Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23674 del 07/05/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 1 Num. 23674 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CAPRIOGLIO PIERA MARIA SEVERINA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FIORE PASQUALE N. IL 01/09/1948
FIORE RAFFAELE N. IL 05/03/1973
FIORE LUIGI N. IL 08/05/1981
AUFIERO ANNA MARIA N. IL 16/07/1953
FIORE MARIA CONSIGLIA N. IL 19/12/1974
GALASSO EMILIA GRAZIA N. IL 11/02/1922
avverso il decreto n. 3/2007 CORTE APPELLO di SALERNO, del
16/07/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERA MARIA
SEVERINA CAPRIOGLIO;
lette/site le conclusioni del PG Dott. d;

‘-

Uditi difensor vv.;

Data Udienza: 07/05/2014

ritenuto in fatto

1.

Con decreto del 7.2.2013 la Corte d’Appello di Salerno confermava il

provvedimento di rigetto della richiesta di revoca della misura di prevenzione personale
e della confisca nei confronti del proposto FIORE Pasquale e rigettava altresì i ricorsi
dei terzi interessati FIORE Raffaele, FIORE Luigi, FIORE Maria Consiglia, GALASSO

proposto; le misure di prevenzione erano state adottate con decreto del 10.4.2001 e
avevano riguardato (quella patrimoniale), beni anche intestati ai terzi menzionati.
La corte preliminarmente partiva dal principio diventato ius receptum, secondo cui la
revoca di misura di prevenzione può essere disposta solo all’esito della deduzione di
fatti nuovi che facciano venire meno la situazione posta a fondamento del
provvedimento applicativo, ovvero che venga fatta valere con effetti ex tunc l’originaria
insussistenza del provvedimento applicativo. Detto ciò, quanto alla misura di
prevenzione personale, la Corte ribadiva la gravosità degli elementi in forza dei quali
era stato espresso il giudizio di pericolosità sociale su FIORE Pasquale, già appartenente
al clan capeggiato dal cugino Galasso Pasquale, operante nell’agro nocerino sarnese,
dedita alla consumazione su larga scala di delitti ed estorsioni in danno agli imprenditori
del territorio, alla luce delle indicazioni dei collaboranti ed in particolare di Bifolco
Antonio, dello stesso Pasquale Galasso e di Antonio Galasso. Il primo, in particolare,
aveva ricordato che il Fiore aveva preso in gestione una cava, luogo in cui avvenivano
gli incontri per le trattative illecite con gli imprenditori, costretti tra l’altro ad acquistare
presso di lui il materiale di cava, nonché a noleggiare presso di lui mezzi meccanici a
prezzo molto più elevato rispetto a quello di mercato. Sempre presso detta cava
vennero tra l’altro rinvenuti i cadaveri di persone uccise dal clan. Veniva ancora
ricordato che il Fiore era stato condannato con sentenza definitiva per avere negli anni
1992/1993, corrotto una guardia carceraria con somme di denaro per agevolare
l’ingresso di telefonini cellulari ed altri generi non consentiti all’interno della casa
circondariale di Salerno. Tale cornice costituiva secondo la corte la base inferenziale per
un giudizio di pericolosità sociale che non poteva dirsi attenuato alla luce degli elementi
offerti dalla difesa, atteso che seppure il clan Galasso poteva dirsi disintegrato, a
seguito del pentimento di Pasquale Galasso, era risultato che il Fiore aveva allacciato
rapporti con l’altrettanto temibile boss del napoletano, Mario Fabbrocino, cosicchè non
poteva affermarsi che si fosse allontanato da ambiti criminali. Le due missive inviate al
Fiore, da Galasso Antonio e da Galasso Pasquale, in cui sarebbe stato adombrato un
complotto a suo danno, non venivano considerate ad attitudine dimostrativa di
alcunché, perchè assolutamente generiche e prive di riscontro, così come le sentenze
assolutorie per il reato di cui all’art. 416 cod.pen. non costituivano elementi di novità
2

