Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23680 del 07/05/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 23680 Anno 2013
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RIZZO LORENZO N. IL 20/01/1966
GRIMI PAOLO N. IL 03/06/1945
avverso la sentenza n. 403/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
29/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI
-1.e-À-Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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Udito, per la parte civile, l’Avv.
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Data Udienza: 07/05/2013

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Ritenuto in fatto
– Con sentenza emessa in data 10.5.2010, il tribunale di Milano ha assolto Francesco Macrina, Lorenzo Rizzo e Paolo Grimi
dall’imputazione di omicidio colposo in violazione delle norme sulla
prevenzione degli infortuni sul lavoro loro ascritta in relazione all’infortunio sul lavoro subito, in Lainate in data 7.11.2002, da Antonio
Mancuso, dal quale ebbe a conseguire il relativo decesso in Milano in
data 15.11.2002.
Su appello del pubblico ministero e (in forma incidentale)
dell’imputato Grimi, la corte d’appello di Milano, con sentenza resa in
data 29.2.2012, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dei tre imputati essendo il reato loro ascritto estinto per intervenuta prescrizione, con la condanna
degli stessi, in solido tra loro, al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite da liquidarsi in separato giudizio, previo riconoscimento, in loro favore, di una provvisionale immediatamente
esecutiva.
Con la sentenza d’appello, la corte territoriale ha riscontrato
l’effettiva violazione, da parte dei tre imputati, delle regole cautelari
specificamente richiamate, a titolo di colpa specifica, nei capi di accusa ascritti ai tre imputati, per effetto della quale il Mancuso, durante
la manovra di spostamento dell’autopompa al fine di facilitare l’ultimazione delle operazioni di gittata del calcestruzzo, salendo sul tetto
del capannone in prossimità del quale erano in corso di svolgimento
le lavorazioni, al fine di riparare il braccio dell’autopompa nel frattempo bloccatosi, era inciampato contro un tirante di fissaggio non
segregato né segnalato, sporgente dal lato interno del parapetto per
circa 10 cm., così perdendo l’equilibrio, cadendo a terra da un dislivello di 40/50 cm. circa, battendo il capo privo di elmetto di protezione, così riportando le lesioni cranio-encefaliche che lo avrebbero
condotto al decesso.
Avverso la sentenza d’appello, per mezzo dei propri difensori,
hanno proposto ricorso per cassazione Lorenzo Rizzo e Paolo Grimi.
2.1. – Con il proprio ricorso, Lorenzo Rizzo censura la sentenza
impugnata per violazione di legge e Vito di motivazione, avendo la
corte territoriale provveduto a una ricostruzione meramente congetturale della dinamica dell’infortunio oggetto di giudizio, in realtà
provocato in via esclusiva dall’abnormità del comportamento del lavoratore rimastone vittima, improvvidamente salito sulla copertura
del capannone allo scopo di provvedere alla manutenzione dell’autopompa che stava utilizzando al fine di compiere un’operazione
straordinariamente pericolosa e imprevedibile, viceversa ovviabile
attraverso la richiesta di intervento di eventuali altri soggetti abilitati
al compimento di dette operazioni di manutenzione.

