Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23579 del 17/02/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 23579 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MARCIANO’ GIULIO N. IL 17/06/1949
avverso la sentenza n. 27/2012 TRIBUNALE di ROMA, del
29/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
Udito il
che ha concluso per

Uditi37T—
Der la parte civile, FA-77—

Data Udienza: 17/02/2014

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, Dott. Eugenio Selvaggi che ha concluso per l’inammissibilità
del ricorso;
udito il difensore della parte civile, avv. Paolo Benigni, che ha
concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore dell’imputato, avv. Ciro Pellegrino, che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO

monocratica, confermava la sentenza emessa dal Giudice di Pace di
Roma in data 11.5.2011, con la quale Marcianò Giulio era stato
condannato, con concessione delle attenuanti generiche, alla pena di
euro 400,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni liquidati in euro
2000,00 in favore della parte civile, per il reato di cui di cui all’art. 595/1
c.p., per aver offeso la reputazione di Magnolia Carlo, con una missiva
del 18.10.2005, inviata a più persone -e segnatamente all’Unicredit
Banca s.p.a., ag. 31 Poste, all’Unicredit Banca s.p.a., dip. Roma
Grimaldi, e all’amministratore delegato dell’Unicredit Banca s.p.a.- nella
quale affermava “La presente viene indirizzata anche all’amministratore
delegato nella convinzione che non sia a conoscenza dei meschini
comportamenti di qualche suo direttore di agenzia, che comunque
gettano discredito su tutto il Gruppo Bancario e che voglia quindi
prendere i necessari provvedimenti per ripristinare comportamenti
corretti ed onesti nella sua organizzazione”.
2. Avverso

tale

sentenza,

l’imputato, a mezzo del proprio

difensore, ha proposto ricorso per Cassazione affidato a cinque motivi,
lamentando:
-con il primo motivo, l’erronea applicazione della legge e
l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di
inutilizzabilità o di decadenza ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett.
b) e c) c.p.p., nonché la mancata assunzione di una prova decisiva ai
sensi dell’art. 606, primo comma, lett. d) c.p.p., atteso che era stata
chiesta in primo grado l’escussione di due testimoni a discarico,
ingiustamente pretermessi, dei quali, il primo non ammesso ed il
secondo oggetto di ordinanza di decadenza dalla prova, con la
motivazione dell’assenza del difensore e della conseguente impossibilità
di verificare la ritualità della citazione del teste, laddove l’omessa
citazione del testimone non ha incidenza sui criteri di ammissione,
prevedendo l’art. 468, primo comma, c.p.p. l’inammissibilità del mezzo
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1. Con sentenza del 29.1.2013 il Tribunale di Roma, in composizione

di prova solo per il mancato, o intempestivo, deposito della lista
testimoniale; in ogni caso, la sentenza impugnata è stata resa in
violazione dell’art. 173/1 e 495/4 c.p.p., in quanto il tribunale ha
ritenuto che la parte fosse decaduta dalla prova, adducendo, quale
unica argomentazione, l’assenza del difensore, senza motivare in ordine
alla superfluità della prova già ammessa;
-con il secondo motivo, la mancanza di motivazione, ai sensi dell’art.
606, primo comma, lett. e) c.p.p., in ordine alle deduzioni difensive,

destinatari il disappunto rispetto alle procedure adottate con riferimento
alla richiesta di chiusura del conto e contestuale disdetta del contratto di
locazione della cassetta di sicurezza; tale lettera, dal cui contesto sono
state estrapolate le espressioni ritenute diffamatorie, conteneva una
serie di rimostranze rispetto ad una situazione incomprensibile
ingiustamente lesiva dei propri diritti (mancata chiusura del conto
corrente, pagamento anticipato del canone relativo alla cassetta di
sicurezza, addebito della somma di € 102,25), sicchè andavano
approfondite le tematiche inerenti la correttezza del comportamento
della banca ed i testi avrebbero dovuto deporre su ciò e sull’addebito di
€ 102,25;
-con il terzo motivo, la manifesta illogicità della motivazione della
sentenza, in relazione alla testimonianza della parte civile, non
risultando, comunque, spiegato, neppure nel corso del giudizio, a quale
titolo gli fossero state addebitate le predette spese; le dichiarazioni del
Magnolia sono state utilizzate come prova, nonostante l’assenza di
adeguato riscontro di credibilità oggettiva e soggettiva e pur risultando
la ricostruzione dei fatti dallo stesso operata fatta propria dal Tribunale
estremamente irragionevole, anche con riguardo alla posta fittizia attiva
per assecondare la richiesta dell’imputato di chiudere il conto;
-con il quarto motivo, la violazione degli artt. 51 e 595 c.p. in
relazione all’art. 606, primo comma, lett. b) c.p.p., atteso che il
Tribunale si è limitato ad assumere acriticamente come diffamatorio il
contenuto dello scritto inviato, senza considerare che l’imputato agiva
per tutelare situazioni costituzionalmente rilevanti, quali il diritto di
critica e di manifestazione del pensiero, essendo caratterizzata la sua
condotta dalla volontà di verificare la correttezza del servizio ricevuto
dal proprio istituto bancario, mediante sollecitazione dei suoi dirigenti
affinchè provvedessero ad effettuare i necessari controlli; all’uopo si
presenta rilevante e significativa la circostanza documentata in atti,

