Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 237 del 29/11/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 237 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ZAZA CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
1. Abbrescia Alessandro, nato a Bari il 27/05/1978
2. Abbrescia Paolo, nato a Bari il 23/12/1975
3. Abbrescia Paolo, nato a Bari il 07/09/1983
4. Campanale Michele, nato a Bari il 24/06/1986
5. Morea Giuseppe, nato a Bari il 1’08/07/1976
6. Venerino Giuseppe, nato a Bari il 15/04/1982

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari del 19/04/2011

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Roberto
Aniello, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata
per la posizione di Giuseppe Morea limitatamente alla determinazione della pena
e per il rigetto dei ricorsi nel resto;
udito per l’imputato Alessandro Abbrescia l’avv. Manfred9 Fiormonti, che ha
concluso per raccoglimento del ricorso;

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Data Udienza: 29/11/2012

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del Giudice
dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Bari del 04/06/2010, pronunciata a
seguito di giudizio abbreviato, veniva ritenuta la responsabilità di
1. Alessandro Abbrescia, Paolo Abbrescia nato nel 1975, Paolo Abbrescia
nato nel 1983, Michele Campanale e Giuseppe Venerino per il reato di cui

organizzando e dagli altri partecipando ad un’associazione finalizzata al traffico di
sostanze stupefacenti operante in Bari (capo 1);
2. Alessandro Abbrescia per i reati di cui all’art.73 d.P.R. 9 ottobre 1990,
n.309, commessi cedendo quantitativi imprecisati di sostanza stupefacente non
identificata a Vito Lacetera in data prossima al 26/01/2006 (capo 3), a tale Paolo
in data prossima al 07/02/2006 (capo 10) ed a tale Giorgio il 10/02/2006 (capo
11), nonché sostanze stupefacenti non identificate rispettivamente del valore di
C.1.550 e del peso di gr.5, in concorso con Donato Cassano, a tale Pasquale e ad
altro soggetto non identificato il 25 ed il 26 gennaio 2006 (capo 4), ed un
quantitativo imprecisato di sostanza stupefacente non identificata ed altro di
cocaina per gr.3,27 a Vito Lacetera il 21 ed il 28 marzo 2006 (capo 16);
3. Paolo Abbrescia nato nel 1975 per i reati di cui all’art.73 d.P.R. 9 ottobre
1990, n309, commessi cedendo quantitativi imprecisati di cocaina a Renzo
Rubino dall’aprile all’ottobre del 2006 (capo 36) e di sostanza stupefacente non
identificata a tale Francesco dal 16 al 27 maggio del 2006 (capo 37);
4. Paolo Abbrescia nato nel 1983 per il reato di cui all’art.73 d.P.R. 9 ottobre
1990, n.309, commesso cedendo un quantitativo imprecisato di sostanza
stupefacente non identificata a Giuseppe Marea il 22/01/2006 (capo 20);
5. Michele Campanale per i reati di cui all’art.73 d.P.R. 9 ottobre 1990,
n.309, commessi detenendo quantitativi imprecisati di sostanza stupefacente
non identificata, ricevuti da Giuseppe Venerino dal 6 all’Il febbraio 2006, uno
dei quali ceduto a tale Michele (capo 8), ed altri ricevuti dal 15 febbraio al 5
maggio del 2006 (capo 13), e cedendo imprecisati quantitativi di

hashish a

Francesco Giannelli e di sostanza stupefacente non identificata ad Andrea
Saracino e Tommaso De Benedictis dal gennaio al giugno del 2006 (capo 14), a
Dario Falco dal 25 maggio all’i giugno del 2006 (capo 15) ed a Sergio Corriera
intorno al 06/03/2006 (capo 46);
6. Giuseppe Venerino per i reati di cui all’art.73 d.P.R. 9 ottobre 1990,
n.309, commessi cedendo al Campanale i quantitativi di stupefacente di cui al