Emilia Grazia e AUFIERO Annamaria, titolari dei beni confiscati ritenuti riconducibili al

perché già considerate dai giudici della prevenzione al momento in cui venne disposta la
misura. Di talchè veniva affermata l’insussistenza dei presupposti per la revoca della
misura di prevenzione personale, non ricorrendo elementi di novità idonei a confutare
la sussistenza dei presupposti applicativi della misura.
Quanto alla intervenuta confisca dei beni, la corte riteneva parimenti che non
ricorresse alcun elemento nuovo e dopo aver elencato tutti i beni confiscati,
sottolineava che la maggior parte dei beni intestati al Fiore, ovvero ai suoi familiari o

negli anni novanta, anni in cui il prevenuto dichiarava redditi esigui, per non dire
inesistenti, cosicchè era comprovato il requisito della sproporzione e quindi dimostrata
per via logica l’illecita provenienza degli stessi. Venivano quindi rigettate tutte le
argomentazioni difensive, a sostegno della lecita provenienza dei beni, compendiate in
una consulenza tecnica di parte; in particolare veniva disatteso che le ricchezze
sarebbero state il risultato di operazioni di evasione fiscale, atteso che gli stessi utili
provenienti dalla cava erano connotati di illiceità, in quanto conseguiti grazie al
condizionamento intimidatorio posto in essere e che il loro utilizzo per successivi
investimenti si risolveva in un reimpiego di risorse illecitamente accumulate; inoltre
veniva evidenziato che l’assenza nella norma di ogni specificazione sulla natura
dell’attività illecita da cui abbiano a provenire i beni oggetto di confisca di prevenzione,
può consistere anche nell’evasione fiscale, cosicchè è giustificabile l’apprensione dei
beni di cui sia dimostrata la sproporzione. Quanto ai documenti allegati dal Fiore e dai
terzi interessati sull’erogazione di contributi a fondo perduto, che avrebbero dimostrato
la liceità delle risorse economiche utilizzate per l’acquisto dei beni sottoposti a confisca,
la Corte dimostrava che si trattava di somme che coprivano solo una parte degli
esborsi. Sull’assunto difensivo, secondo cui si sarebbe trattato di risorse economiche
diverse dai ricavi occultati al fisco, provenienti dall’attività della cava, pari ad oltre
2.400.000.000 di lire, provenienti da incassi a fondo perduto, Iva rimborsata e
dismissione di escavatori, la corte riteneva che si aveva riguardo a documentazione già
prodotta nelle fasi precedenti e già valutata in sede di consulenza. Non solo, ma anche
valutando e dando per buoni gli importi emergenti dai contratti esibiti per l’acquisto
della cava, restava insoluto, secondo la Corte, il quesito su dove provenisse il denaro
corrispondente alle somme indicate nei documenti prodotti dalla difesa a fine anni
ottanta/inizio anni novanta, con il che veniva concluso che i documenti nuovi non
fornivano risposta esauriente quanto alla provenienza delle risorse e non poteva dirsi
provata la carenza con effetti ex tunc, dei presupposti per l’ablazione reale dei beni
della Sarno cave ed in particolare del terreno sul quale era gestita l’attività estrattiva
della Sarno cave, di fatto riconducibile a Fiore Pasquale. La società avrebbe iniziato ad
operare dal 1987, anno in cui il Fiore non disponeva delle risorse per effettuare gli
acquisiti di attrezzature che si succedettero dal 1989 in avanti. Così dicasi per gli
3

intestati alle società a lui riconducibili, veniva rilevato che furono acquistati per lo più

acquisti di auto di grossa cilindrata (una Ferrari e due Mercedes) e di immobili, che non
trovavano alcuna corrispondenza con i redditi dichiarati. Anche gli acquisti per
attrezzature registrati nell’anno 1991, non avevano alcuna aderenza con la redditività,
anche valutando i contributi ottenuti a fondo perduto, trattandosi di acquisti per lire
1.130.000.000, laddove il contributo fu di 686 milioni. Veniva poi evidenziato che
diversi contributi a cui faceva riferimento il proposto, vennero poi revocati dall’autorità

