Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23672 del 07/05/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 23672 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GALLUZZO MAURIZIO N. IL 03/03/1971
avverso l’ordinanza n. 797/2012 CORTE APPELLO di ROMA, del
14/03/2013
sentita la elazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;
lette/s ite le conclusioni del PG Dott.

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Uditi difen Avv.;

Data Udienza: 07/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, con
ordinanza del 14/3 – 3/4/2013 rigettava la richiesta di Maurizio Galluzzo di
riconoscimento della continuazione tra i reati di ricettazione, commessi in varie
località dall’ottobre 1996 all’agosto del 2000, oggetto di quattro sentenze di
condanna, nonché tra i predetti reati e quelli oggetto del provvedimento di
cumulo notificato al Galluzzo il 10/3/2012.

continuazione, è necessario che i singoli reati siano tutti previsti, programmati e
deliberati sin dalla commissione del primo reato come momenti di attuazione di
un programma unitario, la Corte osservava che Galluzzo e il suo difensore si
erano limitati ad indicare, per sostenere la richiesta, la contiguità temporale tra i
reati commessi e l’identità di norme violate, elementi che, da soli, non erano
sufficienti ad avvalorare l’esistenza di un programma delittuoso predeterminato
nelle sue linee programmatiche essenziali.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Maurizio Galluzzo, deducendo
violazione di legge e vizio di motivazione.
La motivazione era contraddittoria, avendo dapprima rilevato la notevole
distanza temporale tra i vari reati e poi riferito della contiguità tra gli stessi
evidenziata nella richiesta.
In realtà, la continuazione può essere dedotta da alcuni indici rivelatori e per
il riconoscimento del vincolo sono sufficienti anche solo alcuni di essi. Per
rigettare la richiesta, non è sufficiente il mero richiamo ad un lasso temporale
ritenuto di notevole entità, poiché la stessa norma precisa che i reati possono
essere commessi “in tempi diversi”: il medesimo disegno criminoso può essere
riconosciuto anche per reati commessi a notevole distanza di tempo l’uno
dall’altro.
Nel caso di specie, si riscontrava l’identità dei reati (ricettazione) e di
modalità di azione (disponibilità di assegni di conto corrente provenienti da
furto). L’impiego degli assegni nelle occasioni più disparate dimostrava che si
trattava di condotta ordinaria che poteva essere fatta risalire ad un medesimo
disegno criminoso. Inoltre, la data esatta della ricezione degli assegni rubati non
era nota e ben poteva essere che Galluzzo li avesse ricevuti sotto la spinta di un
unico disegno criminoso, salvo poi diluire nel tempo il loro utilizzo per le varie
necessità.
Secondo il ricorrente, la Corte di appello aveva preteso una prova rigorosa una “prova diabolica” – dell’esistenza del disegno criminoso che non potrebbe

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Richiamando il principio secondo cui, per il riconoscimento della

mai essere desunta da fatti di natura sintomatica. In realtà, il percorso
giudiziario del condannato rivelava l’inequivoca consapevolezza di agire tramite
condotte tipizzate, simili tra loro, sia nell’ideazione, sia nella loro concreta
realizzazione.

In un secondo motivo, il ricorrente deduce i medesimi vizi con riferimento al
passaggio della motivazione nel quale la Corte territoriale addebitava al
richiedente e al suo difensore di avere indicato solo gli elementi sintomatici della

In realtà, l’unico onere a carico del richiedente è quello di allegare le
sentenze di condanna: è il giudice a dover desumere il medesimo disegno
criminoso dal contenuto decisorio delle sentenze, non esistendo un onere
probatorio a carico del condannato.
Inoltre la Corte non aveva preso in considerazione un’ipotesi intermedia,
quella di riconoscere la continuazione tra alcuni reati di ricettazione che erano
molto ravvicinati nel tempo.
Il ricorrente conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.

3. Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, conclude per il rigetto
del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato.

La Corte territoriale, nell’ordinanza impugnata, non enuncia affatto il
principio per cui l’onere probatorio grava su colui che, in sede di esecuzione,
chiede il riconoscimento della continuazione: piuttosto, dopo avere analizzato le
sentenze e non avere rinvenuto elementi sufficienti per il riconoscimento della
continuazione, dà atto che il richiedente non è stato in grado di indicarne di
ulteriori, come pure sarebbe stato possibile – se esistenti – anche allegando
circostanze fattuali o eventi della vita del colpevole rimasti sconosciuti al giudice
della cognizione o comunque non menzionati dalle sentenze.
In sostanza, la Corte territoriale prende atto che non vi sono elementi
ulteriori rispetto a quelli ricavabili dalle pronunce di condanna: e il ricorrente
conferma tale presa d’atto, non menzionandone alcuno.