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all’art.74, comma sesto, commesso da Alessandro Abbrescia dirigendo ed

capo 8 e concorrendo con Alessandro Abbrescia nella cessione dello stupefacente
al tale Giorgio di cui al capo 11;
7. Giuseppe Marea per i reati di cui all’art.73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309,
commessi acquistando in concorso con Massimo Morea un quantitativo di
sostanza stupefacente non identificata del valore di €.150 o 200 e cedendola ad
Antonio Citarelli il 23/02/2006 (capo 30) ed acquistando da De Vito, in concorso
con Massimo Morea e Silvio Conte, un quantitativo di gr.14,10 di cocaina
sequestrato al Conte il 17/05/2006 (capo 34), e dei reati di cui all’art.367 cod.

dell’autovettura Volkswagen Tuareg intestata a Luciano Pantaleo (capo 55) e in
data 07/09/2006 del furto dell’autovettura BMW detenuta in leasing da Cosimo
Capasso (capo 56), veicoli invece imbarcati il 05/05/2006 per la vendita in
Montenegro.
Per detti reati, ritenuta la continuazione fra i fatti in materia di stupefacenti
e separatamente, per il Morea, fra i fatti di simulazione di reato, venivano
irrogate in appello le pene per Alessandro Abbrescia di anni tre e mesi due di
reclusione; per Paolo Abbrescia nato nel 1975 di anni quattro e mesi sei di
reclusione; per Paolo Abbrescia nato nel 1983 di anni tre di reclusione; per il
Campanale di anni tre e mesi cinque di reclusione; per il Venerino di anni uno e
mesi otto di reclusione; e per il Morea di anni due e mesi quattro di reclusione ed
€.7.000 di multa per i reati in materia di stupefacenti e di mesi sei di reclusione
per i reati di cui all’art.367 cod. pen..

Gli imputati ricorrono sui punti e per i motivi di seguito indicati.
1. Motivi di ricorso proposti da più imputati hanno ad oggetto la
configurabilità del reato associativo.
Nel ricorso proposto da Paolo Abbrescia, nato nel 1975, si denuncia in
particolare la carenza motivazionale della sentenza impugnata laddove la stessa,
dando atto che l’esistenza dell’associazione criminosa poteva essere dubbia alla
luce del solo contenuto delle conversazioni intercettate, osservava che tale
esistenza era confermata dalle dichiarazioni di Alessandro Abbrescia,
richiamando tuttavia genericamente queste ultime e non considerando che il
dichiarante escludeva l’inserimento del ricorrente nel contesto associativo.
Nei ricorsi proposti da Paolo Abbrescia, nato nel 1983, e dal Campanale, si
censura la desunzione dell’esistenza della contestata associazione dal solo
contenuto delle intercettazioni, mezzi di prova inidonei a tale scopo,
lamentandosi mancanza di motivazione con riguardo alla limitata area territoriale
ed alla ridotta dimensione temporale dell’operatività dell’azione degli imputati,

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pen. concorrendo nelle false denunce in data 16/06/2006 del furto

nonché

alla

consistenza

irrisoria

dei

quantitativi

di

stupefacente

commercializzati.
Nel ricorso proposto dal Campanale si lamenta altresì l’illogicità del
riferimento probatorio alle dichiarazioni di Alessandro Abbrescia nonostante la
loro inverosimiglianza, la mancanza di riscontri e comunque la carenza, nella
condotta dell’imputato, dei profili caratteristici della condotta associativa.
Nel ricorso proposto dal Venerino si rileva che le dichiarazioni di Alessandro
Abbrescia non aggiungevano nulla a quanto già risultante dalle intercettazioni e