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atteso che nella missiva oggetto di imputazione era stato manifestato ai

secondo cui la banca, ricevuta la missiva, avrebbe stornato la somma di
euro 140,00 a favore del correntista, provvedendo a chiudere il conto
come da lui richiesto; nella sentenza impugnata non risulta accertata la
non rispondenza al vero di quanto lamentato dal ricorrente, non risulta
considerata la circostanza che l’imputato riteneva di aver subito un
sopruso e non considera che la critica non è vietata, anche se
astrattamente idonea ad offendere; in concreto, nella sentenza
impugnata non risulta adeguatamente affrontata la questione della

diritto, anche nella forma putativa, considerando il contesto in cui era
stata pronunciata l’espressione ritenuta diffamatoria e l’interesse
perseguito dall’imputato nell’inoltrare la missiva incriminata;
-con il quinto motivo, la violazione degli artt. 42, 43, 395 c.p., in
relazione all’art. 606, primo comma, lett. b) c.p.p., essendo
insussistente, nel caso di specie, l’elemento psicologico del reato
intendendo l’imputato richiedere un controllo sull’operato della filiale di
riferimento per tutelare le proprie ragioni e non offendere
gratuitamente il Magnolia e verificare la correttezza del servizio ricevuto,
mediante sollecitazione dei suoi dirigenti all’effettuazione dei necessari
controlli; inoltre, la missiva di chiarimenti era stata rivolta
necessariamente a più soggetti non essendo l’imputato a conoscenza di
quale organismo potesse svolgere i controlli richiesti.
3. La parte civile in data 27.1.2014 ha depositato memoria, con la
quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è meritevole di accoglimento.
1. Va, innanzitutto, evidenziato che, successivamente alla sentenza
di secondo grado, alla data odierna, è maturato il termine di prescrizione
del reato, pari ad anni sette e mesi sei, a decorrere dal 7.11.2005, ma
l’obbligo dell’ immediata declaratoria di tale causa di estinzione, sancito
dal primo comma dell’art. 129 c.p.p., implica, nel contempo, la
valutazione della sussistenza, in modo evidente, di una ragione di
proscioglimento dell’imputato, alla luce della regola di giudizio, posta dal
secondo comma del medesimo art. 129 c.p.p., ragione che, nel caso in
esame, deve senz’altro ravvisarsi, per quanto si dirà innanzi.
2. Fondato si presenta il quarto motivo di ricorso, con il quale il
ricorrente lamenta la violazione nella fattispecie in esame degli artt. 51
e 595 c.p., ben potendo le espressioni oggetto di giudizio ricondursi
all’esercizio di un diritto e, specificamente, all’esercizio del diritto di

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ricorrenza della scriminante del diritto di critica o dell’esercizio del

critica,

e tale valutazione assorbe l’esame degli ulteriori vizi della

sentenza impugnata denunciati con il ricorso.
2.1. La vicenda oggetto di giudizio viene ricostruita nella sentenza
impugnata, sulla base delle dichiarazioni rese dalla stessa persona
offesa, Magnolia Carlo, all’epoca dei fatti Direttore dell’Agenzia n. 31
dell’Unicredit Banca s.p.a., nei seguenti termini: il Marcianò era titolare
di un conto corrente aperto presso detta Agenzia ed aveva in locazione
una cassetta di sicurezza presso l’Agenzia 737 del medesimo Istituto;