Ciò premesso, il primo motivo di ricorso è infondato.
Il ricorso appare ondivago nell’affrontare prima la questione dell’esistenza

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contiguità temporale e dell’identità delle norme violate.

della continuazione e poi quella della sua prova. Si tratta di due questioni
differenti, con il rischio che il tema della prova influisca sulla natura dell’istituto:
che, cioè, gli elementi sintomatici da cui desumere l’esistenza della continuazione
tra i reati portino a riconoscerla anche quando essa non sussiste.
In effetti, la Corte territoriale ribadisce la giurisprudenza costante di questa
Corte secondo cui l’unicità del disegno criminoso presuppone l’anticipata ed
unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già presenti nella mente
del reo nella loro specificità, e la prova di tale congiunta previsione deve essere

dell’esperienza, del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere
(Sez. 4, n. 16066 del 17/12/2008 – dep. 16/04/2009, Di Maria, Rv. 243632);
quindi, l’identità del disegno criminoso deve essere negata qualora, malgrado la
contiguità spazio temporale ed il nesso funzionale tra le diverse fattispecie
incriminatrici, la successione degli episodi sia tale da escludere la preventiva
programmazione dei reati ed emerga, invece, l’occasionalità di quelli compiuti
successivamente rispetto a quello cronologicamente anteriori (da ultimo Sez. 6,
n. 44214 del 24/10/2012 – dep. 14/11/2012, Natali e altro, Rv. 254793).

L’art. 81, comma 2, cod. pen., del resto, non permette soluzioni differenti:
se le diverse azioni devono essere esecutive del medesimo disegno criminoso, è
evidente che esso deve sussistere fin dal momento della consumazione del primo
reato e deve permanere durante il periodo di consumazione dei successivi; né il
concetto di “disegno criminoso” può essere stemperato a tal punto da farlo
coincidere proprio con alcuni elementi sintomatici; al contrario, proprio la
specificazione che i reati possono essere commessi “in tempi diversi” e possono
consistere in “più violazioni della stessa legge o di diverse disposizioni di legge”
dimostra che il concetto di “disegno”

è distinto, autonomo dalla contiguità

temporale tra i reati o dalla medesima natura degli stessi: il giudice deve
rinvenire il disegno iniziale, a prescindere dalla circostanza che i reati siano vicini
o lontani temporalmente o siano dello stesso tipo o di natura differente.

La Corte territoriale, con argomentazione logica, ha ritenuto che tale
disegno non sussistesse, né che la prova di esso fosse rinvenibile nelle sentenze
(mancando ulteriori elementi indicabili solo dal condannato).

Il ricorrente propone due considerazioni.
La prima riguarda la natura di

probatio diabolica

dell’esistenza della

continuazione, se si dovesse accedere alla nozione datane dalla Corte
territoriale: ma si tratta ovviamente di argomento “a doppio taglio”, atteso che

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ricavata, di regola, da indici esteriori che siano significativi, alla luce

la difficoltà di provare la continuazione tra una serie di reati commessi nell’arco
di un quinquennio potrebbe discendere semplicemente dal fatto che nessun
disegno criminoso precedente al primo reato esisteva.
Si nota, cioè, il tentativo di modificare la sostanza della decisione con
considerazioni sulla prova.

La seconda considerazione dimostra questa linea: il ricorrente sostiene che,
dalle sentenze, risulterebbe la “consapevolezza del condannato di agire tramite

realizzazione”: ma, come ben si vede, si tratta di una condizione che non
corrisponde affatto alla continuazione così come disegnata dall’art. 81 cit.

In definitiva, mentre le considerazioni della Corte appaiono logiche ed
aderenti a quanto emerge dalle sentenze di condanna – come osserva
acutamente il Procuratore Generale, la contiguità cronologica può ben essere
valutata diversamente con riferimento ai singoli reati e, per i reati di ricettazione,
la distanza di alcuni mesi tra le varie condotte è indicativa dell’assenza di una
ideazione unitaria risalente nel tempo e, quindi, di decisioni occasionali – il
ricorrente si limita a sostenere che i dati sintomatici avrebbero dovuto essere
valutati in maniera differente, senza nemmeno contestare come errata
l’affermazione della Corte che “non è ipotizzabile che il Galluzzo, al momento di
consumare la prima ricettazione nel 1996, avesse già in animo la consumazione
dei successivi reati della medesima indole a distanza di notevole lasso
temporale”.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 7 maggio 2014

Il Consigliere estensore

II-Presi ente

condotte tipizzate, simili tra loro, sia nell’ideazione, sia nella loro concreta

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