nei termini definitori dallo stesso utilizzati, non emergono gli elementi costitutivi
del reato associativo, segnatamente l’esistenza di un vincolo indipendente dai
reati specifici e destinato a durare oltre la commissione degli stessi; al contrario
essendovi rappresentata una situazione nella quale Alessandro Abbrescia era
l’unico soggetto in grado di approvvigionarsi di apprezzabili quantitativi di
sostanza stupefacente, in ragione delle sue maggiori possibilità economiche, e
altri imputati si rifornivano dal predetto rivendendo autonomamente la droga.
2. In ordine all’affermazione di responsabilità del Venerino per i reati di
cessione di stupefacente cui ai capi 8 e 11, il ricorrente lamenta in generale
l’illogicità della motivazione nell’attribuzione di valore probatorio a conversazioni
telefoniche criptiche e laconiche, non riscontrate da rinvenimenti di sostanza
stupefacente o da servizi di osservazione ed alle quali nulla aggiungevano le
dichiarazioni del collaboratore, tanto che nelle imputazioni si faceva riferimento a
quantitativi di droga di natura e quantità imprecisata.
Con particolare riguardo al reato di cui capo 8 il ricorrente lamenta altresì
contraddittorietà della motivazione nel richiamo, a sostegno della riferibilità dei
contatti telefonici allo scambio di stupefacenti, all’inserimento in questi ultimi di
Alessandro Abbrescia, nonostante lo stesso non sia imputato per tale reato.
Per il reato di cui al capo 11 il ricorrente lamenta ulteriore contraddittorietà
della motivazione laddove vi si concludeva che dalle conversazioni telefoniche
emergeva l’effettiva disponibilità dello stupefacente trattato e dunque l’esistenza
quanto meno di un accordo per la cessione, sufficiente ad integrare il reato,
laddove nelle stesse conversazioni erano presenti indicazioni di segno contrario
nell’esortazione, rivolta da Alessandro Abbrescia all’imputato, a rivolgersi altrove
per soddisfare la richiesta dell’acquirente, e nel riferimento a contatti con altro
fornitore, tale Michele, ai quali l’imputato rimaneva estraneo.
3.

I motivi di ricorso proposti dal Morea riguardano in primo luogo

l’affermazione di responsabilità per i reati di cui ai capi 30 e 34.
In ordine al reato di cessione di stupefacente ad Antonio Citarelli di cui al
capo 30, il ricorrente lamenta l’illogicità della motivazione in quanto fondata solo
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che dalle stesse, valutate nell’oggettività dei fatti riferiti dal collaboratore e non

su una telefonata fra l’imputato ed il fratello Massimo, nella quale si parlava di
portare gli «spiccioli» al Citarelli, che non poteva dare non più di 150 o 200 euro,
e su due successive telefonate indicative degli accordi sull’incontro di Massimo
Morea con il Citarelli, con un’immotivata interpretazione del termine «spiccioli»
come riferito a stupefacente in presenza di letture alternative.
Per ciò che riguarda il reato di detenzione dello stupefacente sequestrato a
Silvio Conte, di cui al capo 34, il ricorrente lamenta l’illogicità della motivazione
rispetto a conversazioni telefoniche dalle quali non emergeva l’acquisto in

una richiesta del primo al secondo di fornitura di una minima quantità di cocaina
per uso personale.
4.

Ulteriori motivi di ricorso proposti dal Morea hanno ad oggetto

l’affermazione di responsabilità per i delitti di simulazione di reato di cui ai capi
55 e 56. Il ricorrente lamenta mancanza della motivazione sul concorso
dell’imputato con i diversi soggetti che denunciavano il furto delle autovetture,
inconferenti essendo a tal fine i riferimenti della sentenza impugnata agli
accertamenti documentali ed alle intercettazioni sulla spedizione all’estero dei
veicoli, che nulla avevano a che vedere con le

denunce di furto; e

contraddittorietà delle conclusioni della Corte territoriale rispetto all’assoluzione
del Morea dall’originaria imputazione di cui all’art.416 cod. pen. ed alla
mancanza di interesse dell’imputato a denunciare falsamente i furti una volta
perfezionatasi la vendita delle autovetture all’estero, interesse viceversa
esistente per i possessori dei veicoli.
5. In ordine al diniego nei confronti di Alessandro Abbrescia dell’attenuante
di cui all’art.8 legge 12 luglio 1991, n.203, il ricorrente lamenta mancanza di
motivazione sull’operare l’associazione criminosa qui giudicata nel quartiere
Carrassi di Bari, che si trovava sotto il controllo di un’articolazione del