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Sotto altro profilo, il Rizzo si duole che la corte territoriale abbia omesso di considerare come il lavoratore rimasto vittima dell’infortunio fosse provvisto di adeguata formazione professionale, che
avesse ripreso proprio in quel giorno la propria attività lavorativa
(così spiegandosi la mancata produzione delle disposizioni scritte e
sottoscritte dallo stesso), che nessuna certezza era emersa in ordine
alla mancata utilizzazione, da parte del lavoratore, del casco protettivo (da ritenersi comunque irrilevante) al momento dell’infortunio.
2.2.1. – Paolo Grimi ricorre avverso la sentenza d’appello sulla
base di un articolato complesso di motivi.
Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza
d’appello per violazione di legge, in relazione agli arti. 578 c.p.p., 27
comma 2, Cost., 6 n. 2 CEDU, nonché dell’art. 129 C.p…
Rileva, in primo luogo, il ricorrente, come la corte d’appello
abbia illegittimamente condannato gli imputati al risarcimento del
danno, dopo aver dichiarato estinti i reati per intervenuta prescrizione, a seguito di una sentenza di assoluzione pronunciata in primo
grado, là dove, ai sensi dell’articolo 578 c.p.p., il potere del giudice
penale di pronunciare condanna civile al risarcimento del danno, a
seguito della rilevata estintone del reato, presuppone una pronuncia
di condanna in prime cure, né essendovi stata, attraverso la pronuncia di assoluzione degli imputati in primo grado, alcuna impugnazione delle parti civili.
2.2.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza d’appello per violazione di legge, in relazione agli arti. 6 commi i e
2, CEDU, 533, comma 1, 530, comma 2, c.p.p., 111, comma 6, Cost.,
192,220 e 546 c.p.p., nonché vizio di motivazione sui punti indicati.
In particolare, si duole il ricorrente che la corte d’appello abbia
accertato la responsabilità degli imputati pur in presenza di consistenti e ragionevoli dubbi al riguardo, avendo proceduto a una ricostruzione solo congetturale e ipotetica dei fatti di causa, non supportata da adeguati elementi probatori ad essa coerenti, con la conseguente manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione.
Sotto altro profilo, il ricorrente censura la sentenza della corte
territoriale per violatone di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità del Grimi quale coordinatore per la
sicurezza in fase di esecuzione, nonché in riferimento alla errata e
non provata compresenza operativa di tre imprese nel cantiere dove
si è verificato l’infortunio oggetto del giudizio.

2.2.3. — Con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza
d’appello per violazione di legge in relazione all’art. 530 c.p.p. per
aver omesso di pronunciare l’assoluzione nel merito dell’imputato in

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relazione alla contestata qualità di direttore tecnico di cantiere, oltre
che omessa pronuncia e violazione del diritto al giusto processo, ai
sensi degli artt. 24 e in Cost. e 6, comma i, CEDU.

Considerato in diritto
4.1. — Il primo motivo di ricorso proposto da Paolo Grimi è
fondato.
Secondo il consolidato insegnamento di questa corte di legittimità, deve ritenersi illegittima la condanna dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile pronunciata con la sentenza di appello che dichiari, su impugnazione del pubblico ministero, la sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione in riforma
della sentenza di assoluzione.
Al riguardo, occorre sottolineare come il presupposto per
l’applicazione dell’art. 578 c.p.p. (secondo cui, quando nei confronti
dell’imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle
restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore
della parte civile, il giudice di appello e la corte di cassazione, nel
dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decidono
sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della
sentenza che concernono gli interessi civili) è costituito dalla pronuncia di una sentenza di condanna nei confronti dell’imputato.
La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, costantemente sostenuto che è illegittima la condanna dell’imputato al risarcimento
dei danni in favore della parte civile pronunciata, in appello, come
effetto della declaratoria di sopravvenuta estinzione del reato per
prescrizione con la quale il giudice di secondo grado abbia riformato,
su impugnazione del pubblico ministero, la sentenza di assoluzione di
primo grado, in quanto la decisione sulle restituzioni e sul risarcimento del danno può essere adottata solo nel caso in cui, nel precedente grado di giudizio, sia stata affermata, con la sentenza di condanna, la responsabilità dell’imputato (Cass., Sez. 5, n. 27652/2010,
Rv. 248389; Casa., Sez. 5, n. 15640/2005, Rv. 232133).
L’esplicita volontà legislativa esprime sul punto l’esigenza che
la pronuncia della condanna civile al risarcimento dei danni sia preceduta almeno da una sentenza di condanna penale, ovvero da un accertamento della responsabilità dell’imputato, costituente il presupposto per la condanna al risarcimento dei danni patiti dalla parte lesa, costituitasi parte civile.
L’istituto disciplinato dall’art. 578 c.p.p. ha, invero, la finalità
di evitare, quando vi sia stata condanna dell’imputato in primo e/o
secondo grado e si verifichi l’estinzione del reato per prescrizione o

3. — Hanno depositato memoria le parti civili costituite, concludendo per l’integrale conferma della sentenza impugnata.

