Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23739 del 12/02/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 23739 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DA COL GIUSEPPE N. IL 26/10/1957
avverso la sentenza n. 389/2010 CORTE APPELLO di TRENTO, del
28/10/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/02/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 12/02/2013

- Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.
Giuseppe Volpe, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
– Nessuno è comparso per il ricorrente.
RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Trento, con sentenza del 28-10-2011, in riforma di quella
emessa dal Tribunale di Rovereto, ha condannato Da Col Giuseppe, guardia
di Sanchez Casto Carlos Benito, puntandogli contro una pistola.
A fondamento della condanna vi sono le dichiarazione della persona offesa,
giudicate coerenti e credibili, nonché del teste Piper Branislav.
2. Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato lamentando, con
unico motivo, la contraddittorietà della motivazione. Deduce che i giudici di
primo e secondo grado hanno errato nell’interpretazione delle testimonianze
assunte, che, per le contraddizioni da cui sono risultate affette – relative alla
posizione delle parti durante il diverbio, alle frasi pronunciate, alle modalità di
estrazione e puntamento della pistola – non potevano essere poste a base del
giudizio di condanna.
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.
Con l’unico motivo di ricorso il difensore di Da Col Giuseppe denunzia vizio di
motivazione, ma in realtà sollecita una rivisitazione del compendio probatorio da
parte di questa Corte, per dedurre l’infondatezza dell’accusa. Non a caso parla di
“ricostruzione dei fatti” che costituisce “il fulcro dell’intero processo” e di “errate
interpretazioni degli stessi” da parte del Tribunale e della Corte d’appello, nonché
di “minimizzazione” delle contraddizioni emerse nelle deposizioni dei vari
testimoni, per poi passare in rassegna le deposizioni dei testi d’accusa (al fine di
rilevarne le presunte contraddizioni) e la “coerente versione dell’imputato”, che
dovrebbe mettere il cappello sulla tesi alternativa da lui proposta. Per tale via
ripropone questioni già sottoposte al giudice d’appello e da questi diffusamente
esaminate, laddove ha rimarcato che l’accusa al Da Col proviene da testi che
nemmeno si conoscevano prima dell’episodio per cui è processo e che tuttavia
hanno narrato l’episodio di cui erano stati vittima o spettatori negli stessi
termini, parlando fin dal primo momento del comportamento aggressivo
dell’imputato e di una pistola da lui estratta: passaggi fondamentali di un
racconto sostanzialmente coincidente. Specifica attenzione è stata pota dai
2

giurata, a pena di giustizia per il reato di minaccia aggravata commesso in danno

giudici sulle ragioni del diverbio, originato dal ritardo provocato dal Sanchez nella
chiusura del Palafiera, e sull’irritazione che aveva invaso il Da Col quella sera:
circostanze che ben spiegano la reazione scomposta dell’imputato e il suo
tentativo di farsi ubbidire con la forza. Né vale insistere sulle incongruenze
linguistiche dei testi e sulle contraddizioni del loro racconto, una volta accertato
che erano entrambi stranieri e almeno uno dei due stentava a farsi
comprendere; e pur tuttavia il narrato dei due è sostanzialmente sovrapponibile,
oltre che dotato di intrinseca coerenza e forza persuasiva. E tanto basta per
pretesa contraddizione della motivazione con le emergenze processuali, giacché
non possono condurre ad una rivalutazione del materiale probatorio le
frammentarie frasi riportate in ricorso. Come più volte rilevato da questa Corte, il
neointrodotto rapporto di contraddizione esterno al testo della sentenza
impugnata, per essere compatibile con il giudizio di legittimità non può che
essere inteso in senso stretto (classico) di rapporto di negazione sul significante,
al giudizio di legittimità continuando ad essere estraneo ogni discorso che attiene
al significato e alla plausibilità della lettura della prova compiuta dai giudici del
merito: anche perché non c’è brandello di verbalizzazione, per quanto
significativo, che possa essere “interpretato” fuori del contesto in cui è inserito,
che questa Corte non conosce e non può valutare.
Il ricorso va pertanto rigettato, con conseguente condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12/2/2013

rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede, anche a fronte della

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