clan

mafioso Striscuglio, diretta da Antonio Fiore, la quale vi gestiva il traffico di
stupefacenti in un contesto nel quale il gruppo dell’Abbrescia necessariamente si
inseriva agevolando a sua volta l’attività del sodalizio mafioso, nonché sul
contributo rilevante offerto dall’imputato sugli affiliati al clan e sulle disposizioni
ricevute dal Fiore.
6. Motivi di ricorso proposti da tutti gli imputati hanno infine ad oggetto al
determinazione della pena. I ricorrenti lamentano la mancanza della motivazione
sulla determinazione della pena-base e degli aumenti a titolo di continuazione,
censurandosi inoltre nel ricorso proposto da Alessandro Abbrescia l’erroneità
dell’applicazione di tali aumenti successivamente alle diminuzioni per
l’attenuante di cui all’art.74, comma settimo, T.U. stup. e per il rito abbreviato;
nei ricorsi proposti da Paolo Abbrescia, nato nel 1975, e dal Morea la
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comune dello stupefacente fra l’imputato ed il fratello Massimo, risultando al più

contraddittorietà dell’adozione di trattamenti sanzionatori più grave rispetto a
quelli inflitti ai coimputati; nel ricorso proposto da Paolo Abbrescia, nato nel
1983, la mancata valutazione dell’incensuratezza dell’imputato; nel ricorso
proposto dal Campanale la mancata valutazione della giovane età dell’imputato e
del carattere modesto e risalente dei precedenti penali; ed ancora nel ricorso
proposto dal Morea l’erroneità della presumibile determinazione dell’aumento per
la continuazione in misura superiore a quella stabilita in primo grado in mesi sei

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi di ricorso relativi alla configurabilità del reato associativo sono
infondati.
Va premesso che, in presenza di decisioni di primo e secondo grado
motivate con criteri omogenei e con un apparato logico uniforme, è possibile
procedere all’integrazione delle due sentenze in modo da farle confluire in una
struttura argomentativa unitaria da sottoporre al controllo in sede di legittimità
(Sez. 3, n.10163 dell’01/02/2002, Lombardozzi, Rv.221116) laddove la sentenza
di secondo grado contenga richiami alla determinazioni assunte in primo grado
sui passaggi fondamentali della decisione (Sez. 3, n.13926 dell’01/12/2011,
Valerio, Rv.252615).
Tali presupposti ricorrono entrambi nella situazione esaminata, nella quale la
sentenza impugnata, muovendosi, in ordine al punto in esame, nella stessa
prospettiva motivazionale della decisione di primo grado, richiamava il contenuto
dell’argomentazione probatoria di quest’ultima nei due riferimenti fondamentali
rappresentati dalle intercettazioni telefoniche e dalle dichiarazioni di Alessandro
Abbrescia; evidenziando in particolare come le problematiche di possibile
equivocità delle prime fossero risolte dai contenuti delle seconde.
Su questi aspetti, la sentenza di primo grado poneva in luce la significatività
già attribuibile ai contenuti delle conversazioni intercettate nel momento in cui
dalle stesse risultava, con particolare riferimento all’episodio di cui al capo 8, che
il Venerino faceva riferimento ad Alessandro Abbrescia per le cessioni di
stupefacente nei confronti del Campanale, situazione conforme a quanto
emergeva da altri contatti telefonici in merito alla manifestata disponibilità del
Venerino ad eseguire le disposizioni di Alessandro Abbrescia; che, dopo l’arresto
di quest’ultimo, Paolo Abbrescia nato nel 1975 assumeva il ruolo direttivo
precedentemente svolto dall’arrestato, come evidenziato fra l’altro dall’essersi la
moglie Porzia Accogli immediatamente attivata per procurarsi presso l’abitazione
6

con riduzione per il rito.

