Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23721 del 07/05/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 23721 Anno 2013
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MANTOVANO GIORGIO N. IL 29/10/1959
avverso l’ordinanza n. 96/2009 CORTE APPELLO di LECCE, del
28/06/2010
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. ti
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Data Udienza: 07/05/2013

Ritenuto in fatto
1. – Con atto del 6.10.2010, Giorgio Mantovano ha proposto ricorso per cassazione avverso il provvedimento emesso in data
28.6/20.9.2010 dalla Corte d’appello di Lecce con il quale, in parziale
riforma del decreto emesso dal Tribunale di Lecce in data
21/31.7.2009, è stato determinato nell’importo di euro 56.412,00 la
somma dovuta al Mantovano quale compenso per l’attività di amministratore giudiziario dallo stesso prestata secondo quanto dedotto in
ricorso, al netto degli importi già anticipatamente liquidati in suo favore.
Con il ricorso proposto, il Mantovano censura il provvedimento impugnato siccome assunto in violazione ed erronea applicazione
dell’art. 2-octies, comma 4, della legge n. 575/1965, nonché per difetto, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, avendo
il giudice a quo disposto un’applicazione solo parziale e dunque errata della tariffa professionale dei dottori commercialisti, privilegiando
parametri di liquidazione di diversa natura e contrari al dettato legislativo, peraltro in contrasto con altro precedente dettato dalla medesima corte salentina (in cui l’applicazione delle tariffe professionali
invocate era stata pianamente confermata), e con un richiamo comparativo finale a dette tariffe dal tenore palesemente contraddittorio.
In forza di tali premesse, il ricorrente ha concluso per l’annullamento del provvedimento impugnato, limitatamente alle ragioni
dedotte, con l’eventuale adozione delle statuizioni consequenziali.
Si è costituito nel procedimento il procuratore generale presso
la corte di cassazione, concludendo per il rigetto del ricorso.
Con atto del 21.11.2012, il ricorrente ha presentato memoria,
insistendo per raccoglimento del ricorso.

Considerato in diritto
Dev’essere, in primo luogo, preliminarmente confermata la
legittimazione a impugnare dell’odierno difensore del Mantovano (in
astratto esclusa secondo il principio sancito da Cass, Sez. 4, n.
13272/2004, Rv. 227883, secondo cui in materia di misure di prevenzione, legittimato ad impugnare davanti alla corte d’appello ovvero a ricorrere per cassazione avverso i provvedimenti di liquidazione
dei compensi relativi alla gestione e amministrazione dei beni sequestrati o confiscati, emessi ai sensi dell’art. 2-octies legge 31 maggio
1965, n. 575, è il solo amministratore giudiziario, non anche il difensore), essendo l’odierno difensore del ricorrente anche procuratore
speciale dell’amministratore richiedente (cfr. la procura speciale in
calce al ricorso).
Nel merito, ritiene questa corte di dovere in primo luogo evidenziare come la disciplina della liquidazione dei compensi all’amministratore giudiziario, prevista dalla legge speciale sul sequestro
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dei patrimoni alla criminalità organizzata e applicata nel provvedimento qui impugnato (alt 2-octies, comma 4, 1. n. 575/65), disponga
che “la determinazione dell’ammontare del compenso, la liquidazione
dello stesso e del trattamento di cui al comma 4 dell’articolo 2septies, nonché il rimborso delle spese di cui al comma 3 del presente
articolo, sono disposti con decreto motivato del tribunale, su relazione del giudice delegato, tenuto conto del valore commerciale del patrimonio amministrato, dell’opera prestata, dei risultati ottenuti,
della sollecitudine con la quale furono condotte le operazioni di
amministrazione, delle tariffe professionali o locali e degli usr .
A seguito della presentazione dell’odierno ricorso, è intervenuta l’approvazione del d.lgsl. n. 159/2011, il cui art. 42, comma 4, dispone che “la determinazione dell’ammontare del compenso, la liquidazione dello stesso e del trattamento di cui all’articolo 35, comma 8,
nonché il rimborso delle spese sostenute per i coadiutori, sono disposti con decreto motivato del tribunale, su relazione del giudice delegato. Il compenso degli amministratori giudiziari è liquidato sulla base delle tabelle allegate al decreto di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14”.
Tale ultimo decreto legislativo, nell’istituire l’albo degli amministratori giudiziari, per il relativo compenso dispone (art. 8) che
“con decreto del Presidente della Repubblica, da emanare su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e dello sviluppo economico, ai sensi dell’articolo
17, comma 1, lettera b), della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono
stabilite le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari. Il decreto di cui al comma i è emanato sulla
base delle seguenti norme di principio:
a) previsione di tabelle differenziate per singoli beni o complessi di
beni, e per i beni costituiti in azienda;
b) previsione che, nel caso in cui siano oggetto di sequestro o confisca
di patrimoni misti, che comprendano sia singoli beni o complessi di
beni che beni costituiti in azienda, si applichi il criterio della prevalenza, con riferimento alla gestione più onerosa, maggiorato di una
percentuale da definirsi per ogni altra tipologia di gestione meno
onerosa;
c) previsione che il compenso sia comunque stabilito sulla base di
scaglioni commisurati al valore dei beni o dei beni costituiti in azienda, quale risultante dalla relazione di stima redatta dall’amministratore giudiziario, ovvero al reddito prodotto dai beni;
d) previsione che il compenso possa essere aumentato o diminuito,
su proposta del giudice delegato, nell’ambito di percentuali da definirsi e comunque non eccedenti 11 50 per cento, sulla base dei seguenti elementi:

