Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23675 del 07/05/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 23675 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PELLE ANTONIO N. IL 09/10/1988
avverso l’ordinanza n. 1111/2012 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 06/02/2013
sent’ a la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;
e/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor Avv.;Ri2519

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Data Udienza: 07/05/2014

RITENUTO IN FATTO

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1. Con ordinanza del 30/10/2013, il Tribunale del riesame di Reggio
Calabria, in sede di rinvio, accogliendo l’appello ex art. 310 cod. proc. pen.
proposto dal P.M. avverso quella della Corte di Assise di Locri, che aveva
rigettato la richiesta di applicazione della misura della custodia cautelare in
carcere nei confronti di Pelle Antonio, annullava la predetta ordinanza e
applicava la misura richiesta al Pelle.

reclusione per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Prima
della sentenza di condanna, l’ordinanza cautelare era stata annullata senza rinvio
da parte di questa Corte per carenza di gravità indiziaria.
La richiesta del P.M. di applicare la misura ai sensi dell’art. 275, comma 1
bis cod. proc. pen. era stata rigettata dalla Corte di Assise, ritenendo
insussistenti i pericoli di fuga e di reiterazione di reati della stessa specie.
Il P.M. aveva proposto appello al Tribunale del riesame, rappresentando
erroneamente che Pelle era stato scarcerato per decorrenza dei termini di
custodia cautelare. L’ordinanza del Tribunale del riesame, che aveva accolto
l’appello, era stata così annullata da questa Corte, che aveva rilevato che non si
verteva nell’ipotesi di cui all’art. 307 comma 2, lett. b) cod. proc. pen., ma in
quella di cui all’art. 275, comma 1 bis cod. proc. pen..

Il Tribunale del riesame, applicando la predetta norma, riteneva sussistente
sia il pericolo di fuga, sulla base dell’entità della pena irrogata, dell’inserimento
dell’imputato in una pericolosissima associazione criminale e della particolare
abilità e propensione di detta associazione a favorire lo stato di clandestinità e
latitanza di molti appartenenti: in effetti, le indagini avevano portato al
rinvenimento di cinque bunker presso alcuni fabbricati, in uno dei quali Pelle era
stato sorpreso nel 2007 in occasione dell’esecuzione del provvedimento di fermo
emesso nei suoi confronti. Inoltre, il Tribunale riteneva che il pericolo di fuga
discendesse anche dalle ramificazioni all’estero dell’associazione, dimostrate
dalle indagini.
Oltre all’attualità del pericolo di fuga, sussisteva anche il pericolo di
reiterazione di reati, atteso il forte legame tra Pelle e il clan mafioso e la gravità
e varietà delle condotte criminali poste in essere.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Antonio Pelle, deducendo violazione
di legge e vizio di motivazione.
Il Tribunale aveva dedotto le esigenze cautelari da asserzioni inconferenti a

Antonio Pelle è stato condannato in primo grado alla pena di anni dodici di

dimostrarne la specificità, la concretezza e l’attualità. In particolare, il Tribunale
del riesame non aveva valutato che l’associazione criminosa sarebbe sorta nel
1991, quando Pelle aveva tre anni; che, dalla data di scarcerazione ad opera di
questa Corte, Pelle non si era mai dato alla fuga; che si trattava di incensurato,
di giovanissima età (19 anni nel 2007, in occasione dell’arresto), privo di
procedimenti penali e di prevenzione – la relativa richiesta era stata respinta tutti elementi che deponevano per l’assenza di esigenze cautelari.
Il ricorrente rappresenta che avverso la sentenza di condanna è stato
proposto tempestivo appello pendente presso la Corte di appello di Reggio

Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve essere rigettato.