di Alessandro Abbrescia i numeri telefonici dei clienti dello stesso; che Paolo
Abbrescia nato nel 1983 svolgeva compiti di custode del denaro proveniente
dall’illecito traffico; e che l’oggetto di quest’ultimo era indicato nei contatti
telefonici con un gergo comune agli interlocutori, per lo più costruito su termini
quali «soldi» o simili.
A questo, il Tribunale aggiungeva il portato delle dichiarazioni di Alessandro
Abbrescia, laddove lo stesso indicava gli altri imputati come associati nell’attività

criminosa e segnatamente Paolo Abbrescia nato nel 1983 e Venerino come suoi

fornitori dello stupefacente.
Nel richiamare questi elementi, la Corte territoriale motivava congruamente
l’esistenza della contestata associazione, nel momento in cui per un verso le
intercettazioni rappresentavano la ripartizione dei ruoli fra gli imputati e la
continuità del sodalizio anche dopo l’arresto di Alessandro Abbrescia con
l’assunzione, da parte di Paolo Abbrescia nato nel 1975, delle funzioni direttive e
degli strumenti operativi del predetto, e per altro Alessandro Abbrescia
confermava l’effettività del vincolo associativo.
A fronte di queste conclusioni, risultano generiche le censure presenti nei
ricorsi proposti da Paolo Abbrescia nato nel 1983 e dal Campanale, nelle quali i
ricorrenti si limitano a rilevare l’insufficienza probatoria dei contenuti delle
intercettazioni. Infondate sono poi le doglianze degli stessi ricorrenti sulla
mancanza di motivazione in ordine a circostanze, quali la contenuta dimensione
spaziale e temporale dell’operatività della ritenuta associazione e la ridotta
consistenza dei quantitativi di droga commerciati, irrilevanti rispetto alla
configurabilità del reato associativo, ed invece correttamente valutate dalla Corte
territoriale, nella loro effettiva valenza, ai fini dell’inquadramento della fattispecie
nella meno grave ipotesi di cui all’art.74, comma sesto, T.U. stup.. Generiche
sono ancora le censure dei ricorsi proposti da Paolo Abbrescia nato nel 1975, dal
Campanale e dal Venerino sull’asserita insufficienza del riferimento alle
dichiarazioni di Alessandro Abbrescia, rispetto all’efficacia confermativa dei
contenuti delle intercettazioni specificamente rimarcata dai giudici di merito; in
particolare non essendo sostenuta dalle necessarie allegazioni la mera
asserzione, contenuta nel primo dei ricorsi menzionati, sull’esclusione di un ruolo
associativo di Paolo Abbrescia nato nel 1975, laddove dalle dichiarazioni riportate
nella sentenza di primo grado emerge unicamente una particolare specificazione
delle funzioni svolte da altri imputati, non senza considerare la precisa
attribuzione all’imputato della posizione direttiva assunta dopo l’arresto dello
stesso Alessandro Abbrescia. Sono infine oggetto di mere valutazioni alternative
a quelle dei giudici di merito le censure dei ricorrenti Campanale e Venerino sulla
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più stretti collaboratori, retribuiti settimanalmente per il loro apporto quali

riferibilità della realtà descritta da Alessandro Abbrescia un’attività criminosa
priva di connotati associativi, con particolare riguardo alla sua indipendenza dai
singoli episodi delittuosi, ed invece caratterizzata da meri rapporti di
approvviggionamento di stupefacente dallo stesso Alessandro Abbrescia di
rivenditori in realtà operanti autonomamente sul mercato; l’argomentazione
della Corte territoriale sul punto risulta invero immune da illogicità laddove
valorizzava, attraverso il richiamo agli elementi esposti nella sentenza di primo
grado, la convergenza dei contenuti delle intercettazioni e delle dichiarazioni del

compiti fra gli associati e nella continuità del traffico anche successivamente
all’arresto di Alessandro Abbrescia, e nella quale quest’ultimo interveniva
esercitando un costante controllo sulle cessioni di stupefacente effettuate dai
coimputati.

2. I motivi di ricorso proposti dal Venerino in ordine all’affermazione di
responsabilità per i reati di cessione di stupefacente cui ai capi 8 e 11 sono
infondati.
Infondata è in primo luogo la censura di illogicità della motivazione in
quanto fondata sui contenuti delle intercettazioni telefoniche, delle quali il
ricorrente lamenta la cripticità e la mancanza di riscontri. Nessun vizio è infatti
ravvisabile nella motivata attribuzione di significato probatorio ai predetti
contenuti, oggetto di una valutazione di fatto rimessa all’apprezzamento del
giudice dì merito (Sez. 4, n.117 del 28/10/2005, Caruso, Rv.232626; Sez. 2,
n.38915 del 17/10/2007, Donno, Rv.237994; Sez. 6, n.17619 dell’08/01/2008,
Gionta, Rv.239724).
In questa prospettiva, la prova del reato di cui al capo 8 veniva
coerentemente tratta, nella sentenza impugnata, dai reiterati contatti telefonici
fra il Venerino ed il Campanale, alcuni dei quali venivano specificamente
analizzati nella loro indicatività rispetto a scambi di sostanza stupefacente,
confermata dall’intervento in tali rapporti di Alessandro Abbrescia. Né sussiste la
dedotta contraddittorietà di quest’ultimo riferimento rispetto alla mancanza di
un’imputazione specifica nei confronti di Alessandro Abbrescia in ordine al reato
in esame, considerato che l’intervento del predetto si inquadrava, nella
prospettiva motivazionale della sentenza, nella più generale funzione direttiva
esercitata all’interno del contesto associativo.
Per il reato di cessione di stupefacente a tale Giorgio di cui al capo 11, la
disponibilità della droga oggetto dell’operazione era congruamente motivata nel
riferimento alla conferma del dato proveniente dalle dichiarazioni di Alessandro
Abbrescia; e tanto rende insussistente la dedotta contraddittorietà della sentenza
8

collaboratore nel delineare un’entità organizzativa stabile nella ripartizione dei

rispetto ad accenni, presenti nelle conversazioni intercettate, a ricerche dello
stupefacente da altre fonti, in quanto riconducibili a momentanei passaggi
fattuali della vicenda, superati da un elemento dichiarativo coerentemente
ritenuto dai giudici di merito conclusivo in ordine all’acquisito possesso dello
stupefacente.

3. I motivi di ricorso proposti dal Marea in ordine all’affermazione di
responsabilità per i reati di cui ai capi 30 e 34 sono infondati.

cui al capo 30 era congruamente motivata sulla base della conversazione
telefonica fra l’imputato ed il fratello Massimo, riferita alla necessità di portare al
Citarelli qualcosa che veniva definito come «spiccioli», logicamente individuata
come stupefacente sia per la riferibilità del termine a quelli che si è detto essere
utilizzati ripetutamente dagli imputati nei contatti telefonici per indicare la droga,
sia per la conferma di tale conclusione nell’impossibilità di attribuire al termine il
significato proprio in quanto collegato ad un oggetto da cedersi in cambio di una
somma di denaro; nonché, una volta accertata in tal modo la natura di tale
oggetto, da successivi contatti telefonici dimostrativi dell’incontro di Massimo
Morea con il Citarelli e, dunque, della conclusione dello scambio. Ed a fronte di
queste considerazioni il motivo di ricorso è generico nel mero richiamo alla
possibilità di interpretazioni alternative del termine utilizzato nella prima
conversazione.
Quanto al reato di detenzione dello stupefacente sequestrato a Silvio Conte,
di cui al capo 34, la sentenza richiamava la decisione di primo grado in merito
all’essere stato detto sequestro preceduto da contatti telefonici fra i fratelli Morea
su un incontro con il Conte, posto in relazione con un oggetto definito con i
consueti termini monetari. Alla coerente conclusione dei giudici di merito
sull’acquisto dello stupefacente da parte dei Morea e del Conte, il ricorrente
oppone una diversa valutazione delle stesse circostanze nei termini della
richiesta dell’imputato di una fornitura di stupefacente per uso personale,
inidonea ad evidenziare nella sentenza impugnata vizi rilevanti in questa sede.

4.

I motivi di ricorso proposti dal Marea in ordine all’affermazione di

responsabilità per i delitti di simulazione di reato di cui ai capi 55 e 56 sono
infondati.
Posto che nessun rilievo è avanzato dal ricorrente in ordine al
coinvolgimento dell’imputato nella spedizione in Montenegro dei veicoli dei quali
veniva falsamente denunciato il furto, per la vendita degli stessi in quel Paese,
non sussiste la dedotta carenza motivazionale in merito al concorso dell’imputato
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La sussistenza del reato di cessione di stupefacente ad Antonio Citarelli di

nelle false denunce, implicitamente quanto chiaramente ritenuto per l’evidente
strumentalità di tali condotte rispetto al progetto illecito alla cui realizzazione
l’imputato partecipava.
Neppure sussistono le asserite contraddittorietà di questa conclusione
rispetto all’assoluzione dell’imputato dal reato associativo contestatogli quale
finalizzato alla commissione dei delitti in esame, essendo ben possibile che la
responsabilità per questi ultimi venga ritenuta al di fuori di un contesto
organizzato, e non essendo peraltro il ricorso corredato da specifiche allegazioni

giudizio di responsabilità in discussione; nonché rispetto al diretto interesse dei
possessori delle autovetture alla presentazione delle false denunce, che non
esclude l’interesse ugualmente ravvisabile in capo all’imputato, per la sua
partecipazione alla complessiva operazione illecita, ad occultare la stessa con la
simulazione del furto dei veicoli.

5. Il motivo dì ricorso proposto da Alessandro Abbrescia in ordine al diniego
dell’attenuante di cui all’art.8 legge 12 luglio 1991, n.203 è infondato.
Occorre premettere che i riferimenti del ricorrente ai rapporti
dell’associazione criminosa in esame con l’organismo di tipo mafioso facente
capo ad Antonio Fiore trovano riscontro nella ricostruzione dei fatti esposta nella
sentenza impugnata.
La contestazione dei reati qui giudicati non comprende per il vero il reato di
cui all’art.416-bis cod. pen. ovvero l’aggravante del metodo mafioso o del fine di
favorire un’associazione mafiosa, prevista dall’art.7 della legge pocanzi citata.
Questa Corte ritiene tuttavia di aderire al prevalente orientamento (Sez. 1,
n.5372 dell’11/03/1997, Santise, Rv.207818; Sez. 4, n.30062 del 20/06/2006,
Cariolo, Rv. 235179) per il quale la mancanza di tale contestazione non esclude
la ravvisabilità dell’attenuante in esame, laddove il reato sia di fatto commesso
avvalendosi delle condizioni proprie del contesto mafioso, quali nella specie
l’operare in forza dell’appoggio dell’associazione di questo tipo che controllava il
quartiere di Bari nel quale si svolgeva il traffico di sostanza stupefacente gestito
dall’associazione facente capo ad Alessandro Abbrescia. Il richiamo contenuto
nell’art.8 della legge ai reati commessi nelle predette condizioni, altrove posto a
sostegno dell’affermata necessità della contestazione di cui sopra quale
presupposto per l’applicabilità dell’attenuante in esame (Sez. 2, n.23121 del
29/04/2009, Nemoianni, Rv.245180), appare in effetti anche testualmente
riferito alle sostanziali modalità commissive del reato, in termini che prescindono
pertanto dall’esistenza di una formale qualificazione giuridica di tali modalità.

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sui motivi a sostegno della decisione assolutoria e sul contrasto degli stessi con il

Va peraltro osservato che ad Alessandro Abbrescia, in considerazione del
contributo collaborativo offerto ai fini della prova del reato di cui all’art.74 T.U.
stup., è stata riconosciuta dai giudici di merito l’attenuante prevista dal comma
settimo della norma appena citata. Detta attenuante trova il suo fondamento
fattuale in un comportamento dell’imputato sostanzialmente sovrapponibile a
quello che giustifica l’attenuante di cui all’art.8 legge n.203 del 1991; la
differenza fra le due fattispecie non può pertanto che collocarsi nei diversi ambiti
ai quali il comportamento collaborativo afferisce, costituiti per la circostanza di