per amnistia in grado di appello o in Cassazione, che, in assenza di
un’impugnazione della parte civile, il capo della sentenza relativo
all’azione risarcitoria acquisti efficacia di giudicato (v., sul punto,
Cass., Sez. 3, n. 18056/2004, Rv. 228450).
L’ipotesi disciplinata dall’art. 576 c.p.p. – impugnazione della
parte civile – è, invece, diversa, perché in tal caso si prescinde da una
precedente sentenza di condanna; ciò perché il giudice di appello, nel
dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione, può, su impugnazione della sentenza di assoluzione ad opera della parte civile, condannare l’imputato al risarcimento dei danni in favore di quest’ultima, atteso che l’art. 576 c.p.p, conferisce al giudice dell’impugnazione
il potere di decidere sul capo della sentenza anche in mancanza di
una precedente statuizione sul punto (v. Cass., Sez. Un., n.
25083/2006, Rv. 233918).
Nel caso di specie, in primo grado non vi é stata alcuna statuizione civile, non essendovi stata condanna penale e la parte civile non
ha proposto impugnazione agli effetti civili avverso la sentenza di assoluzione, cosicché non erano applicabili gli istituti previsti dall’art.
$76 c.p.p., applicabile soltanto in ipotesi d’impugnazione della parte
civile, e dall’art. 578 c.p.p., applicabile soltanto, in assenza
d’impugnazione della parte civile, in presenza di una sentenza di
condanna (v. Casa., CaSS., Sez. 5, n. 27652/2010, Rv. 248389, cit.).
Per tali ragioni, la decisione della Corte territoriale deve ritenersi erronea e la sentenza impugnata dev’essere annullata senza rinvio limitatamente alle statuizioni civili (ivi comprese le condanne alla
rifusione delle spese di giudizio in favore delle parti civili), che vanno
eliminate.
4.2. — Con riguardo alle restanti doglianze avanzate dagli imputati ricorrenti, preso atto dell’accertata intervenuta prescrizione
dei reati loro ascritti da parte della corte territoriale, rileva il collegio
come, in conformità all’insegnamento ripetutamente impartito da
questa Corte, in presenza di una causa estintiva del reato, l’obbligo
del giudice di pronunciare l’assoluzione dell’imputato per motivi attinenti al merito si riscontri nel solo caso in cui gli elementi rilevatori
dell’insussistenza del fatto, ovvero della sua non attribuibilità penale
all’imputato, emergano in modo incontrovertibile, tanto che la relativa valutazione, da parte del giudice, sia assimilabile più al compimento di una ‘constatazione’, che a un atto di ‘apprezzamento’ e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (v. Casa., n. 35490/2009, Rv. 244274)E invero il concetto di ‘evidenza’, richiesto dal secondo comma
dell’art. 129 c.p.p., presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara e obiettiva, da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge ri-

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chiede per l’assoluzione ampia, oltre la correlazione a un accertamento immediato (cfr. Cass., n. 31463/2004, Rv. 229275).
Da ciò discende che, una volta sopraggiunta la prescrizione del
reato, al fine di pervenire al proscioglimento nel merito dell’imputato
occorre applicare il principio di diritto secondo cui ‘positivamente’
deve emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l’estraneità dell’imputato a quanto allo stesso contestato,
e ciò nel senso che si evidenzi l’assoluta assenza della prova di colpevolezza di quello, ovvero la prova positiva della sua innocenza, non
rilevando l’eventuale mera contraddittorietà o insufficienza della
prova che richiede il compimento di un apprezzamento ponderato tra
opposte risultanze (v. Cass., n. 26008/2007, Rv. 237263).
Tanto deve ritenersi non riscontrabile nel caso di specie, in cui
questa Corte – anche tenendo conto degli elementi evidenziati nella
motivazione della sentenze d’appello qui impugnata – non ravvisa alcuna delle ipotesi sussumibili nel quadro delle previsioni di cui
all’art. 129, comma 2, c.p.p., dovendo pertanto ritenersi corretta la
sentenza impugnata nella parte in cui dichiara non doversi procedere
nei confronti degli imputati essendo estinti i reati loro ascritti per
l’intervenuta prescrizione.
Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili e alle conseguenti condanne alle spese in favore delle costituite parti civili, statuizioni che elimina; compensa tra le parti le spese di questo grado di
giudizio.
Rigetta nel resto i ricorsi.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7.5.2013.

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