Occorre ricordare che, come ripetutamente affermato da questa Corte, la
pronuncia di una sentenza di condanna costituisce di per sé fatto nuovo che
legittima l’emissione di una misura cautelare personale non preclusa da un
giudicato cautelare formatosi prima di tale atto e costituisce inoltre, quando sia
relativo ad uno dei reati di cui all’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen.
elemento idoneo a fondare la presunzione di pericolosità che impone la misura
della custodia cautelare in carcere. Di conseguenza, l’annullamento di una prima
ordinanza cautelare per insufficienza dei gravi indizi di colpevolezza non preclude
la valutazione della sopravvenuta sentenza di condanna (Sez. 1, n. 13904 del
11/12/2008 – dep. 30/03/2009, Genovese, Rv. 243129; Sez. 1, n. 37535 del
07/10/2010 – dep. 20/10/2010, Mauriello, Rv. 248542; Sez. 1, n. 30298 del
24/04/2003 – dep. 18/07/2003, Privitera, Rv. 226250).
In effetti, non vi è alcuna ragione per ritenere che la norma del terzo comma
– la cui legittimità costituzionale, per quanto riguarda il reato di partecipazione
ad associazione mafiosa, non è messa in dubbio – non trovi applicazione
nell’ipotesi di cui al comma 1 bis, sia per la presenza di entrambe le norme nello
stesso articolo, sia per considerazioni logiche, non ravvisandosi il motivo per cui,
quando i gravi indizi di colpevolezza hanno portato ad una sentenza di condanna,
sia pure non definitiva, l’interessato debba godere di un trattamento più
favorevole.

L’applicazione delle regole dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., di
conseguenza, comporta che la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze

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Calabria.

cautelari possa essere vinta solo da elementi specifici, che spetta all’interessato
dedurre, non essendo sufficiente lo stato d’incensuratezza o la circostanza che
l’indagato non si sia dato alla fuga (Sez. 3, n. 25633 del 08/06/2010 – dep.
06/07/2010, R., Rv. 247698); di conseguenza deve applicarsi la misura della
custodia cautelare in carcere senza la necessità di accertare le esigenze
cautelari, la cui sussistenza è presunta per legge, incombendo al giudice di
merito solo l’obbligo di constatare l’inesistenza di elementi che ictu ocu/i lascino
ritenere superata tale presunzione (Sez. 6, n. 10318 del 22/01/2008 – dep.
06/03/2008, Licciardello, Rv. 239211); l’obbligo della motivazione diventa più

a dimostrare l’insussistenza di esigenze cautelari, dovendosi allora addurre o,
quanto meno, dedurre gli elementi di fatto sui quali la prognosi positiva può
essere fatta (Sez. 1, n. 4291 del 14/07/1998 – dep. 28/09/1998, Modeo, Rv.
211412; Sez. U, n. 16 del 05/10/1994 – dep. 28/12/1994, Demitry, Rv.
199387).

Nel caso di specie, risulta evidente che, da una parte, il Tribunale del
riesame ha valutato in concreto le esigenze cautelari; ma che, soprattutto, non
sono stati affatto acquisiti elementi che dimostrassero la loro insussistenza (non
la loro attenuazione).
La difesa sottolinea la giovane età dell’imputato, la sua incensuratezza e
l’assenza di tentativi di fuga dopo la scarcerazione: tutti elementi niente affatto
decisivi per dimostrare che non sussistono esigenze cautelari; quanto al mancato
tentativo di fuga, si tratta di mera allegazione priva di particolare pregnanza – se
il soggetto era stato scarcerato per carenza di indizi, perché avrebbe dovuto
fuggire? – oltre che di prova.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
La Corte dispone che copia del presente provvedimento sia trasmesso al
competente Tribunale distrettuale del riesame di Reggio Calabria perché
provveda a quanto stabilito nell’art. 92 disp. att. cod. proc. pen.. Manda alla
Cancelleria per gli immediati adempimenti a mezzo fax.
Così deciso il 7 maggio 2014

Il Consigliere estens re

DEPOSITATA!

rigoroso solo nell’ipotesi in cui l’imputato abbia posto in evidenza elementi idonei

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