imputato a favorire il sequestro del manufatto. Erronea, insomma, era la

Il secondo motivo deduce violazione dell’art. 606 cod. proc. pen. in relazione
all’art. 479 cod. pen. ed erronea applicazione della legge penale. Si duole, in
proposito, della ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico, senza considerare
che l’imputato, nel maggio del 2005, aveva contribuito al sequestro dell’immobile
esistente sul suolo incriminato, allorquando aveva ritenuto che la demolizione
dell’edificio preesistente integrasse una variazione rispetto al permesso in
precedenza rilasciato; vi era poi l’ulteriore circostanza che il secondo permesso
sarebbe successivo al provvedimento di archiviazione del procedimento penale sorto
a seguito della segnalazione dello stesso imputato. Tali elementi ove
adeguatamente considerati, avrebbero consentito di escludere la consapevolezza
della falsità in capo all’imputato in ordine alla falsa affermazione relativa alla non
necessità degli adempimenti di cui al d.lgs. n. 42/2004.
2. Le censure anzidette si pongono ai limiti dell’ammissibilità in quanto

ripropongono questioni già affrontate in sede di appello ed in ordine alle quali la
risposta motivazionale della Corte d’appello appare immune da vizi o di
incongruenze di sorta.
Le stesse doglianze sono, ad ogni modo, destituite di fondamento, in quanto
il giudice a quo, nel ribaltare il giudizio assolutorio espresso in primo grado, si è
fatto carico dell’analitica confutazione degli argomenti in forza dei quali il primo
giudice aveva mandato assolto l’imputato dal reato in contestazione.
D’altro canto, la risposta giustificativa della Corte territoriale è in linea con il
pacifico insegnamento di questo Giudice di legittimità, secondo cui, ai fini
dell’integrazione del reato di falso ideologico è sufficiente il dolo generico, non
occorrendo la volontà di favorire o danneggiare altri (cfr. Cass. Sez. 5, n. 15255
del 15/03/2005, Rv. 232138, secondo cui in tema di falsità ideologica in atto
pubblico, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo è sufficiente il dolo
generico, e cioè la volontarietà e la consapevolezza della falsa attestazione, mentre
non è richiesto l’animus nocendi né l’animus decipiendi, con la conseguenza che il
delitto sussiste non solo quando la falsità sia compiuta senza l’intenzione di nuocere
ma anche quando la sua commissione sia accompagnata dalla convinzione di non
produrre alcun danno).

3

valutazione delle risultanze processuali.

L’indagine svolta sul punto non si è acquietata alla constatazione dell’oggettiva
immutatio veri, in un’errata prospettiva di dolo in re ipsa, ma ha utilizzato elementi
estrinseci di indubbia pregnanza sintomatica, in ragione dello spessore
professionale dell’imputato, delle sue cognizioni tecniche e della lunga esperienza
maturata nel settore quale funzionario apicale della struttura tecnica comunale, il
rilascio di diversi permessi relativi alla zona in questione; elementi, questi, ai quali
avrebbe ben potuto aggiungersi la constatazione del limitato ambito locale di

apprezzamento di merito, che la falsità non fosse dovuta ad una leggerezza
dell’agente, ovvero ad una incompleta conoscenza od errata interpretazione di
disposizioni normative o, ancora, alla negligente applicazione di una prassi
amministrativa.
Ogni altro profilo di censura dedotto nella prima e nella seconda doglianza
non ha pregio alcuno. Non è condivisibile, così, il rilievo critico riguardante il
motivo della condotta delittuosa, in quanto la risposta motivazionale del giudice
territoriale è conforme a consolidata lezione giurisprudenziale di questa Corte in
ordine all’irrilevanza delle ragioni per le quali l’agente abbia posto in essere la
condotta integrante soggettivamente ed oggettivamente la falsità (così Cass. Sez.
5, n. 6818 del 24/01/2005, Rv. 231424; id. Sez. 5, n. 6820 del 24/01/2005, Rv.
231427).
Infine, la sentenza impugnata ha adeguatamente spiegato i motivi per i quali
le circostanze fattuali, ancor oggi richiamate dal ricorrente in suo favore, non
potevano avere alcuna incidenza sul piano della positiva verifica della piena
consapevolezza della falsità, da parte dell’imputato.

3. Per quanto precede, il ricorso – globalmente considerato – deve essere
rigettato, con la conseguenza di statuizioni espresse in dispositivo anche in ordine
alla tenutezza del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile,
che si reputa congruo ed equo determinare come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per questo giudizio di
cassazione, liquidate in € 1.700,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso il 15/03/2013

riferimento. Il tutto ha indotto il giudice a quo a ritenere, con insindacabile

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