2. Avverso tale decisione, interponevano ricorsi per cassazione FIORE Pasquale,
con il patrocinio di due avvocati e con due atti distinti, nonché FIORE Raffaele, FIORE
Luigi, AUFIERO Anna Maria.
2.1 Con un primo ricorso, a firma dell’avv.to Michele Sarno, FIORE Pasquale ha
dedotto violazione di legge ed apparenza della motivazione. In particolare, la difesa si
riferisce al fatto che non siano state prese in debita considerazione le missive dei due
Galasso, in cui si faceva riferimento ad un piano ordito tra i sodali, teso a fare
sequestrare i suoi beni. Contesta quindi il requisito della pericolosità del proposto al
momento dell’adozione della misura, visto che fu fondata su mere congetture.
2.2 Con un secondo ricorso a firma dell’interessato, controfirmato dall’ avv.to Franco
Cardiello e con un terzo ricorso a firma avv.to Franco Cardiello, procuratore speciale di
FIORE Raffaele, FIORE LUIGI figli di FIORE Pasquale e AUFIERO Anna Maria, moglie di
Fiore Raffaele, è stata dedotta violazione di legge, in punto ritenuta sussistenza del
requisito della sproporzione tra i beni acquistati da Fiore Pasquale e le sue risorse lecite,
nonchè carenza di motivazione. Viene contestato che non sia stato valutato che le spese
sostenute per acquisti di attrezzatura non sia stata considerata come parte degli utili
reinvestiti, che si trattava di impresa su base familiare, per cui molti degli utili maturati
venivano occultati al fisco. Viene lamentato che il giudizio sugli indizi di appartenenza
del Fiore al clan Galasso non sia mutato, pur a fronte di dettagliate censure che
mettevano in luce come il medesimo Fiore era scampato ad estorsioni, solo per il
rapporto di parentela con il Galasso e che Galasso gli impose di entrare nella sua
società, salvo uscirne poco dopo, pretendendo una buonauscita di 800 milioni, con il che
non sarebbe riscontrato il dato secondo cui l’incremento degli utili sarebbe direttamente
proporzionale con l’innesto malavitoso. Viene ricordato che nei confronti del Fiore non
fu nemmeno esercitata l’azione penale per il reato di cui all’art. 416 bis cod.pen.,
cosicchè avrebbe dovuto essere declassata la capacità dimostrativa delle dichiarazioni
dei propalanti, prese a base del giudizio di pericolosità sociale del Fiore. Viene
contestato che la società Sarno cave sia stata ritenuta avvelenata dalla società
capostipite Fiorella, sulla base della sproporzione tra investimenti effettuati e reddito
dichiarato, laddove non sarebbe stato valutato che le quote impiegate per gli
investimenti erano assorbite dalle entrate complessive e che la società aveva inoltre
4

a seguito di infiltrazione mafiosa.

goduto di contributi pubblici. A tale conclusione i giudici avrebbero dovuto addivenire
esaminando le scritture contabili della società, laddove nel conto economico di ogni
bilancio risultava la partita “locazione finanziaria” relativa ai macchinari acquisiti,
pagata con risorse indicate in bilancio che tra l’altro presupponevano un beneficio per il
diritto al rimborso. Si contesta che gli acquisti dovessero trovare necessariamente un
palese riscontro nel reddito dichiarato per l’anno all’epoca in corso e non invece nel
bilancio della società. Quanto poi ai beni acquistati dalla società Sarnesi Inerti, nata

beneficiando dei contributi pubblici della legge Sabatini. In sostanza, secondo la difesa,
il coacervo di risorse lecite ed i dati descritti dalle scritture contabili imponevano di
riconoscere come lecita la provenienza dei beni confiscati. Senza contare il tema delle
maggiori entrate non denunciate la fisco, poi oggetto di condono, cosicchè solo la parte
di imposta evasa può essere ritenuta illecita e non già la produzione di reddito che viene
prima della elusione fiscale.

