Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23580 del 28/02/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 23580 Anno 2014
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BIGIONI TOMMASO N. IL 21/12/1965
avverso la sentenza n. 2015/2010 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 19/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
Udito il Procurat
che ha

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Uditi difensor Avv.

vv

Data Udienza: 28/02/2014

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, Dott. Mario Fraticelli, che ha concluso per il rigetto del
ricorso;
Udito il difensore dell’imputato, avv. Aldo Meyer, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso e, in subordine, per l’annullamento senza
rinvio della sentenza impugnata per prescrizione del reato.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 19.2.2013 la Corte d’Appello di Bologna

Bigioni Tommaso, nella qualità di amministratore della Imat s.p.a.,
dichiarata fallita in data 6.12.2000, era stato condannato alla pena di
anni tre di reclusione, concesse le generiche prevalenti sull’aggravante
contestata, oltre alle sanzioni accessorie, per i reati, in concorso con
altre persone: di bancarotta fraudolenta documentale impropria, di cui
agli artt. 216 n. 2 e 223 del R.D. n. 267/42, per fittizie appostazioni
annotate nelle scritture contabili; di bancarotta fraudolenta impropria
per causazione del dissesto, di cui all’art. 223 cpv. n. 2 L. Fall., con
operazioni dolose e con occultamento, per effetto delle false
appostazioni, degli effettivi risultati di bilancio in perdita del 1997 e
1998 per circa 1,5 e 4 miliardi di lire, omesso ripristino del capitale
sociale, presentazione delle ricevute bancarie fittizie, stipulazione di
leasing con debiti contratti per lire 35 miliardi di lire; di bancarotta
fraudolenta impropria per distrazione, di cui all’art. 216 n.1 e 223 dei
R.D. N. 267/42, per prelievi per compensi dell’amministratore mai
deliberati e versamenti ad una società inesistente per “consulenze”.
Avverso tale sentenza il Bigioni, a mezzo del suo difensore, ha proposto
ricorso per Cassazione, deducendo la ricorrenza dei vizi:
-di violazione di legge di cui all’art. 606, primo comma, lett. b) c.p.p.
per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 216 n. 1 e 2 e 223
L.Fall., in merito alla configurabilità in capo all’imputato della fattispecie
di bancarotta fraudolenta documentale e di mancanza, erroneità ed
illogicità della motivazione, in relazione alla sussistenza dell’elemento
psicologico necessario per l’integrazione del delitto di cui agli artt. 216
e 223 L.Fall., e per la configurabilità di un concorso omissivo
dell’amministratore di diritto nel delitto commesso dall’amministratore
di fatto; in particolare, pur avendo il ricorrente rivestito la carica di
amministratore del IMAT s.p.a dall’ aprile 1997 al luglio 1999, in realtà
era sua madre, Baraldi Elena (amministratore di fatto nel medesimo
periodo, nonché titolare di due procure notarili all’uopo conferite) ad

confermava la sentenza del locale Tribunale del 22.4.2010 con la quale

occuparsi in via esclusiva della gestione della società fallita svolgendo
egli un ruolo esclusivamente commerciale; la sola qualifica formale non
può dimostrare in sé la consapevolezza circa lo stato della contabilità
da altri predisposta; neppure può desumersi la conoscenza
dell’irregolare tenuta della contabilità dal rilievo che era il ricorrente ad
intrattenere i rapporti con gli istituti di credito, in quanto tale condotta
non comprova la sussistenza del dolo, sia pure solo eventuale, richiesto
per la configurabilità del delitto de quo, ed al più integrerebbe il reato

rilievo che l’imputato sarebbe venuto meno ai doveri di controllo e
vigilanza imposti dalla posizione di garanzia intrinseca alla carica
rivestita, avendo comunque egli in realtà confidato inavvedutamente
nelle capacità della propria madre, da sempre unica referente per la
tenuta della contabilità, senza agevolare altrui comportamenti illeciti;
-di violazione di legge e di manifesta illogicità e contraddittorietà
della motivazione in merito alla mancata riconducibilità dei fatti di
bancarotta documentale in quelli di bancarotta semplice; alla figura
giurisprudenziale dell’amministratore di fatto, invero, deve
accompagnarsi un atteggiamento di minor
dell’amministratore di diritto e,

