Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23592 del 29/04/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 23592 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ALBANESE CONCETTA N. IL 07/06/1950
avverso l’ordinanza n. 94/2009 TRIBUNALE di PALMI, del
21/02/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO;

Data Udienza: 29/04/2014

Letta la requisitoria del procuratore generale che ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN FATTO

Avverso detto provvedimento propose ricorso per cassazione la difesa della Albanese e la
prima sezione di questa corte, con sentenza del 16 dicembre 2010, annullò il provvedimento
impugnato, rinviando per nuovo esame al medesimo tribunale.
Con il provvedimento di cui in epigrafe, il tribunale di Palmi ha nuovamente rigettato l’istanza
presentata nell’interesse di Albanese Concetta.
Avverso detto ultimo provvedimento propone (nuovo) ricorso per cassazione il difensore della
Albanese e deduce violazione di legge (articoli 210, 236, 240 cp, 12 sexies legge 356 del
1992) e mancanza di motivazione. Deduce ancora lesione del giudicato di prevenzione
riguardante il pregresso, definitivo accertamento della legittima provenienza dei beni
confiscati, nonché mancanza di motivazione sul punto. Deduce infine violazione del giudicato
penale, riguardante ancora la legittima provenienza dei beni e, ancora una volta, mancanza di
motivazione.
Argomenta come segue.
La prima sezione della corte di cassazione ha annullato il provvedimento originariamente
impugnato rilevando che, sulla base della evoluzione giurisprudenziale di legittimità, non può
essere disposta la confisca ai sensi dell’articolo 12 sexies della legge predetta, nel caso in cui la
sentenza relativa al soggetto imputato di uno dei reati previsti dall’articolo in questione non ne
abbia affermato la responsabilità. Ebbene, detta affermazione, con riferimento ad Albanese
Francesco, non vi è stata, in quanto lo stesso è morto prima della pronuncia definitiva.
Albanese Rocco, viceversa, è morto dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna.
Conseguentemente la corte di cassazione aveva imposto al giudice di rinvio di verificare la
sussistenza della pretesa interposizione fittizia da parte di Albanese Concetta unicamente nei
confronti di Albanese Rocco.
Ebbene, il giudice di rinvio ha sostenuto che i beni formalmente intestati a Concetta erano
nella comune disponibilità dei fratelli Francesco e Rocco, senza che fosse possibile distinguere
le due posizioni soggettive. Si tratta di affermazione apodittica e non suffragata da alcun dato
fattuale. Il giudice di rinvio si limita a citare alcuni stralci della sentenza 947 del 2000, nella
quale si afferma, anche questa volta senza alcun riscontro di fatto, che Albanese Francesco e
Albanese Rocco avessero la reale disponibilità dei beni intestati alla sorella. Si afferma, in vero,
che Francesco li possedeva direttamente, mentre Rocco ne fruiva indirettamente i vantaggi,
vivendo a Torino e sostenendo un tenore di vita che, solo attraverso la commissione di illeciti e
i proventi che gli venivano dalla Calabria, poteva mantenere. Si tratta, come premesso, di
affermazioni indimostrate e anche logicamente incoerenti, in quanto, se si ritiene che Rocco
vivesse del provento dei reati, non si vede perché lo stesso avrebbe avuto bisogno di ricevere
fondi dalla Calabria. La motivazione dunque è meramente apparente e, in quanto tale, deve
essere considerata inesistente con conseguente violazione di legge.
Quanto alla legittima provenienza dei beni, il giudice di rinvio svaluta immotivatamente le
acquisizioni derivanti dall’elaborato proveniente dal consulente tecnico di parte, il quale ha
dimostrato come alcuni beni fossero pervenuti alla ricorrente decenni prima dei fatti che hanno
dato origine al processo a carico dei fratelli Albanese e come, in ogni caso, Albanese Concetta
avesse, nel corso degli anni, maturato una disponibilità economica tale che le aveva consentito
di acquisire i beni che le sono stati ingiustamente sequestrati. Una sia pur rapida lettura della
relazione del consulente di parte è atta a dimostrare la fondatezza del suo assunto. Anche da
tale punto di vista, la motivazione del provvedimento impugnato appare dunque meramente
apparente. Peraltro, in tema di intestazione fittizia, è onere del giudice, prima, ricercare i
sintomi di tale fittizietà e, solo dopo, procedere alla valutazione dell’eventuale sproporzione tra

Il tribunale di Palmi, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’opposizione proposta
da Albanese Concetta avverso il provvedimento con il quale era stata a sua volta rigettata
l’istanza diretta alla dichiarazione di inefficacia della confisca disposta ai sensi dell’articolo 12
sexies della legge 356 del 1992, con la sentenza pronunciata in data 25 ottobre 2000 a carico
dei fratelli della Albanese, Francesco e Rocco, imputati del delitto di cui all’articolo 416 bis cp.

È stata depositata memoria di replica alla requisitoria scritta del procuratore generale. Con
essa il difensore ribadisce le argomentazioni già sviluppate nel ricorso e rappresenta che alcuni
beni sono pervenuti ad Albanese Concetta a seguito di successione ereditaria. Con riferimento
a tali beni, dunque, nessun onere dimostrativo di congruità patrimoniale gravava sulla
ricorrente. L’accumulo di beni pretesamente riconducibili a tutti i fratelli Albanese e intestati
alla sola Albanese Concetta avrebbe poi dovuto essere dimostrato chiaramente nel giudizio di
cognizione e quindi nel successivo giudizio di opposizione di terzo; tutto ciò non è avvenuto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va innanzitutto premesso che non può proporsi la questione circa la pretesa violazione del
giudicato di prevenzione, per averlo categoricamente escluso la sentenza di annullamento con
rinvio (cfr. fol. 6), emessa dalla prima sezione di questa corte.
Non vi è stata poi violazione del giudicato penale, in quanto, contrariamente a quello che si
afferma nel ricorso, si apprende dalla sentenza (fol. 9) che il GUP, pur riconoscendo
l’intestazione fittizia di alcuni beni in capo ad Albanese Concetta, beni considerati di oggettiva
pertinenza della cosca, ritenne tale dato insufficiente per affermare l’appartenenza, anche di
Concettarl’organizzazione di stampo mafioso. Si tratta dunque dell’esatto contrario di quello
che si sostiene ricorso, il quale non si confronta con tale significativo passaggio del
provvedimento impugnato.
Quanto alle condizioni legittimanti la confisca ex art. 12 sexies della legge 356/92, va ricordato
che le SS.UU. con la sentenza 920, dep. 19.1.2004, ric. Montella, RV 226490, hanno chiarito
che la condanna per uno dei reati indicati nel predetto articolo ai commi primo e secondo,
comporta la confisca dei beni nella disponibilità del condannato, allorché, da un lato, sia
provata l’esistenza di una sproporzione tra il reddito da lui dichiarato o i proventi della sua
attività economica e il valore economico di detti beni e, dall’altro, non risulti una
giustificazione credibile circa la provenienza di essi. Di talché, essendo irrilevante il requisito
della pertinenzialità del bene rispetto al reato per cui si è proceduto, la confisca dei singoli beni
non è esclusa per il fatto che essi siano stati acquisiti in epoca anteriore o successiva al reato
per cui è intervenuta condanna o che il loro valore superi il provento del medesimo reato.
Dunque: del tutto irrilevante appare, nel caso che occupa, il momento in cui i predetti beni
sono entrati formalmente nel patrimonio della ricorrente. Ciò che rileva è che la predetta,
bracciante agricola, saltuariamente impiegata nel lavoro, non è stata giudicata dal tribunale
titolare di un reddito tale da giustificare l’acquisto dei predetti beni, atteso il valore di mercato
degli stessi (immobili, aziende, autovetture).
Il tribunale poi mette in evidenza che le argomentazioni del consulente di parte si riferiscono
ad un periodo temporale successivo a quello in cui sono stati acquistati i beni in questione.
Tale considerazione non viene presa in esame nel ricorso, né si fa riferimento a un’eventuale

il reddito dell’intestatario e il valore dei beni allo stesso intestati. Tale iter procedimentale non
è stato affatto seguito dal tribunale di Palmi, il quale è così incorso in evidente violazione di
legge.
Infine il tribunale avrebbe dovuto accertare partitamente quali, tra i beni intestati a Concetta,
facessero eventualmente capo Rocco e quali a Francesco. Viceversa, esso si è trincerato dietro
una, come anticipato, indimostrata natura condominiale dei beni predetti.
È stato vulnerato poi il giudicato di prevenzione, in quanto, nel procedimento di prevenzione, i
giudici sono giunti alla conclusione della legittima provenienza dei beni intestati alla ricorrente,
tanto che li hanno alla stessa restituiti.
È stato inoltre vulnerato anche giudicato penale, in quanto la sentenza di non luogo a
procedere emessa dal competente GUP si è anch’essa conclusa con la restituzione alla
Albanese Concetta dei beni alla stessa intestati, per non avere ella svolto alcun ruolo di fittizia
interposizione in favore dei fratelli.
La Albanese è stata quindi ritenuta persona socialmente non pericolosa, la stessa non è stata
mai assoggettata ad alcuna misura di prevenzione. Non si vede, allora, come e perché i suoi
beni non le debbano essere restituiti.

Infine, secondo quanto si legge nel provvedimento impugnato, tra gli Albanese vigeva una
sorta di consortium fratrum suorum di romanistica memoria, in base al quale i beni del nucleo
familiare erano a disposizione di tutti i componenti del nucleo stesso, pur essendo formalmente
intestati alla “donna di casa”.
L’assunto non appare inverosimile, sia perché rispecchia il sostrato, elementare e familistico,
delle strutture criminali calabresi, sia perché ancorato a precisi dati sintomatici che il giudice di
merito ha cura di elencare: innanzitutto la convivenza tra i fratelli Francesco e Concetta e di
costoro con il figlio di Rocco e inoltre: a) il fatto che Rocco trascorse la latitanza nei boschi di
pertinenza dei fratelli, b) il fatto che il predetto, vivendo a Torino (e non avendo una
occupazione), traeva il suo sostentamento, tanto dalla attività criminosa posta in essere,
quanto dalle rimesse che gli giungevano dalla Calabria (concedendosi, a quanto si legge, un
lussuoso tenore di vita in una città dove il costo della vita non è certo basso), c) il significativo
contenuto delle eseguite intercettazioni, d) la disponibilità di una autovettura blindata.
Argomentatamente, dunque, il tribunale ha ritenuto che Concetta fosse “prestanome” tanto di
Francesco, quanto di Rocco, cui il patrimonio fittiziamente intestato alla ricorrente faceva
indistintamente capo.
Consegue rigetto del ricorso e condanna della ricorrente alle spese del grado.
PQM
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento

Così deciso in Roma, camera di consiglio in data 29.1V. 2014.-

replica del consulente di parte. Ovviamente, poi, non si può accedere, in questa sede di
legittimità, alla richiesta del ricorrente di esaminare l’elaborato del predetto consulente.

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