3.

Il Procuratore Generale ha chiesto di dichiarare inammissibili tutti i ricorsi.

Considerato in diritto.

I ricorsi vanno dichiarati inammissibili: il ricorso a forma dell’ avv.to Sarno è del
tutto privo di specificità, mentre quello a firma dell’avv. Cardiello è inammissibile, perché
mira ad una rielaborazione delle evidenze, in sovrapposizione argomentativa rispetto
alla valutazione operata dai giudici a quibus. I motivi sviluppati esorbitano dal
perimetro che delimita il giudizio in sede di legittimità, che è riservato alle sole
violazioni di legge, così da rendere immediatamente non scrutinabili le censure che
lamentano il vizio di motivazione. Al riguardo deve ricordarsi che con la sentenza n. 321
del 2004 della Corte Costituzionale è stata dichiarata non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 4, undicesimo comma, della legge 27 dicembre 1956,
n. 1423, ( riprodotto dall’art. 10 c. 3 d.lgs 159/2011), proprio nella parte in cui è stato
limitato alla sola violazione di legge l’impugnazione avverso il decreto della corte di
appello, con esclusione della ricorribilità in cassazione per vizio motivazionale. La
giurisprudenza di questa Corte si è poi orientata nel senso di comprendere nello
scrutinio i casi di motivazione del tutto carente o con difetti tali da renderla meramente
apparente, laddove priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, o
assolutamente inidonea a rendere comprensibile la ratio decidendi. Nel caso di specie, il
provvedimento impugnato non presenta affatto vizi di motivazione così radicali, posto
che il decreto censurato è dotato dei necessari passaggi motivazionali che rendono
possibile la verifica, avendo i giudici di merito dato conto di avere esaminato tutti gli
elementi a disposizione, di avere interpretato correttamente le emergenze disponibili
5

sulle ceneri della Sarno cave, la difesa faceva rilevare che gli acquisti erano intervenuti

secondo le regole della logica, argomentando le ragioni per cui le alternative
interpretazioni suggerite dalla difesa non potevano essere condivise.
Deve essere subito aggiunto che il provvedimento che fu richiesto dai ricorrenti alla
corte salentina era un provvedimento di revoca della confisca a suo tempo disposto;
come è noto, secondo il costante insegnamento della corte di legittimità, la revoca della
misura di prevenzione opera come la revisione del giudicato penale di condanna e
pertanto postula l’acquisizione di prove nuove costituite da fatti nuovi, laddove prove