del conto corrente acceso presso l’Agenzia 31, ma, con lettera datata
30.3.2005, gli veniva comunicato che non era possibile effettuare
l’estinzione del conto, in quanto il saldo disponibile in quel momento, di
circa euro 40,00, non era sufficiente a coprire le spese di estinzione;
inoltre, la procedura interna dell’Unicredit non consentiva l’estinzione dei
conti correnti sui quali veniva addebitato il canone di locazione delle
cassette di sicurezza, se prima non veniva restituita la chiave della
cassetta di sicurezza locata; in risposta a tale diniego l’imputato aveva
inoltrato la missiva in contestazione del 18 ottobre 2005. La parte
offesa precisava, altresì, che il conto corrente intestato al Marcianò era
stato, poi, chiuso per ragioni di economia aziendale e su decisione della
Direzione Generale della Banca, che aveva creato una posta attiva
fittizia di circa euro 140,00 per bilanciare la posizione debitoria
dell’imputato; tale decisione era stata comunque assunta dalla Direzione
della banca e non da lui che, quale direttore di Agenzia, non aveva il
potere di assumere una siffatta decisione.
2.2. Alla stregua della descrizione dei fatti effettuata nella sentenza
impugnata, deve innanzitutto evidenziarsi come la vicenda oggetto di
giudizio si collochi, innanzitutto, in un contesto “conflittuale” tra istituto
di credito e correntista, nel quale il Marcianò riteneva di aver diritto alla
chiusura del conto, mentre l’agenzia dell’Unicredit, presso la quale
l’imputato intratteneva il rapporto di c/c, non provvedeva a tanto sulla
base di argomentazioni non condivise dal predetto. Pertanto, l’imputato
si decideva a scrivere la missiva oggetto di contestazione, indirizzandola
a tutti gli enti indicati e all’amministratore delegato dell’Unicredit al fine
di descrivere l’accaduto, offrire la sua versione dei fatti, chiedendo
chiarimenti in merito all’esatto importo delle spese di chiusura e a
sollecitare un intervento- per riparare a quanto si era ingiustamente
verificato- anche dell’Amministratore delegato, ritenuto competente “a
prendere i necessari provvedimenti per ripristinare comportamenti
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che, con raccomandata del marzo 2005, l’imputato chiedeva l’estinzione

corretti ed onesti nella sua organizzazione”. La circostanza, dunque,
indicata in ricorso, secondo la quale la missiva oggetto di contestazione
era tesa a stimolare la verifica della correttezza del servizio ricevuto
dall’ istituto bancario, mediante sollecitazione dei suoi dirigenti, affinchè
provvedessero ad effettuare i necessari controlli, trova conforto nel
contenuto della medesima missiva del 18 ottobre 2005 e nella risposta
“di fatto” ottenuta con la chiusura del conto, mediante lo storno della
somma di C 140,00.

termini “meschini comportamenti” utilizzati nella missiva, sebbene non
indirizzati per nome e cognome al Magnolia, lascino chiaramente
intendere che fossero a lui destinati, in quanto Direttore dell’Agenzia 31
dell’Unicredit, presso la quale era acceso il conto correte dell’imputato,
e ciò in linea con i principi più volte affermati da questa Corte, secondo i
quali, in tema di diffamazione, ai fini dell’individuabilità dell’offeso, non
occorre che l’offensore ne indichi espressamente il nome, ma è
sufficiente che l’offeso possa venire individuato per esclusione in via
deduttiva, tra una categoria di persone, a nulla rilevando che in concreto
l’offeso venga individuato da un ristretto gruppo di persone (Sez. V,
10/04/2012, n. 30369).
Inoltre, può convenirsi sul fatto che il riferimento a “comportamenti
meschini” e l’invito a ristabilire “comportamenti corretti ed onesti”
possano avere portata lesiva dell’onore e del decoro della persona
offesa, costituendo espressione di giudizi negativi, secondo il comune
sentire, implicando il primo “disprezzo” ed il secondo “qualità negative”,
sotto il profilo etico e professionale.
2.4. Ciò posto, tuttavia, il giudice d’appello avrebbe dovuto
dettagliatamente verificare, se nella fattispecie in esame, alla luce del
contesto fattuale sopra riportato e del contenuto complessivo della
missiva, fosse configurabile la scriminante dell’esercizio del diritto di
critica, di cui all’art. 51 c.p., invocata dal ricorrente. Ciò in quanto, la
scansione del procedimento logico- giuridico da seguire in tema di
accertamento della punibilità dell’imputato a titolo di diffamazione
implica in primo luogo la valutazione diretta a stabilire se il contenuto
della comunicazione rivolta a più persone rechi in sé la portata lesiva
della reputazione altrui, che costituisce il proprium del reato contestato
e, una volta stabilito il concorso degli elementi costitutivi del delitto di
diffamazione, l’attenzione del giudicante può spostarsi
sull’apprezzamento della linea difensiva volta a giustificare il fatto sotto
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2.3. Ora, può convenirsi con il giudice di appello sul fatto che i

il profilo della scriminante di cui all’art. 51 cod. pen., e, quindi, sulla
verifica di sussistenza dei noti requisiti di verità, interesse alla notizia e
continenza (Sez. V, n. 41661 del 17/09/2012).
La laconica motivazione, con la quale il giudice di appello ha ritenuto
non applicabile la scriminante in esame, posto “che il Marcianò non si è
limitato ad esprimere valutazioni, ma ha formulato una vera e propria
richiesta ai vertici dell’istituto bancario affinchè fossero adottati i
provvedimenti necessari per ripristinare la trasparenza e l’onestà