rigore nei confronti

tenuto conto dei ruoli rivestiti dal

Bigioni e dalla Baraldi, quest’ultima amministratore di fatto della Imat
devono trarsi le conseguenti valutazioni giuridiche; in ogni caso la
condotta del ricorrente integrerebbe il reato di bancarotta semplice;
-di violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ricorrenza
dei requisiti per l’integrazione della fattispecie delle operazioni dolose
causative del fallimento, atteso che le operazioni contestate,

lungi

dall’essere finalizzate alla causazione del dissesto, erano volte ad
ottenere un risultato diametralmente opposto, ossia ampliare le
possibilità di sopravvivenza dell’impresa penalmente irrilevante, idoneo
ad integrare l’ipotesi di bancarotta semplice o di ricorso abusivo al
credito; difetta altresì il nesso psicologico per la configurazione del
delitto di cui all’art. 223/2 n. 2 L. fall., atteso che i contatti con gli
istituti di credito erano finalizzati ad ottenere i mezzi necessari per
realizzare il progetto di espansione della società e non già a cagionare il
fallimento;
-di violazione di legge e di mancanza ed erroneità della motivazione in
relazione alla sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta per
distrazione, invece, che del delitto di irregolare remunerazione

dcg

amministratori ex art. 2630/2 n. 1 c.c., atteso che la condotta in

di cui all’art. 218 L.Fall.; il giudizio di responsabilità non può fondarsi sul

esame integra proprio il reato previsto da tale ultima norma nella
formulazione vigente all’epoca dei fatti; inoltre, non sussiste il nesso
eziologico tra le presunte condotte distrattive addebitate e il dissesto
della Imat.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso non è inammissibile ai sensi dell’art. 606/3 c.p.p., sicchè
non è preclusa a questa Corte la possibilità di rilevare e dichiarare cause
di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. (Sez.Un., n.23428 del

2. Per i reati per cui è processo, invero, è maturato successivamente
alla sentenza di secondo grado, alla data odierna, il termine di
prescrizione, di cui agli art. 157 e 161 c.p. come sostituiti dalla legge
251/2005, pari ad anni dodici e mesi sei, a decorrere dal 6.12.2000, ma
l’obbligo dell’immediata declaratoria di tale causa di estinzione, sancito
dal primo comma dell’art. 129 c.p.p., implica nel contempo la valutazione
della sussistenza in modo evidente di una ragione di proscioglimento
dell’imputato, alla luce della regola di giudizio posta dal secondo comma
del medesimo art. 129 c.p.p.. Tale ragione, tuttavia, è rilevabile soltanto
nel caso in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la
commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza
penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così
che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più
al concetto di “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a
quello di “apprezzamento” e sia, quindi, incompatibile con qualsiasi
necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. III, n.10221 del
24/01/2013).
3. Nel caso di specie non ricorrono in modo evidente ed assolutamente
non contestabile ragioni di proscioglimento dell’imputato, ai sensi dell’art.
129/2 c.p.p., sulla base di molteplici elementi indicati nella sentenza
impugnata, tra cui la qualità dell’imputato di amministratore unico della
società, la sua sottoscrizione del bilancio 1997, la portata limitata alla
gestione corrente delle procure rilasciate alla madre, i segnali di allarme
percepiti dall’imputato dagli istituti di credito, con i quali aveva assidua
frequentazione, l’aver continuato a ricorrere al credito.
Va evidenziato, inoltre, che i proposti motivi di ricorso neppure lasciano
intendere in modo evidente la ricorrenza di una ragione di
proscioglimento dell’imputato, sviluppando censure in relazione ai delitti
per i quali il Bigioni è stato condannato, che richiedono un’attività

3

22/03/2005; Sez. IV, n.31344 dell’ 11/06/2013).

valutativa e di approfondimento non consentita in relazione
all’applicazione del secondo comma dell’art. 129 c.p.p..
4. Alla luce, dunque, di quanto evidenziato la sentenza impugnata va
annullata senza rinvio, per essere i reati estinti per prescrizione.
p.q.m.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti
per prescrizione.

Così deciso il 28.2.2014

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