precedente fase, ma non valutate neppure implicitamente, non potendo dirsi nuove le
prove note e deducibili nel giudizio di prevenzione, ma non dedotte in quel giudizio. Sul
punto giova ricordare non solo la sentenza Sez. Un. 19.12.2006, n. 57 , rv 234955, in
cui è stato ribadito che in sede di revoca non è consentito rimettere in discussione atti o
elementi già considerato nel procedimento di prevenzione ovvero in esso deducibili, ma
il frutto elaborativo di detto arresto, contenuto in svariate più recenti sentenze, in cui è
stato scritto che in tema di misure di prevenzione, la prova nuova che consente la
revoca della misura di prevenzione deve presentarsi, nel quadro di un ponderato
scrutinio degli elementi a suo tempo acquisiti, come un fattore che determini una
decisiva incrinatura del corredo fattuale sulla cui base era intervenuta la decisione, non
essendo quindi sufficiente evocare un qualsiasi elemento favorevole che finirebbe per
trasformare un istituto che ha il carattere di rimedio straordinario in una non consentita
forma di impugnazione tardiva ( Sez. II, 24.9.2013, n. 41507, rv 257334). Ancora è
stato ribadito che “prova nuova”, rilevante ai fini della revoca “ex tunc” della misura di
prevenzione della confisca è solo quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del
procedimento di prevenzione, non anche quella deducibile, ma non dedotta, nell’ambito
di esso ( Sez. II, 7.12.2012 , n. 11818, rv 255530) ed è stato ripetuto che la revoca
“ex tunc”, a norma dell’art. 7, comma secondo, I. 27 dicembre 1956, n. 1423, del
provvedimento di confisca deliberato ai sensi dell’art. 2 ter, comma terzo, I. 31 maggio
1975, n. 575, resta un rimedio straordinario, incompatibile con il mero riesame degli
stessi elementi fattuali che hanno portato a disporre la confisca, anche dopo
l’introduzione dell’art. 28 del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, che prevede casi e
modalità tassativi di revocazione della misura (Sez. 11,13.1.2012, n. 4312. Rv 251811).
Ciò posto, è immediato rilevare come secondo queste linee direttrici si è mossa la
corte d’appello salernitana che ha anzi adeguatamente soppesato il compendio di
prove asseritamente nuove ( atteso che nuove non sono le diverse valutazioni tecnico
scientifiche di dati già valutati, attraverso una nuova perizia), fornendo analitico
discorso giustificativo ( forse neppure dovuto, considerato il carattere non nuovo delle
prove, sotto il profilo quanto meno della loro deducibilità anche nella prima fase ) da
pag. 19 in avanti del provvedimento impugnato, della macroscopica sproporzione tra i
6

nuove sono solo quelle scoperte successivamente, oltre che quelle acquisite nella

redditi dichiarati dai ricorrenti e le rilevanti sostanze che furono necessarie per gli
investimenti necessari ad avviare e gestire la cava in questione.
Non ricorrono quindi forzature del disposto normativo, atteso che i giudici a quibus
sono partiti dal dato di pericolosità del Fiore da un lato e di sproporzione del reddito ed
è stata data ragione della non adeguatezza delle evidenze fornite dalla difesa a
dimostrazione del contrario in punto sproporzione, anche in relazione ai terzi interessati,
vuoi per la comprovata ricorrenza di un compendio ampiamente evocativo del tasso di

dell’inadeguatezza dei redditi del Fiore e dei suoi familiare a fronteggiare i rilevanti
esborsi documentati per l’acquisto della cava di Sarno, nonché per gli investimenti
successivi, anche valutando eventuali contributi statali, che in ogni caso sarebbero stati
concessi solo in conto interessi , lasciando indimostrata la legittima provenienza delle
risorse per il pagamento degli stessi. Lo stesso assunto di essere stata buna parte delle
risorse disponibili alla famiglia Fiore il frutto di violazioni fiscale tributaria risulta essere
stato addotto soltanto nella presente fase in cui è stata chiesta la revoca della confisca,
laddove avrebbe dovuto essere avanzato con adeguata documentazione nella fase
preliminare, in cui si aveva a discutere della confisca. Nessuna censura in termini di
violazione del parametro normativo di riferimento è dato elevare.

A fronte dell’articolato complesso motivazionale del decreto censurato, i ricorrenti si
sono sostanzialmente limitati a criticare la complessiva argomentazione del
provvedimento impugnato, enunciando le circostanze già prospettate in sede di appello
ed a contrapporre tesi di segno contrario. Così operando i ricorrenti han finito per
proporre una ricostruzione dei fatti alternativa, invitando questa Corte a una rilettura
degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione del tutto esorbitante dai
suoi poteri.

Alla dichiarazione di inammissibilità segue di diritto la condanna dei ricorrenti al

pericolosità sociale di FIORE Pasquale, vuoi per la matematica dimostrazione

pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000),
ciascuno al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che
pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dell’ art. 616 cod.proc.i4,—/
P”.

7

p.q.m.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno al versamento della somma di euro mille a favore della cassa
delle ammende.

Così deciso in Roma, addì paggio 2014.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA