Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23681 del 07/05/2013


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Penale Ord. Sez. 4 Num. 23681 Anno 2013
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

Data Udienza: 07/05/2013

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sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI NAPOLI
nei confronti di:
MAGRI PIETRO N. IL 13/04/1960
avverso la sentenza n. 17872/2011 TRIBUNALE di NAPOLI, del
12/12/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
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Ritenuto in fatto
1. – Con sentenza resa in data 12.12.2011, il tribunale di Napoli
ha assolto Pietro Magri dal reato di manomissione o alterazione di
targa automobilistica previsto dagli artt. 100, comma 14, c.d.s., in relazione agli artt. 477-482 c.p., contestato come commesso in Napoli,
il 19.4.2010, perché il fatto non costituisce reato.
A sostegno dell’assoluzione pronunciata, il giudice napoletano
ha rilevato come l’imputato avesse, non già alterato in modo durevole
e definitivo la targa de qua, avendola solo estemporaneamente resa
illeggibile mediante l’apposizione di calce e di nastro adesivo di colore bianco, con la conseguente esclusione della riconducibilità del relativo comportamento alla fattispecie penale allo stesso contestata.
Avverso tale sentenza, ha proposto ricorso per cassazione il
procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli, censurando la pronuncia del giudice di primo grado per violazione di legge,
avendo il tribunale napoletano erroneamente escluso l’alterazione
stabile e duratura della targa in esame, solo erroneamente qualificata
come estemporaneamente illeggibile, a dispetto della materiale alterazione della stessa, mediante mezzi certamente idonei a modificarne
in maniera stabile e definitiva l’apparenza.
Considerato in diritto
Le ragioni dell’impugnazione in questa sede proposta dal
procuratore ricorrente devono ritenersi sostanzialmente destinate,
secondo l’indole che le connota, a provocare un complessivo riesame
nel merito dell’ipotesi accusatoria contestata all’imputato alla luce
delle evidenze processuali; e tanto, sulla base di una valutazione da
condurre alla stregua di criteri di giudizio ‘in fatto’, in quanto tali non
prospettabili, né consentiti, in questa sede di legittimità.
Al riguardo, secondo il consolidato insegnamento di questa
corte, la proposizione di un mezzo d’impugnazione diverso dal rimedio consentito dall’ordinamento comporta non l’inammissibilità
dell’impugnazione, bensì soltanto la necessità di procedere all’esatta
qualificazione del mezzo proposto alla stregua di quello consentito
dall’ordinamento, con la conseguente emanazione dei provvedimenti
del caso (Cass., Sez. 1, n. 4664/1991, Rv. 188972).
E invero, la disciplina della conversione, estensibile per analogia anche all’ipotesi di scambio tra ricorsi non omogenei, è applicabile non solo nei casi in cui è ravvisabile un errore della parte che ha
proposto l’impugnativa non consentita, ma anche nel caso in cui il
ricorrente abbia deliberatamente scelto e utilizzato un mezzo
d’impugnazione non contemplato dalla legge, perché anche in questa
ipotesi deve ritenersi prevalente esclusivamente la volontà della parte
intesa comunque a sottoporre a sindacato la decisione impugnata (v.
CaSS., Sez. 1, n. 4664/1991, Rv. 188972, cit.).
2. –

2

Pertanto, allorché un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da
quello legislativainente prescritto, il giudice che riceve l’atto deve limitarsi, a norma dell’art. 568, comma 5, c.p.p., a verificare l’oggettiva
impugnabilità del provvedimento, nonché l’esistenza di una voluntas
irnpugnationis, consistente nell’intento di sottoporre l’atto impugnato a sindacato giurisdizionale, e quindi trasmettere gli atti al giudice
competente (Cass., Sez. Un., n. 45371/2001, Rv. 220221).
Sulla base di tali premesse, occorre procedere alla qualificazione del ricorso proposto in questa sede alla stregua di un ricorso in
appello, con la conseguente trasmissione degli atti alla Corte d’appello di Napoli, competente per territorio.
Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, qualificato il ricorso come appello dispone la trasmissione degli atti alla Corte d’appello di Napoli.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7.5.2013.

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