siccome non tiene conto dei criteri e dei principi in base ai quali è
doveroso compiere la verifica della ricorrenza appunto della generale
causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p.
2.5. Giova innanzitutto richiamare il principio affermato da questa
Corte (Sez. V, n. 13549 del 20.2.2008), secondo cui nella presentazione
di un esposto, con il quale si richieda l’intervento della autorità
amministrativa su fatto del dipendente “ritenuto” contrario alla
deontologia, anche se nel comunicato vengono usate espressioni
oggettivamente aspre e polemiche, non è configurabile il delitto di
diffamazione. Infatti, nel bilanciamento tra due beni costituzionalmente
protetti, il diritto di critica (art 21 Cost.) e quello alla dignità personale
(artt. 2 e 3 Cost.), occorre dare la prevalenza alla libertà di parola,
senza la quale la dialettica democratica non potrebbe realizzarsi.
(Sez. 6, n. 11842 del 24/04/1978). Va altresì richiamato il principio
secondo cui sussiste l’esimente del diritto di critica quando il fatto
riportato sia conforme allo stato accertato della realtà al momento della
propalazione, sempre che sia rispettato il canone della continenza e
della rilevanza sociale dell’informazione (Sez. V, n. 13549 del
20.2.2008).
2.6. Tanto precisato occorre, dunque, valutare se nella fattispecie in
esame risultino rispettati i due elementi della conformità dei fatti
riportati nella missiva oggetto di contestazione allo stato accertato della
realtà al momento della propalazione e della continenza e tale indagine
è positiva.
Il primo elemento deve ritenersi ricorrente in considerazione del
contenuto della missiva, che puntualizza in sostanza la situazione,
rimasta incontestata, secondo la quale l’Agenzia 31 non provvedeva,
contrariamente a quanto richiesto dal correntista Marcianò, alla chiusura
del conto, adducendo varie ragioni, tra cui l’incapienza della somma
presente sul conto a coprire le spese di chiusura ed il collegamento del

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all’interno dell’organizzazione”, si presenta in violazione alla legge,

conto con la locazione della cassetta di sicurezza. Tale stato di fatto al
momento della propalazione, risulta confermato, come detto, dallo
stesso Magnolia in dibattimento, che ha riferito della “conflittualità” con
il correntista in merito alla chiusura del conto, nonché dalla circostanza,
a posteriori, secondo cui successivamente all’inoltro della missiva il
conto fu effettivamente chiuso per ritenute “ragioni di economia
aziendale e su decisione della Direzione Generale della Banca, che aveva
creato una posta attiva fittizia di circa euro 140,00”.

che esso deve consistere nell’ argumentum ad hominem ossia nella
condotta dell’agente che trasmodi in aggressioni gratuite, non pertinenti
ai temi in discussione e solo intesi a screditare l’avversario mediante la
evocazione di una sua presunta indegnità od inadeguatezza personale,
piuttosto che a criticarne i programmi e le azioni (Sez. V, n. 13549 del
20.2.2008).
Orbene, nel caso in esame, tale situazione non si è verificata, posto
che i riferimenti ai “comportamenti meschini” ed al ripristino di
comportamenti “corretti ed onesti”, che in sé possono avere, come
detto, portata lesiva, non appaiono senz’altro gratuiti, siccome utilizzati
nella prospettiva di argomentare e sollecitare una richiesta di intervento
per porre rimedio alla ritenuta ingiustificata mancata chiusura del conto
corrente. Tali espressioni, infatti, non miravano a censurare la persona
del Magnolia, in sé e per sé considerata, quanto piuttosto la sua
condotta quale Direttore dell’Agenzia 31 dell’Unicredit e, quindi
eventuali prassi operative, della banca Unicredit in generale (come
comprovato anche dalla destinazione della missiva alla Unicredi Banca
s.pa. oltre che all’amministratore delegato di Unicredit Banca s.p.a.),
ostative alla chiusura del conto. Ben possono, dunque, tali espressioni
farsi rientrare nel diritto del cliente – parte del rapporto contrattuale di
conto corrente- di censurare, ancorchè, nella specie in maniera aspra, il
mancato rispetto da parte della banca della regola delraffidamento”
contrattuale, in ordine al mancato espletamento delle operazioni di
chiusura del conto e di chiedere pertanto un intervento degli organi
sovraordinati al fine di rimediare alla situazione di “stallo” venutasi a
creare. Tale critica, dunque, originata da una “contrapposizione” in
merito al rispetto dei principi contrattuali e delle regole che più
specificamente riguardavano il rapporto di conto corrente dell’imputato,
non ha comportato uno sconfinamento dai limiti della continenza.

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Per quanto concerne, poi, il requisito della continenza, va premesso

3. Il ricorso per le ragioni esposte va, dunque, accolto e la sentenza
impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato
p.q.m.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non
costituisce reato.

Così deciso il 17.2.2014

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