Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2366 del 08/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 2366 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: ESPOSITO LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PRISINZANO ANGELO N. IL 12/11/1957
avverso l’ordinanza n. 68/2010 CORTE APPELLO di PALERMO, del
01/06/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;
lette/septite le conclusioni del PG Dott. gv,,,,e
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Data Udienza: 08/10/2013

RITENUTO IN FATTO

1.Prisinzano Angelo veniva sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere dal
9/5/2005 al 19/3/2008 perché indagato per partecipazione ad associazione a delinquere di
stampo mafioso e per concorso in incendio e danneggiamento aggravato, tra l’altro, dalla
finalità di agevolare l’associazione mafiosa. Veniva successivamente condannato con sentenza
irrevocabile per tale ultimo reato, restando, per contro, definitivamente assolto dal reato di cui

Il predetto proponeva istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta, chiedendo che
gli venisse riconosciuta l’indennità nella misura dovuta.
2. La Corte di Appello di Palermo rigettava la domanda. Osservava che l’istante aveva dato
causa all’emissione del provvedimento cautelare per avere tenuto un comportamento
contrassegnato da colpa grave.
3. Il Prisinzano, a mezzo del difensore, avanzava ricorso per cassazione avverso l’ordinanza,
deducendo nullità per erronea applicazione di legge e per vizio di motivazione in relazione alle
circostanze ritenute atte a determinare causa o concausa della detenzione ingiusta. Il
Procuratore Generale della Corte di Cassazione instava per la declaratoria di inammissibilità del
ricorso. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha presentato propria memoria chiedendo
dichiararsi inammissibile o, in subordine, rigettarsi il ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.
Come è noto, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare
se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve
valutare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare
riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza,
imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una
motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Al riguardo, il
giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta
tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire,
con valutazione ex ante – e secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a
quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri estremi di reato ma solo se
sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità
procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla
detenzione con rapporto di “causa ad effetto” (Cass. Sez. U., Sentenza n. 34559 del
26/06/2002, De Benedictis, Rv. 222263). Il giudice della riparazione, cioè, ben può rivalutare,
ai fini dell’accertamento del diritto alla riparazione e non della penale responsabilità, i fatti
accertati o non esclusi dai giudici del merito (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 27397 del 10/06/2010,

all’art. 416 bis c.p. per non aver commesso il fatto.

dep. 14/07/2010, Rv. 247867). La giurisprudenza di legittimità, inoltre, ha chiarito che il piano
valutativo del tutto diverso tra le condotte da considerare per la sussistenza delle condizioni
per la liquidazione dell’equo indennizzo e gli elementi posti a base della decisione da parte del
giudice della cognizione dimostra che tutti gli elementi probatori devono essere rivalutati, in
quanto, pur se ritenuti insufficienti ai fini della dichiarazione di responsabilità, possono essere
tali da configurare il dolo o la colpa grave, soprattutto nel momento dell’emissione della misura
cautelare personale (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 10987 del 15/02/2007, dep. 15/03/2007, Rv.

leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo)
o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non
siano state escluse dal giudice della cognizione.
4.1 Ciò premesso, il motivo d’impugnazione si palesa manifestamente infondato,
giacché correttamente il giudice del merito ha rilevato la sussistenza in capo al ricorrente della
colpa grave ostativa alla concessione dell’indennizzo, in conformità ai parametri
giurisprudenziali suindicati.
5. Ed invero la Corte territoriale, con congrua motivazione, ha adeguatamente considerato utile.
a configurare la colpa grave ostativa all’indennizzo molteplici elementi offerti dal processo: in
primo luogo, l’inserimento del ricorrente, consapevole dei rischi derivanti dalla possibile
interpretazione delle sue condotte, in un contesto relazionale ed ambientale ambiguo
del quale facevano parte soggetti collocati ai vertici di articolazioni territoriali di Cosa
Nostra (desumibile nelle conversazioni intercettate e nei servizi di osservazione effettuati dalla
Polizia Giudiziaria); in secondo luogo le condotte attive poste in essere (quali il prestarsi ad
effettuare, per conto di uno di tali soggetti, una telefonata diretta alla vittima del reato di
estorsione) e altri comportamenti del predetto significativi della vicinanza a una famiglia
notoriamente mafiosa (richiesta di finanziamento e contribuzione in funzione dell’acquisto di
una vettura destinata alla figlia di Peppino Farinella).
6. E’ da richiamare in proposito il principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, in
forza del quale “in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, integra gli estremi della colpa
grave ostativa al riconoscimento del diritto, la condotta di chi, nei reati contestati in concorso,
abbia tenuto, pur consapevole dell’attività criminale altrui, comportamenti percepibili come
indicativi di una sua contiguità” (Sez. 4, Ordinanza n. 45418 del 25/11/2010 Rv. 249237).
7. L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed alla sanzione pecuniaria ex art.616 C.P.P., oltre alla rifusione delle spese di
questo giudizio sostenute dal Ministero, liquidate come da dispositivo.

P. Q. M.

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende

236508). Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extraprocessuale (grave

nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero dell’Economia per questo giudizio di
Cassazione, spese liquidate in C 750,00.

Così deciso in Roma 1’8-10-2012.

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