per quella di cui all’art.8 dalla prova dei reati di associazione di tipo mafioso o di
quelli commessi avvalendosi delle relative condizioni. Questi ambiti delineano
distinti spazi di operatività delle due circostanze attenuanti, la cui significatività
in termini di premialità del comportamento collaborativo dell’imputato, ai fini
della determinazione della pena, è tuttavia analoga, in quanto collegata alla
comune condotta materiale. Le attenuanti in esame non possono pertanto
concorrere (Sez. 6, n.29626 dell’11/03/2010, Capriati, Rv.248194).
Nel caso in esame, correttamente veniva riconosciuta l’attenuante di cui
all’art.74, comma settimo, T.U. stup., in presenza di un comportamento
collaborativo posto in essere in relazione al reato di associazione finalizzata al
traffico di stupefacenti, contestato in questa sede. La ricorrenza di detta
fattispecie, per quanto appena detto, non consente la cumulativa applicazione
dell’invocata attenuante di cui all’art.8 legge n.203 del 1991, assorbendone
interamente la fun ione di valore premiale. Altrettanto correttamente la
configurabilità diì attenuante veniva dunque esclusa.

6. I motivi di ricorso relativi alla determinazione della pena sono fondati nei
seguenti termini.
I rilievi di erroneità nel computo della pena irrogata, segnalati nei ricorsi
proposti da Alessandro Abbrescia e dal Morea, non sono per il vero sussistenti.
Quanto alla prima delle posizioni indicate, correttamente l’aumento per la
continuazione veniva applicato successivamente alle diminuzioni per le
attenuanti di cui all’art.74, comma settimo, T.U. stup. e 62-bis cod. pen.; e,
contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la diminuzione per il rito
veniva effettuata sulla pena già aumentata per effetto della continuazione. Per
ciò che riguarda il trattamento sanzionatorio nei confronti del Morea per i reati in
materia di stupefacenti, con la sentenza di primo grado la pena-base per il reato
di cui al capo 21, per il quale l’imputato veniva assolto in appello come per i reati
di cui ai capi 23, 25, 26 e Si, veniva determinata in anni quattro e mesi sei di
reclusione ed C.27.000 di multa, ridotta per le attenuanti generiche ad anni tre
11.

cui all’art.74 dalla ricostruzione dei contesti associativi previsti da tale norma, e

di reclusione ed €.21.000 di multa, aumentata per la continuazione nella misura
mesi sei di reclusione per ciascuno dei reati satelliti fino ad anni sei di reclusione
ed €.21.000 di multa ed infine ridotta per il rito ad anni quattro di reclusione ed
€.14.000 di multa; pertanto, rimanendo inalterate la pena-base e quella di mesi
sei di reclusione quale aumento per la continuazione con l’unico reato satellite
per il quale veniva ritenuta la responsabilità dell’imputato all’esito del giudizio di
appello, la pena detentiva finale risulta corrispondente a quella irrogata nella
misura di anni due e mesi quattro di reclusione, non ricorrendo pertanto la

superiore a quella stabilita in primo grado.
E’ invece fondata la censura di Mancanza di motivazione sul punto.
La Corte territoriale, all’esito della riqualificazione della condotta associativa
nell’ipotesi di cui all’art.74, comma sesto, T.U. stup., e dell’assoluzione degli
imputati da taluni reati specifici, si limitava infatti a rideterminare le pene, per
taluni degli imputati, segnatamente Paolo Abbrescia nato nel 1975 e Venerino,
non indicando i singoli passaggi del relativo computo, e per tutti comunque non
esponendo alcuna motivazione in ordine alla determinazione della pena-base,
che per il reato associativo veniva oltretutto collocata in una cornice edittale
diversa da quella della decisione di primo grado e stabilita in misure
notevolmente distanti dai minimi previsti dalla legge. Né per la posizione del
Morea, che non risponde del reato associativo, può soccorrere il riferimento alla
sentenza di primo grado; la cui motivazione, per questo imputato come per gli
altri, non riportava neppure in quella sede alcuna giustificazione sulla
determinazione delle pene.
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata limitatamente alla
determinazione delle pene, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di
Bari per nuovo esame sull’indicata carenza motivazionale.

P. Q. M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di tutti i ricorrenti limitatamente alla
determinazione della pena con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della
Corte d’Appello di Bari.
Rigetta nel resto i ricorsi.
Così deciso in Roma il 29/11/2012

Il Consigliere estensore

lamentata quantificazione dell’aumento ai sensi dell’art.81 cod. pen. in misura

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