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i) complessità dell’incarico o concrete difficoltà di gestione;
2) possibilità di usufruire di coadiutori;
3) necessità e frequenza dei controlli esercitati;
4) qualità dell’opera prestata e dei risultati ottenuti;
5) sollecitudine con cui sono state condotte le attività di amministrazione;
e) previsione della possibilità di ulteriore maggiorazione a fronte di
amministrazioni estremamente complesse, ovvero di eccezionale valore del patrimonio o dei beni costituiti in azienda oggetto di sequestro o confisca, ovvero ancora di risultati dell’amministrazione particolarmente positivi;
O previsione delle modalità di calcolo e liquidazione del compenso
nel caso in cui siano nominati più amministratori per un’unica procedura”.
Tanto nel testo vigente all’epoca dell’adozione del provvedimento di liquidazione oggetto dell’odierno giudizio, quanto nella successiva disciplina d’indole generale dettata in attesa dell’approvazione del decreto presidenziale attuativo dei principi indicati a livello di
fonte primaria, appare con evidenza come in nessun caso il legislatore abbia mai inteso operare un richiamo alle tariffe professionali invocate dal ricorrente al fine di consentire o sollecitare un’applicazione pedissequa delle stesse ai fini della liquidazione del compenso
spettante all’amministratore giudiziario dei beni sottoposti a sequestro.
Sul punto, sviluppando linee argomentative dotate di logica e
lineare coerenza interpretativa, la corte territoriale ha evidenziato
come la natura pubblicistica dell’incarico e l’indole indennitaria del
compenso da liquidare in favore dell’amministratore escludano in radice che possa pretendersi una liquidazione strettamente legata ai
parametri di cui alla tariffa professionale, piuttosto sollecitandone un
contemperamento con gli altri indici di raffronto espressamente richiamati in conformità alla piana interpretazione dell’art. 2-oeties,
comma 4, cit..
Il ragionamento della corte, per la congruità dell’argomentazione e la fedeltà interpretativa al testo normativo applicato, deve ritenersi immune dai vizi logico-giuridici allo stesso imputati dall’odierno ricorrente e tale da sfuggire alle censure di violazione di legge
e di difetto di motivazione dallo stesso illustrate.
Da ultimo, la doglianza riferita alla pretesa contraddittorietà
del richiamo comparativo finale alle tariffe professionali contenuto
nel provvedimento impugnato deve ritenersi del tutto priva di fondamento, atteso che la ratio di detto richiamo operato dal giudice a
quo appare evidentemente legata alla valutazione della complessiva
‘non irragionevolezza’ del trattamento economico scaturente dall’ap-

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plicazione dei criteri pubblicistici, rispetto al tertium comparationis
espressamente richiamato come attendibile parametro di confronto.

Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna
il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7.5.2013.

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